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cumpanis

Che fare?

di Alessandro Testa

 

La situazione generale

La situazione internazionale la conosciamo tutti: la guerra divampata in Ucraina in seguito alla proterva minaccia di espansione sempre più ad Est della NATO non accenna a placarsi, anzi produce sempre più morti, più confusione geopolitica, più odio, più armi, più disastri e sconquassi economico-sociali.

A nostro avviso, però, questo conflitto non è che il catalizzatore di una tendenza che parte dalla caduta dell’URSS e dall’autoproclamata “fine della storia” di Fukuiamiana memoria; senza più la forza dell’Unione Sovietica a tenera a bada la ferocia degli spiriti animali del capitalismo finanziario globale, la tabe mortifera dell’imperialismo militare statunitense dilaga, cercando di abbattere gli ultimi due bastioni che ancora si ergono tra essa e la soddisfazione totale dei suoi insaziabili appetiti: la Cina socialista e la Russia di Putin.

Le conseguenze pratiche? Il costo dell’energia aumenta a vista d’occhio e con esso aumentano i costi di produzione delle materie prime, dei trasporti, delle merci all’ingrosso e al dettaglio; mancano i microprocessori, il prezzo della benzina viaggia tranquillamente sopra i due euro al litro – e non accenna a fermarsi – il gas segue a ruota, e si comincia a parlare di una possibile carestia per quello che riguarda i cereali. Siamo messi bene, lo spettro di una carestia dal sapore medievale torna mostrare il suo orrido volto – altroché “magnifici tempi e progressivi”.

L’inflazione galoppa, attestandosi sopra l’8% a maggio, il che vuol dire semplicemente che il potere d’acquisto dei salari, già particolarmente basso in Italia, si riduce ancor di più spingendo parecchie famiglie verso la soglia della povertà. Nel mentre, anche il costo del denaro, annuncia serafica la BCE, è destinato ad aumentare in maniera sensibile. Dopo sette anni di stabilità ci sarà un primo rialzo di venticinque punti base a luglio, seguito da cinquanta a settembre. Poi, si vedrà. Il tutto, assicura la presidente della BCE Madame Lagarde, per “ridurre l’inflazione e riportarla all’obiettivo del 2%”.

Sarà! L’unica cosa certa è che l’importo delle rate dei mutui a tasso variabile si alzerà, strangolando ancora di più le molte famiglie che già sono alle prese col problema di arrivare a fine mese. L’impatto sulla piccola-media impresa sarà del tutto simile: meno capitale disponibile, meno investimenti e più tagli. E indovinate quali saranno i primi costi ad essere tagliati? Ve lo diciamo noi: i salari e l’occupazione.

Inoltre c’è un problema di cui tutti parlano, ma senza mai metterlo in relazione con la sua vera causa: la progressiva distruzione dell’ecosistema, di cui il riscaldamento globale non è che uno dei sintomi. Non ci vuole molto a capire che è il modo di produzione capitalistico, con la sua bestiale e costante spinta alla sovrapproduzione e la sua pervicacia nel sentirsi sempre e comunque legibus solutus, ad essere la causa prima della deforestazione, dell’inquinamento, dell’aumento inarrestabile della spinta ad una mobilità esasperata.

E in questo scenario desolato e desolante, come si muove la politica, sia quella italiana che quella internazionale?

 

Elementi politico-istituzionali

Iniziamo con la Francia. Dopo la vittoria – peraltro non certo trionfale – di Macron alle elezioni presidenziali tenutesi un paio di mesi fa, tutti si aspettavano un feroce tête-à tête tra il bell’Emmanuel e l’algida Marine Le Pen, portavoce déguisée del più bieco e trito fascismo travestito di volta in volta da populismo, patriottismo e becero sovranismo.

E invece no. Inopinatamente, la sinistra – data ormai per morta e sepolta, putrefatto e inane cadavere di un tempo che fu – rialza la testa, trovando nel vecchio Mélenchon il suo alfiere un po’ acciaccato ma sempre battagliero. Ovviamente, come comunisti, non è certo la confusa macedonia ideologica di cui la NUPES (Nouvelle Union Populaire Écologique et Sociale) si è fatta rappresentante il modello teorico e organizzativo cui crediamo si debba guardare. Però un segnale questo risultato ce lo manda comunque: i valori della sinistra – pace, libertà, uguaglianza, attenzione alle minoranze, antirazzismo, ecologismo, femminismo – sono tutt’altro che morti. Anzi godono, almeno in Francia, di ottima salute, una salute che vale 25,66% dei voti espressi – tenendo ovviamente conto di un astensionismo che supera ormai il 50%.

Ma veniamo in casa nostra. In uno scenario generale in cui “il governo dei migliori” agonizza tra la tragedia e la farsa, spedendo tra una lite e un abbraccio milioni di euro di armi all’Ucraina ma incapace di arginare la drammatica slavina economico-sociale che sta precipitando l’Italia nell’abisso, si è appena svolto l’election day, bizzarro happening che ingloba in una sola giornata elettorale temi e decisioni così diversi e delicati come cinque referendum abrogativi – su tematiche di grande importanza istituzionale – e diverse elezioni comunali ove sono in ballo i sindaci di città importanti come Genova, Palermo, L’Aquila, Catanzaro, Verona, Messina, Padova, Parma, Taranto, Monza, Piacenza, Pistoia ed altre ancora.

Non è nostra intenzione analizzare qui il grottesco flop di affluenza ai referendum – che pure è un segnale inequivocabile dell’estrema sfiducia e disamore che il popolo sente non solo verso la politica ma purtroppo verso tutte le istituzioni repubblicane – e neppure di lanciarci in un’approfondita disamina su “chi ha vinto e chi ha perso”. Molto più terra-terra, vorremmo capire come noi comunisti abbiamo affrontato questa tornata elettorale, quali sono stati i risultati e quali gli insegnamenti da trarre.

 

Comunisti ed elezioni amministrative

Innanzitutto ricapitoliamo la strategia generale con cui i comunisti si sono presentati alle elezioni comunali: ancora una volta, nonostante alcuni timidi tentativi iniziali ben presto abortiti per ragioni a nostro avviso meramente opportunistiche o di “antipatia personale”, i comunisti non sono stati in grado di presentare liste unitarie. E quando diciamo “comunisti” non intendiamo estendere questo concetto a tutta quella galassia che spesso di comunista ha solo il nome, ma vogliamo limitarci a quelle formazioni e realtà politiche che hanno ben presente e solida una visione teorico-ideologica fortemente marxista e leninista.

Bene (anzi, male), ancora una volta PCI e Rifondazione – insieme ad altre realtà dall’incerta anima ideologica – da una parte, e PC dall’altra. Il tutto, e lo diciamo con amarezza, per attestarsi quando va bene intorno al 3%.

Ma prima di proseguire, crediamo sia utile una breve digressione. Il PC di cui il compagno Marco Rizzo è segretario generale, pur avendo giocato un ruolo importante in quell’operazione di ampio respiro strategico che è stata “Ora l’unità! Per il Partito Comunista in Italia”, meglio conosciuto come “L’Appello”, ha deciso di affrontare questa tornata elettorale appoggiando “dall’esterno” alcune liste civiche che raggruppavano realtà sovraniste quali Alternativa, Italexit, Riconquistare l’Italia, Libera Piazza ed altre ancora, realtà nelle quali non è difficile percepire un certo “profumo” di destra. Sarà solo tattica elettoralistica di piccolo cabotaggio – del resto, visti i risultati, non troppo lungimirante – oppure ciò prelude ad un approccio strategico più organizzato e di lungo termine? Direbbe Lucio Battisti: “lo scopriremo solo vivendo”…

Dall’altra parte, il PCI di Alboresi, tetragono ad ogni invito al confronto, pieno dell’albagia che gli viene della proprietà di quel nome e di quel simbolo storico – che forse reputa sufficienti a sopperire ad una certa carenza di capacità d’analisi e di forza organizzativa – procede testardamente sulla strada dell’alleanza con partiti che di comunista ormai non hanno più che il nome – e talvolta neppure quello. Coi risultati che tutti possiamo vedere – tiepidi a dir poco.

Un grande peccato, un po’ di amarezza per l’occasione, ancora una volta, perduta. Ma che fare, dunque? Come superare questo momento di profondissima crisi per il comunismo in Italia?

 

E quindi, che fare?

Torniamo per un attimo al famoso “Appello”. Centinaia e centinaia di militanti, intellettuali, dirigenti di partito hanno sottoscritto questo appello nella speranza che fosse “la volta buona”, nella speranza che si facesse qualcosa di concreto, qualcosa di pratico, qualcosa che avvenisse davvero, non diciamo domani e neppure posdomani, ma neppure tra un’era geologica e mezzo.

Invece, un tripudio di distinguo, di “percorsi”, di sfilamenti e di tatticismi. Bisogna avere il coraggio di dirlo, l’Appello è in grande difficoltà (e certo non per responsabilità di “Cumpanis” che ce l’ha messa tutta, ma per altri…). Doveva preludere all’unità dei comunisti, alla ricostruzione di un “forte partito comunista su basi teoriche e ideologiche omogenee” – con quali tempi e con quali strumenti però non era già dall’inizio completamente chiaro – e invece neppure un passo avanti è stato fatto. Anzi, ci ritroviamo con compagni che sembrano far l’occhiolino alla destra sovranista e altri che si sdilinquano in esangui paso doble con le frange più svenevoli della sinistra radical-liberale anticomunista.

L’appello è stato colpito, ferito dai “percorsi”. Perché un percorso, senza un chiaro e preciso punto d’arrivo e senza una dettagliata tabella di marcia, rischia di non portare da nessuna parte. E un percorso che non porta da nessuna parte rischia di stancare i militanti, di estraniarli, di spingerli al riflusso e al disimpegno.

Ma noi sappiamo che la storia e la ragione sono dalla nostra parte. Noi non ci pieghiamo ad una sconfitta figlia dell’ipocrisia e della pavidità. Noi abbiamo il coraggio di fare una proposta chiara, cristallina, senza ambiguità: un’assemblea costitutiva per l’unità comunista da tenersi nell’arco temporale di un anno o non tanto oltre un anno.

Le segreterie di partito, gli intellettuali, i dirigenti, le associazioni comuniste non vogliono ascoltarci? Allora ci rivolgeremo direttamente ai militanti, ai simpatizzanti, a coloro che sono stanchi di svolte a centottanta gradi, alleanze improponibili, percorsi che non portano a nulla, antipatie personali e ambizioni segrete.

Una meta credibile, chiara, condivisa ed esplicita: l’assemblea costitutiva per l’unità comunista. Se saremo capaci di raccogliere le forze intorno a quest’idea cardine, a questa meta aspirazionale, allora sì che sarà possibile disegnare il “percorso” per arrivarci. Per arrivare a ciò che noi tutti vogliamo, a ciò per cui tutti noi stiamo lottando: la rinascita del comunismo in Italia.

Comments

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Stefania
Sunday, 13 November 2022 18:46
Ciao! Per caso sei tu l'Alessandro Testa che studiava Filosofia a Mirafiori nel 2011? Sono tornata a Roma dopo tanti anni ma non so dove trovarti
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Fabio Rontini
Friday, 24 June 2022 06:59
Due parole sull'"Appello" che tante speranze aveva suscitato.

Direi che oltre ai personalismi e ai tatticismi ci sono delle questioni teoriche irrisolte che spaccano la diaspora dei comunisti e impediscono una unione mirata a solidi obiettivi.

Ne identifico almeno 3:

- la natura sociale della Cina, socialista o capitalista, con il corollario di interpretare l'attuale scontro Usa-Cina come Socialismo vs. Capitalismo oppure scontro interimperialistico.

- che fare con la UE, uscirne o restare?

- il giudizio sul vecchio PCI e vecchia strategia togliattiana: revisionismo/opportunismo oppure sapiente guerra di posizione per conquista delle casematte ecc. ecc?

Ora, personalmente ho opinioni precise riguardo a tutti e tre i problemi, ma devo/dobbiamo prendere atto che ognuna di queste tre coppie di alternative spacca l'insieme dei comunisti quasi esattamente a metà.

E allora non si può fare un appello all'unità dei comunisti ponendo come pregiudiziale una interpretazione piuttosto che l'altra su alcuni di questi punti (nella fattispecie dell'appello non si può porre come già stabilita la strategia dell'uscita dalla UE).
Perchè significherebbe respingere e fare in modo che la metà dei comunisti che non è d'accordo con la suddetta strategia, rispedisca l'appello al mittente.

Forse non si voleva l'unità dei comunisti...
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ndr60
Wednesday, 22 June 2022 13:17
Nel CLN c'erano tutti, uniti contro i nazi-fascisti, per liberare l'Italia mentre era in corso una guerra terribile. Oggi c'è una guerra (e non mi riferisco a quella in Ucraina), combattuta con altri mezzi, ma le vittime sono le stesse, ovvero il 99% della popolazione, che ormai non ha la minima rappresentanza politica.
Quindi Rizzo ha perfettamente ragione a cercare l'accordo con formazioni politiche anche di diverso orientamento ma con un obiettivo comune, mandare a casa (a Washington?) questo governo infame o almeno costruire un'opposizione credibile in Parlamento se e quando si andrà a votare: allo stato attuale, obiettivi assai ambiziosi.
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