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L’irresistibile ascesa della Cina

di Salvatore Scrascia

Alberto Bradanini, laureato in Scienze politiche alla Sapienza di Roma, è un diplomatico di lungo corso. La sua carriera comincia nel 1975: tra gli incarichi ricoperti, ricordiamo quello di ambasciatore d’Italia in Iran dal 2008 al gennaio 2013 e, dal 2013 al maggio 2015, quello di ambasciatore in Cina. Attualmente è presidente del Centro Studi sulla Cina contemporanea. È un profondo conoscitore della Cina ed autore di numerosi saggi ed articoli sul gigante asiatico.

Cina. L’irresistibile ascesa (Sandro Teti editore, pp. 368, 18 euro) è la sua ultima opera, finita di stampare nel gennaio 2022. Il libro acquista ulteriore importanza ed interesse in questo periodo storico, proprio perché pubblicato prima dell’invasione russa dell’Ucraina. La disanima di assetti, interessi e strategie geopolitiche delle grandi potenze USA, Russia e Cina, arricchiti dallo sguardo cinese, offrono al lettore il quadro aggiornato della situazione geopolitica ed il suo divenire nel tempo fino ad oggi.

La crisi ucraina del 2014, “fabbricata a tavolino dagli Usa in funzione antirussa”, viene affrontata a proposito del riavvicinamento tra Cina e Russia. Le due superpotenze, infatti, dopo lo strappo degli anni ’70, cominciano un lento riavvicinamento dopo l’implosione dell’Unione Sovietica ed in funzione difensiva dall’espansionismo USA. Nel 2014, come ricordato, le relazioni si intensificano sensibilmente, a partire dalla cooperazione militare, energetica e su tanto altro ancora.

Lo studio della Cina, dichiara l’autore in una intervista, è una scelta professionale e culturale da rinvenire nel fascino di un paese che è allo stesso tempo “paese continente”, un “paese civiltà” (una civiltà di 2500 anni, variabile storica indipendente dall’Occidente giunta ai nostri giorni in grande spolvero) e un “paese ideologia” perché governato dal Partito Comunista. Lo sguardo della Cina e sulla Cina è affrontato dall’autore con quell’umiltà che caratterizza gli uomini di profonda e raffinata cultura, consapevoli che più si sa e meno si sa, soprattutto se a venire osservato è un paese come la Cina, oggetto misterioso agli occhi spesso superficiali e presuntuosi degli occidentali e di per se ricchissimo di contraddizioni.

Proprio la caratteristica più conosciuta dagli occidentali di oggi, cioè il fatto di essere un paese socialista, rappresenta l’emblema della complessità e delle contraddizioni del gigante asiatico. Il tema del “socialismo con caratteristiche cinesi” viene affrontato ampiamente nel libro. È stata l’apertura di Deng Xiaoping, con le riforme avviate a partire dal 1978, a dare vita al “socialismo con caratteristiche cinesi” attraverso la liberalizzazione economica vigilata ed il controllo politico del partito unico.

Difficile, sia per l’autore che per la stessa dirigenza cinese, fornire una definizione esaustiva del “socialismo con caratteristiche cinesi”: quindi particolarmente arduo fornirne per me una breve sintesi. “Essenziale è catturare il topo, non importa il colore del gatto” disse Deng; il fine giustifica i mezzi diremmo noi. Giustificare cosa, però, del “socialismo con caratteristiche cinesi”? Innanzitutto lo sdoganamento della libertà di arricchirsi e le notevoli disuguaglianze, equiparabili a quelle americane, difficilmente conciliabili con i concetti di socialismo; ma il socialismo cinese non è dogmatico, non fa riferimento ad una ideologia rigida. O per meglio dire, ne prende spunto per sperimentarne gli effetti attraverso l’applicazione di prassi adeguate ai tempi ed al contesto, correggendone eventualmente il tiro a posteriori, giustificandone appunto gli scostamenti con l’inevitabile adattamento richiesto dai fatti.

Il mercantilismo cinese è quindi considerato e giustificato come il mezzo, il percorso che porterà in futuro alla società socialista. Lascio al lettore l’approfondimento teorico e pratico del “socialismo con caratteristiche cinesi”, per andare invece all’analisi dei risultati di questo percorso. I fatti ci dicono che la qualità della vita di tutto il popolo cinese è mediamente aumentata in modo straordinario negli ultimi quarant’anni e tuttavia il modello cinese, lungi dall’essere lodato dagli occidentali, viene additato come un modello liberticida, irrispettoso dell’ambiente e dei diritti umani.

Ovviamente parliamo di accuse parzialmente fondate: ma se la Cina fosse riuscita a sconfiggere la povertà di un numero enorme di persone in così poco tempo rispettando anche i “canoni” occidentali, di cosa parleremmo? E i diritti umani, tanto sbandierati dagli occidentali, non avranno un significato diverso in Cina? A proposito dei diritti umani, l’ambasciatore Bradanini ci offre una chiave di lettura utilissima per interpretarne la strumentalizzazione mediatica che ne fa l’Occidente, USA in primis.

Per la Cina i primi diritti umani sono quelli alla vita, quindi al cibo, ad una casa e, nei limiti del possibile, alle cure sanitarie. L’aspirazione del popolo a condizioni di vita dignitose e quindi umane è imprescindibile, mentre nelle ossimoriche democrazie liberali, cosi definite solo perché il popolo sceglie i governanti con il voto (sic!), miseria e disuguaglianze non destano scandalo.

Ancora più interessante è indagare sull’origine filosofica dei diritti umani occidentali. Essi infatti, nascono con il liberalismo classico, quindi con il capitalismo, trovando fondamento nell’economia politica senza ricorso ad altre categorie filosofiche ed includono, oltre alla libertà di espressione, religione e stampa, anche e soprattutto il diritto alla proprietà, illimitato e senza restrizioni. Tale concetto di proprietà illimitata e senza restrizioni, che ha una matrice britannica, viene esaltato e quasi divinizzato dalla colonia americana: perciò negli Usa esso viene filosoficamente valorizzato insieme alla richiesta che sia garantito dallo Stato: quando gli Stati Uniti agitano la bandiera dei diritti umani, rafforzando il loro potere di convincimento attraverso bombardamenti etici, contro paesi deboli e privi dell’arma nucleare (perché “non si sa mai”), essi lanciano un messaggio chiaro alle classi possidenti locali seguaci del “partito americano locale”, che esiste e prospera ovunque.

Passiamo a questioni che ci riguardano più da vicino. Lo sguardo del gigante asiatico sull’Unione Europea ce ne fa constatare, anche da questa prospettiva, la desolante inconsistenza politica. Infatti la Cina considera la UE solo un partner economico, mentre dal punto di vista politico è vista come “una costola dell’impero americano” con un “deficit di soggettività risultato congiunto della subordinazione agli USA e dello stato di guscio tecnocratico antidemocratico”. Per Bradanini non è un caso che l’UE non abbia un vero e proprio governo né un vero Parlamento e che la sua Banca Centrale sia deprivata nelle normali funzioni di cui sono dotate le altre banche centrali. In questo ibrido, la prospettiva federalista è semplicemente uno specchietto per le allodole.

A questo proposito le parole di Bradanini meritano di essere riportate per intero: ”Essa [la prospettiva di una Federazione Europea, ndr] è fatta lampeggiare come i fuochi fatui a consumo di anime candide, senza che alcun documento politico europeo l’abbia mai evocata o sia mai stata proferita da un leader europeo di qualche peso”. La forte critica all’Unione Europea viene ripresa in più parti dell’opera ed è tanto razionale quanto spietata, dimostrando come ciò che viene occultato agli occhi dei cittadini europei dalla vuota ma pressante propaganda eurocentrica non può sfuggire agli occhi attenti delle classi dirigenti degli altri paesi, in particolare a quella cinese.

La priorità assoluta della Cina è la stabilità politica: per assicurare la stabilità e l’indipendenza politica è necessario garantire al popolo il benessere, ottenuto attraverso la crescita economica che, quindi, giustifica anche qualche “deviazione” del socialismo con caratteristiche cinesi. La stabilità politica necessita quindi di crescita economica, la crescita economica necessità di pace; la Cina è un paese pacifico (e ciò corrisponde ai suoi preminenti interessi nazionali) che non ha mai pensato all’esportazione del suo modello o alla ”protezione” di altri paesi socialisti del pianeta.

La nuova guerra fredda dichiarata dagli USA nei confronti della Cina, oltre che da motivi economici dipende soprattutto dall’alternatività del modello cinese a quello occidentale, fondato sul primato della politica sull’economia e degli interessi collettivi su quelli privati, in assoluta antitesi, dunque, allo strapotere delle corporation private del modello statunitense. Con un po’ di fantasia e, a seconda dei casi, con nostalgia, si potrebbe intravedere nello sviluppo cinese parte della strategia del nostro Paese nel trentennio glorioso, soprattutto per quanto riguarda il dirigismo economico e la forte presenza dell’impresa pubblica, seconda in Europa solo all’URSS: il tutto senza partito unico ed in regime democratico.

Il libro è ricchissimo di note ed è impreziosito dalle pregevoli fotografie di Andrea Cavazzuti. È stata una bella esperienza leggerlo e, soprattutto, apprezzare la cultura, l’intelligenza ed il pensiero dell’autore seguendolo nel suo viaggio alla scoperta della Cina.

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