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lafionda

Metaverso, una nuova forma di bovarismo

di Serena Capponi

E si generò il caos…

Una confusione, un disordine, un disorientamento.

Sembra ormai diventato sempre più difficile comunicare con l’altro.

Il relazionarsi e parlare sembrava già da tempo pratica obsoleta, oggi sembra quasi una pratica del tutto sconosciuta.

Negli ultimi due anni a causa della situazione che stiamo vivendo legata al Covid il distanziamento sociale che ci è stato imposto sembra quasi aver del tutto eliminato l’interazione sociale tradizionale.

La strada che stiamo intraprendendo, in parte obbligati delle circostanze, in parte in modo spontaneo, sta trasformando l’uomo da un animale sociale ad un essere che vive in piena solitudine, timoroso dell’altro, che trova rifugio in un mondo irreale che risiede nell’etere.

Forse la pandemia ha più che mai evidenziato le fragilità che caratterizzano la cultura sociale moderna. Tutto questo ha trovato la sua massima espressione con la nascita del metaverso, una realtà virtuale, inesistente quindi, che rischia di divenire un mondo reale fittizio che in molti però possono scambiare per vero e tangibile.

Ad un attenta analisi emerge che molteplici aspetti sociali odierni, ancorché in modo implicito (letterario), si possono riscontrare nelle opere di autori del passato, in particolare in quelle di Flaubert. Il romanziere francese, soprattutto tramite l’opera Madame Bovary, ha ispirato una riflessione ben più ampia che è andata cristallizzandosi in una nuova prospettiva filosofica. Questa sorta di esplicitazione filosofica dei temi flaubertiani si è tradotta in Jules De Gaultier nella teoria del bovarismo ed è una delle pietre fondanti in René Girard, della teoria del desiderio mimetico. Tali concezioni, quella gaulteriana e quella girardiana vedono l’uomo inseguire e desiderare una realtà immaginaria. È tale la potenza di siffatto desiderio che l’uomo tende a misconoscere la natura fittizia della realtà immaginata e finisce, in modo più o meno definitivo e con conseguenze più o meno drammatiche, col sostituire tale realtà immaginata a quella effettiva. Alla base di questo processo di trasmutazione del reale (e di annichilimento – nei casi più gravi – del reale autentico) vi è il bisogno, fisico e mentale, di essere diversi da quello che si è, più precisamente migliori. L’uomo, molto spesso incapace di apportare un cambiamento reale alla sua vita, se ne crea per questo una immaginaria, all’interno della quale è il solo protagonista e si sente finalmente realizzato. Se Madame Bovary fa questo traendo spunto dalle eroine dei suoi romanzi preferiti, donne bellissime ed eleganti che frequentano l’alta società parigina oggi vi sono altri modelli dai quali le persone traggono spunto. Evidentemente, esistono molteplici differenze tra il periodo in cui viveva Emma Bovary ed il nostro, così come sono cambiati i punti di riferimento; tuttavia, il meccanismo alla base di questo processo sembra il medesimo. La malattia, o meglio, la patologia di cui parla Gaultier, è forse la più frequente nella nostra società e, purtroppo, la meno curabile. Questa malattia del pensiero, che anche Girard ha studiato e teorizzato, sta lentamente ma inesorabilmente invadendo tutti gli aspetti del vivere comune e sociale. L’epidemia, se così si può chiamarla, a cui pare di assistere è caratterizzata da due elementi chiave: il suddetto progressivo assottigliarsi del reale “autentico” a favore di un reale immaginato (sulla scorta di ciò che, per fare solo un esempio, ci viene proposto massimamente dai mezzi di comunicazione di massa) e la tensione, che caratterizza gli uomini e le donne del XXI secolo, verso il tentativo di imitazione (spasmodica, in alcuni casi) di modelli che sembrano assai discutibili. Gaultier e Girard hanno mostrato e spiegato la pericolosità di tale fenomeno che ormai, però, sembra divenuto così frequente da passare inosservato e, cosa ancora peggiore, si è trasformato in normalità, uno strumento altamente redditizio in termini di finalità politiche ed economiche.

Se Flaubert aveva consegnato alla sua opera tale idea, se Gaultier e Girard la esprimono in modo chiaro, anche Bourget e Taine vanno annoverati tra gli autori più sensibili a questa problematica. Infatti, essi, nei loro scritti, indagano le dinamiche sociali basandosi sulla concezione espressa da Taine che fa della letteratura una psicologia vivente, studiano il disaccordo tra l’uomo e l’ambiente che la civilizzazione accentua, e i meccanismi che ne derivano. L’analisi dell’appiattimento dell’individuo a favore di fenomeni di mimesi sembra riecheggiare nelle conclusioni nietzschiane circa la massa come un insieme di individui mediocri in cui la quantità vince sulla qualità. Nietzsche sembrerebbe, dunque, aver ampliato e portato alle estreme conseguenze le riflessioni di tali autori rispetto a quel male psicologico, che si trasforma anche in un male sociale, per il quale gli uomini tendono a voler essere diversi da ciò che sono, adottando modelli di vario genere. Nietzsche vede in Flaubert e nei personaggi dei suoi romanzi uomini deboli, che non sono in grado di superare, di andare oltre la loro realtà immaginaria, anzi, soccombono sotto di essa, come nel caso di Madame Bovary. Questi non si trasformano nell’oltreuomo nietzscheano, rimangono vincolati ad una realtà inconsistente, al nulla, ad un nichilismo passivo che corrisponde ad una sorta di malattia che affligge il mondo moderno: uomini privi di volontà e incapaci di affrontare la vita reale. Uomini che oggi potremmo dire tendono a rifugiarsi nel metaverso, un mondo immaginario, per sfuggire alle conseguenze di una vita reale.

Ma chi farà le regole all’interno di un mondo virtuale, chi stabilirà i corretti parametri di comportamento?

Un mondo dove si crede non ci saranno conseguenze a livello etico e morale, dove ognuno potrà avere un avatar, una copia di sé stesso, o meglio un riflesso di sé, una copia migliorata e finta di ciò che si è.

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