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Dibattiti al bacon

di Pierluigi Fagan

L’argomento del post è il dibattito pubblico sulla guerra in Ucraina, la nostra analisi, invece, recupererà una analisi fatta a suo tempo da Francis Bacon (1561-1626) sui vari modi di far confusione nel pensiero, pubblico e privato. Andremo al sodo e quindi eviteremo citazioni puntuali del pensiero di Bacon, lo useremo a fini pratici.

I modi di far confusione nel pensiero e quindi poi nel giudizio, secondo l’inglese, erano (e sono) quattro.

Il primo deriva dalla natura umana. Fa parte della natura umana il pensiero e viepiù il pensiero riflessivo. Ma sebbene noi ci si sia rappresentati come logici e freddi calcolatori impersonali, analitici e razionali, la realtà è tutt’altra.

Quattro secoli di ricerche in filosofia (ad esempio la critica delle ragioni sociali delle ideologie o immagini di mondo, ma stiamo scoprendo che non è c’è solo la distorsione e parzialità di classe ma anche quella di genere, di anagrafe, quella etnica e quella delle varie forme di civiltà etc., la volontà di potenza, la critica delle forme dialettiche delle nostre convinzioni -vedi teoria critica-), in psicologia (vari grovigli di passioni sublimate, molti inconsci) e più di recente in scienze cognitive (cito Panksepp a titolo esemplificativo, più conosciuto Damasio, ma oggi c’è un intero filone sulla mente “embodied” e il ruolo dei neuroni intestinali), hanno sgretolato questa nostra convinzione eccessivamente raziocinante. Ma sebbene ampiamente falsificata, la convinzione rimane, alla faccia di Popper.

Un punto di confusione specifico è dato dalla indistinzione tra dati di fatto e giudizi di valore. Ad esempio, se provate a tagliar di netto tutto il vociante dibattito più che sulla guerra, sugli attori della guerra, loro presente intenzioni, loro quadri valoriali che li hanno spinti a giudizi e poi azioni, è un fatto sia che il governo ucraino da quattro mesi promette di riconquistare tutto il suo territorio, sia che non è riuscito a riconquistarne neanche un centimetro ma ha solo continuato a perderne. Qualcosa ha riguadagnato ma francamente sembra più per decisione tattica o strategica di ritiro da parte dei russi, che per propria forza. Tutto ciò è reso invisibile, altrimenti non si giustificherebbe la decisione iniziale di non trattare subito una resa meno costosa di quella che sarà nel mondo dei fatti per come si stanno, prevedibilmente e da alcuni regolarmente previsti, compiendo. Non si giustificherebbe altresì perché gli alleati di Kiev mandino lì uomini, mezzi e soldi a profusione, né il perché accollarsi i costi indiretti dei vari disastri energetici, economici, inflattivi, sanzionatori, migratori, alimentari, geopolitici a dimensione mondo etc. . Una nebbia di appelli ai valori [la giustizia, il sacrosanto diritto di resistenza, l’orgoglio nazionale, la difesa della democrazia (?)], che sono valori mirabili (come quelli del pacifismo) ma che appartengono ad una categoria che non c’entra nulla coi fatti, stende nebbia sui fatti rendendoli impalpabili e non decisivi. Prendono il posto dei fatti e così travestiti da ciò che non sono, chiamano giudizi del tutto inappropriati sovrapponendo a come la realtà è il come vorremo la realtà fosse. Il che risulta cattivo consiglio per prender decisioni.

Il secondo modo di far confusione è nelle forme di conoscenza individuali. I più, nulla sapevano di Ucraina, Russia, NATO, questioni militari, geopolitica, politica internazionale etc. Dalla fine di febbraio, hanno fatto corsi accelerati di conoscenza compressa, ma come? Hanno assunto idee di terzi senza aver la capacità di discriminare chi sono questi terzi, cosa a loro volta sanno (ad esempio la categoria degli opinionisti che generalizzano su giudizi di valore che applicano ora a questo, ora a quello, pur di riempire a basso costo l’oretta di palinsesto dell’emittente del discorso pubblico), quanto affidabile e circostanziato sia il loro sapere a base dei giudizi. Vengono scelti in base ai giudizi di valore, quelli che si ritengono “simili” a propri pregiudizi vanno bene, così da rinforzarli, quelli altri: peste, li colga!

Il terzo modo di far confusione è dato dallo stesso dibattito pubblico. Se si accede ad un dibattito fatto da confusi, ansiosi, esibizionisti, impreparati, frettolosi, superficiali, in conflitto di interesse, dove c’è un interesse specifico a giustificare comportamenti che sembrano non del tutto razionali (almeno rispetto alla razionalità dichiarata, poi magari ci sono ragioni -razionalissime ma inconfessabili- che giustificano appieno lo spreco di uomini, soldi e mezzi in corso da quattro mesi), davanti ad un pubblico irriflessivo ed ansioso che a sua volta vuole replicare su i social la realtà maggiore, in un minore fatta da Hyde Park corner in cui ognuno ha il sacrosanto diritto di dire la sua (quando spesso non è davvero la “sua” ma la ripetizione di ciò che ha ascoltato detto da altri, a volte in “marcottage” argomentativi dalle forme assai bizzarre), ecco lì che da premesse infondate non può che emergere un grande caos. Il caos, tra l’altro, aumenta l’ansia e quindi il ricorso a battute di spirito che la sciolgano in un nulla argomentativo, una dissoluzione di ogni significato così che se non c’è nulla da capire, sparisce l’ansia. Forse i social non nacquero con questa finalità, ma il fenomeno emergente finale è poi stato questo, amplificare la confusione generata da emotività ed ignoranza. Ricordo che la forma stessa dei media che veicolano il dibattito pubblico che è poi quello della pubblicità, tende a comprimere ed emozionare, l’arte della vendita che non sembra aver sostanza comune con l’arte di ragionare.

Il quarto modo, infine, è dato dalla presenza di diversi schemi, e nelle immagini di mondo, e nelle ideologie che le compongono. Entrambe, queste forme del pensiero, sono di solito poco cosciute o auto-conosciute dai loro stessi portatori. La più tipica distorsione nelle immagini di mondo è la sotto-dotazione di contenuto empirico e la sovrabbondanza di contenuti ideologici. Poi ci sono vari effetti di schiacciamento. Ad esempio, non contestualizzare, non approfondire nel tempo (storia del fenomeno), non domandarsi oltreché dell’esito delle sue conseguenze. Di fondo, si tratta sempre di tenere le cose del mondo dei fatti non collegate, il sistema causativo “disastri energetici, economici, inflattivi, sanzionatori, migratori, alimentari, geopolitici a dimensione mondo” non è percepito e conosciuto come sistema, è collezione incoerente (e spaventosa) di impressioni. Impressioni usate per orientare il giudizio.

Questa guerra di immagini di mondo combattenti, si incontra nel punto tre del dibattito pubblico in cui siamo spinti a odiare quello che crediamo l’altro stia pensando (e non dicendo, perché è disonesto intellettualmente, più o meno consapevolmente), basato su individui impreparati (emittenti e riceventi), settati su una ipervalutazione delle proprie facoltà razionali ovvero sottovalutazione dei propri pregiudizi emotivi e valoriali.

È incredibile come un tizio del Seicento, tra l’altro non tra i più simpatici o considerati nelle forme “alte” del pensiero continentale ci avesse visto lungo. Forse aveva ragione Foucault il quale, da buon archeologo-archivista, sosteneva che per capire a fondo la modernità, toccava tornare a studiare a fondo il Seicento. Vista la perfetta applicabilità teoria su gli “idola” (immagini) di Bacon alla formazione e gestione delle nostre forme pubbliche di democrazia delle opinioni detta "liberal-democrazia", volgendo in positivo la sua critica in negativo, forse viene il dubbio che qualcuno l’abbia fatto, chissà.

In fondo Bacon era inglese, il bacon americano, vuoi vedere che dietro il misfatto ci sono i soliti anglosassoni…

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