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Germania: bye bye surplus commerciale

di Matteo Bortolon

I dati relativi al mese di maggio scorso, diffusi dall’Agenzia federale tedesca di statistica (DESTATIS) il 4 luglio indicano che la Germania è in deficit commerciale per la prima volta dal 1991.

La notizia sta facendo scalpore perché l’immarcescibile surplus tedesco era considerato una costante delle dinamiche economiche europee, nonché uno dei fenomeni più discussi nel decennio scorso, come fonte di squilibri disfunzionali rispetto all’eurozona.

Ciò di cui si parla è la differenza numerica fra valore delle esportazioni ed importazioni: le prime portano ricchezza nel paese dall’estero, le seconde determinano un flusso in uscita.

Per avere un’idea solida di tale trend si deve considerare un lasso di tempo ampio, e le statistiche si incentrano normalmente sul termine di un anno. Le misurazioni mensili tendono a rifugiarsi nelle nicchie di esperti e specialisti, e difficilmente si fanno strada fino al grande pubblico, a meno che non siano eclatanti e catastrofiche. Ed il motivo è che una mensilità o anche un trimestre anomali possono essere riassorbiti in una dinamica di più lungo periodo.

Ma quali sono questi numeri? Nel mese di maggio la Germania ha esportato per un totale di 125,8 mld €, ed importato per 126,7 mld €, con un deficit di circa 1 mld. Come si può vedere in questo grafico, il saldo peggiore negli ultimi anni si era verificato nel pieno del covid-19, con un modesto ma tuttavia positivo +4 mld €.

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Vedendo i partner commerciali, si può vedere che il saldo rimane positivo rispetto ai paesi Ue, dove la Germania esporta per 46,8 mld ed importa per 42,4 mld, mentre verso il resto del mondo l’export è 58,3 mld e l’import 65. Perciò il problema risiede da qualche parte della bilancia commerciale con i paese extraeuropei.

L’unico partner rispetto a cui i conti tedeschi si sono deteriorati paiono essere gli Usa. La Germania è sempre in attivo, con un export di 13,4 mld rispetto ad un import di 9,7. Ma le importazione dal paese al di là dell’Atlantico sono aumentate da 7,4 a 9,7 mld.

Il motivo pare chiaro. L’unico settore cui può venir imputato un cambiamento strutturale è quello del gas e dell’energia. I paesi europei stanno vedendo un trend rialzista estremamente importante dei prezzi delle materie prime energetiche dal 2021, e la Germania è uno dei più dipendenti dalla Russia.

Anche nel resto del mondo tutte la materie prime sono aumentate, ma l’Europa è una regione particolarmente esposta ai contraccolpi della guerra, visto il tentativo di tagliare tutti i punti con la Russia e di ricorrere ai loro diretti concorrenti: gli Usa, che possono fornire gas liquefatto.

Anche se il deficit venisse riassorbito con una impennata dell’export in qualche altra parte dell’anno è un segnale sinistro per la celebrata potenza industriale germanica (difficile mantenere il conto dei “bisogna fare come i tedeschi”…), e tutto a vantaggio degli Usa.

È materia di dibattito corrente il fatto che l’ordine di scuderia dell’Occidente allargato sia di tagliare i ponti con la Russia, incluso l’imperativo di cercare fonti di approvvigionamento alternative, come si sono impegnati a fare come tante brave scolarette von del Leyen ed il resto della nomenclatura unionista; tutti molto rispettosi della linea già prefigurata dal documento della RAND corp. del 2019, secondo cui si doveva “incrementare le possibilità degli europei di importare gas da altri fornitori al di fuori della Russia”. Cioè gli stessi Usa, che sono fra i principali esportatori di gas liquefatto. Così facendo si prenderebbero anche la rivincita su un altro versante: da svariati anni in sedi ufficiali del governo statunitense compaiono critiche alla bilancia commerciale sfavorevole rispetto all’Ue (cioè alla Germania), che non può ricondursi alla passione di Trump per le guerre commerciali. In un rapporto del Tesoro Usa di giugno scorso si legge che “la posizione [finanziaria] estera della Germania è più forte di quanto non sia giustificato in base ai fondamentali economici e a politiche auspicabili [sic, corsivo mio], con un gap del saldo delle partite correnti stimato al 3,8% del pil”.

Quel che si dice prendere due piccioni con un fava. Un capolavoro delle classi dirigenti europee, dotate di una inettitudine e un servilismo davvero monumentali.

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