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sollevazione2

Nè elettoralismo nè movimentismo

di Correntone Sovranista

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

Il “Correntone Sovranista” raggruppa alcuni militanti recentemente fuoriusciti da Riconquistate l’Italia. Giuste le critiche a quella che noi abbiamo chiamato “boria di partito” —tanto più stucchevole questa boria visti i partiti in questione — e quelle ai limiti intrinseci al cosiddetto “movimentismo”. In verità, chi sta davvero nei movimenti dell’opposizione realmente esistente, sa bene che le cose sono alquanto più complesse ovvero, più ancora che dal movimentismo, i pericoli vengono dalle correnti che propongono fughe improbabili qui e ora verso “un mondo parallelo”, quindi dal l’arruffapopulismo e da certo ambiguo sovversivismo parolaio. Insomma evitiamo analisi e giudizi che rischiano di essere superficiali o di andare fuori bersaglio.

* * * *

  1. Lo stallo dei partiti

Abbiamo preso atto dei risultati delle elezioni amministrative del 12 giugno, che molto sinteticamente possono riassumersi così: anche se l’altissima astensione lascia intendere un potenziale inespresso, i partiti che oggi si oppongono realmente alla situazione di attacco alla democrazia costituzionale e allo stato d’emergenza permanente sono di recentissima costituzione, dunque misconosciuti alla stragrande maggioranza degli italiani.

Ci sono piccoli soggetti politici che si presentano alle elezioni divisi pur pescando voti nella medesima area ma nessuno di essi, al momento, sembrerebbe avere le carte in regola per svolgere un ruolo trainante e atto a far coalizzare fra loro le diverse formazioni.

Proviamo a riassumere velocemente lo stato dei partiti d’opposizione tenendo però conto del fatto che, essendo tutto in perpetua via di ridefinizione, fare il punto della situazione assume un valore sempre e comunque momentaneo.

Rispetto al periodo pre-amministrative, la novità più rilevante sembra essere l’inedita coalizione a tre – che ha visto la luce con la conferenza stampa svoltasi in Senato annunciante per il 18 di giugno mobilitazioni in diverse città italiane “contro la guerra, il carovita e per il lavoro” – composta dal Partito Comunista, Ancora Italia e Riconquistare l’Italia. Quest’alleanza, pur essendo l’elemento di novità al momento più promettente, sta però sorgendo tra mille difficoltà in quanto parte della base del PC si sta ribellando all’idea di collaborare con le forze sovraniste – non avendo ancora minimamente elaborato, l’ambito nominalmente comunista, la fine della tradizionale dicotomia destra/sinistra nell’attuale fase di totalitarismo neoliberale.

Alla suddetta alleanza a tre, sembrava dovesse aggiungersi il gruppo parlamentare di Alternativa – composto da ex deputati M5S – ma suddetta formazione, invece, sembra in procinto sia di spaccarsi che di finire nell’orbita di Gianluigi Paragone e Italexit.

Quest’ultima, è una delle forze che maggiormente rappresentano oggi un ostacolo alla possibilità di creare un fronte unitario, in quanto essa è perentoriamente convinta della propria autosufficienza e, quindi, di non avere bisogno di stipulare alleanza alcuna. Ma alla succitata tornata del 12 giugno, il partito di Paragone ha ottenuto nella decina di città in cui si è presentato da solo risultati non certo esaltanti, molto al di sotto quel 4% che alcuni sondaggi gli avevano attribuito.

L’altra forza che osteggia l’idea di far nascere un fronte unitario, è il Movimento 3V guidato da Luca Teodori. Anch’esso, alle elezioni, si è reso protagonista di una performance poco esaltante giacché, anche in questo caso, con risultato medio inferiore al 2%.

Alla fine, gli unici due consiglieri d’opposizione eletti nella tornata, sono stati l’ex-europarlamentare Francesca Donato nella sua Palermo e Mattia Crucioli, significativamente un ex M5S che è diventato il candidato sindaco – a Genova – d’una coalizione composta da Italexit, Alternativa, Ancora Italia, Partito Comunista, Riconquistare l’Italia e col sostegno decisivo del movimento genovese No Greenpass di Libera Piazza. Il risultato genovese dimostra, pur nella sua evidente parzialità, che l’unità elettorale delle formazioni d’opposizione è l’unico dispositivo atto a fare la differenza. Per questo, al netto di come si svilupperà il quadro generale, riteniamo che il compito di tutti i militanti in buona fede sia, nei prossimi mesi, quello che la prospettiva di un fronte compiutamente unitario rimanga aperta fino all’ultimo secondo utile.

Questo significa assumere e rilanciare i contenuti dell’Appello del 100, lanciato dalla rete di comitati territoriali denominata Resistenza Costituzionale alcuni mesi fa e volto a proporre la confederazione fra tutte le forze d’opposizione democratica sulla base di pochi e qualificanti punti d’indirizzo programmatico.

Se poi per varie ragioni oggettive – ma soprattutto soggettive, ovvero legate alla citata mancanza di volontà di alcuni leader nazionali – il fronte unitario non riuscisse a materializzarsi, la scelta riteniamo che dovrebbe necessariamente escludere quelle forze che si considerano autosufficienti e che dovrebbe premiare, invece, quelle formazioni che una parziale aggregazione hanno comunque saputo realizzarla. In questo senso, la coalizione PC-AI-RI risulta quella col maggior numero di carte in regola, ma sarebbe importante dare a essa credito non tanto per ciò che è quanto per quello che potrebbe diventare. Infatti, oltre a rischiare di essere percepita da una parte di coloro che hanno partecipato alle mobilitazioni in questi mesi come un’alleanza monca o forse come un’operazione verticistica, al momento suddetta coalizione difficilmente sarebbe in grado di superare lo sbarramento del 3%; tale obiettivo potrebbe essere raggiunto solo se si riuscisse a riportare alle urne almeno una parte della massa astensionista; quest’ultima potrebbe convincersi ad andare oltre l’attuale rassegnazione solo se attirata da quel valore aggiunto ch’è insito in una coalizione il più ampia possibile, nonché dalla capacità di saldare l’offerta elettorale all’agenda della crisi economica crescente e alla ripresa del conflitto sociale. In buona sostanza, questo significa superare steccati e diffidenze tra partiti e movimenti.

Dal momento che anche le formazioni partitiche di quella coalizione più diffidenti verso la forma-movimento hanno finito, negli ultimi mesi, per partecipare continuativamente alle manifestazioni di piazza, confidiamo che esistano i margini per realizzare tale auspicio.

 

  1. Lo stallo dei movimenti

Se Atene piange, Sparta non ride. Allo stallo dei partiti, infatti, corrisponde uno stallo dei movimenti finanche più grave.

La criticità della situazione è chiaramente palesata dal progressivo venir meno, per tutto il 2022, della partecipazione popolare alle mobilitazioni di piazza. Una situazione di apatia sociale che neanche i nuovi stati d’emergenza cavalcati dal governo – bellico prima, climatico poi – hanno contribuito a modificare. Ma all’interno dei movimenti vi è anche un deficit culturale, che ha una funzione di zavorra pari a quella che, nei partiti, hanno le tendenze soggettivistiche o di attribuzione d’importanza esclusiva al piano elettorale.

Senza dubbio, la nuova opposizione palesatasi negli ultimi due anni presso tutte le piazze d’Italia, esprime una positiva discontinuità sia rispetto ai vecchi movimenti di sinistra, sia rispetto alle recenti espressioni di partecipazione politica contrassegnate come “populiste”. Presso le singole persone che riempiono queste piazza, concetti come democrazia costituzionale, sovranità nazionale, abbandono della diade destra-sinistra e difesa della dimensione specifica dell’umano, risultano diffuse e relativamente chiare. Non si tratta di questioni assorbite in termini di analisi, quanto di elementi storicamente compresi attraverso l’intuizione e l’osservazione.

A questa positiva “coscienza politica intuitiva”, purtroppo, fa da contraltare una altrettanto diffusa tendenza fatta di antipolitica e di vero e proprio trogloditismo politico. L’antipolitica si palesa attraverso una sedimentata ostilità verso la forma-partito in quanto tale nonché verso la delega e la rappresentanza. Ignare del fatto che siano stati i poteri economici del neoliberalismo, durante tutta la Seconda Repubblica, ad aver alimentato la polemica contro i partiti, la Costituzione e il Parlamento al fine di assumere il pieno controllo delle istituzioni, molte persone considerano formazioni come Ancora Italia o Riconquistare l’Italia equivalenti al PD o alla Lega; reputano, altresì, che chiunque si impegni su un versante direttivo o di mero coordinamento, sia un arrivista a caccia di poltrone; infine, qualunque esponente del movimento di protesta che per varie ragioni assume maggiore visibilità sui media mainstream, diventa automaticamente, per l’area dell’antipolitica, un “gatekeeper”.

Possiamo invece considerare come trogloditismo tutto un insieme di aspirazioni e istanze di palingenesi immediata (vedi il valore messianico e risolutivo che viene attribuito al manifestare a Roma), il disprezzo per la delega (“noi siamo il Popolo”), lo spiritualismo irrazionale (“abbiamo già vinto”) e, infine, la velleitaria tendenza a ricercare innalzamenti del livello di scontro nelle più totale noncuranza e ignoranza delle conseguenze sul piano della repressione penale-giudiziaria.

Dinanzi a tutto questo, va bene essere pazienti e finanche pedagogici ma neppure si può pretendere, dopo un anno e mezzo di mobilitazioni, che nulla sia stato elaborato e compreso. Se ancora oggi, dopo ripetute convergenze e sinergie tra movimenti e partiti, ancora si deve discutere del fatto che i partiti – in quanto tali – sarebbero in antitesi all’espressione della soggettività popolare, bisogna che si arrivi democraticamente a una conta interna con i latori di queste istanze regressive.

Ed è singolare che, nell’ultimo mese, chi sembrerebbe essere rimasto con il cerino in mano sia proprio quell’area di movimento che, lungi dal cavalcare l’antipolitica, più si è data da fare per mettere in comunicazione i due mondi apparentemente distinti dell’elettoralismo e del movimentismo: ovvero i comitati e i coordinamenti delle singole città che si sono confederati sotto la sigla Resistenza Costituzionale. Quest’ultima, in occasione dello scorso Primo Maggio a Padova, oltre a portare in piazze molte migliaia di persone in controtendenza con la recente tendenza al riflusso, ha invitato i rappresentanti delle organizzazioni partitiche sul palco perché si esprimessero, dinanzi a una vasta folla, sull’adesione o meno a una coalizione elettorale unitaria. Ai pur promettenti segnali emersi in quella circostanza, però, hanno fatto seguito accordi separati fra i soli partiti che hanno portato allo scenario attuale, ovvero quello di tre formazioni distinte e in competizione fra loro – M3V più associazioni alleate, Italexit e coalizione AI-RI-PC – che risulta decisamente inadeguato alla fase storica e alla posta in gioco, che riguarda il permanere o meno di un sistema democratico.

Pertanto, è necessario che Resistenza Costituzionale, il Fronte del Dissenso e tutte le realtà che hanno animato i movimenti di piazza negli ultimi anni, si siedano al tavolo delle trattative con la coalizione AI-RI-PC – che non è che nelle settimane scorse avesse del tutto chiuso le porte al dialogo – per impegnarsi a cercare una possibile congiuntura operativa e programmatica. Per ottenere tale risultato, però, è anche necessario che i movimenti non pretendano d’imporre l’assemblearismo permanente alle altre organizzazioni, bensì si forniscano di strumenti di delega atti a disporre di persone che, con mandato chiaro e definito, possano agevolmente trattare coi partiti.

Naturalmente, abbiamo citato la coalizione AI-RI-PC solo come passaggio intermedio in favore d’una aggregazione di forze che, per quanto parziale, almeno si è costituita. La priorità, infatti, riteniamo debba continuare a essere attribuita all’ipotesi di convergenza unitaria fra tutte le forze dell’opposizione. Questa tesi deve continuare a essere promossa nei mesi a seguire e sostenuta, come dicevamo più sopra, fino all’ultimo secondo utile. Un discorso, questo, che vale per i citati M3V, Italexit e Alternativa, per il CLN di Ugo Mattei impegnato in questi giorni nel tentativo di svolgere un ruolo “confederatore”, nonché per tutte le altre formazioni che non elenchiamo per evitare dimenticanze.Qualcuno potrebbe obiettare che una coalizione così eterogenea, esprimendo visioni del mondo diverse, poggerebbe su basi fragili. Noi non neghiamo la fondatezza di tale obiezione, ma ribadiamo quale sia la necessità dell’attuale passaggio storico: a fronte di un colpo di stato sovranazionale e di rischio esistenziale per la democrazia, occorre un’alleanza elettorale il più vasta possibile che, insieme alla mobilitazione popolare, abbatta il Governo Draghi e liberi il paese dall’eterodirezione da parte di organismi sovranazionali non eletti.

Certamente, molte cose dovranno essere verificate in occasione degli appuntamenti dei prossimi giorni come, per esempio, la kermesse di M3V del 9-10 luglio e il congresso di Ancora Italia del 12-13 luglio.

 

  1. Conclusioni (temporanee)

Comunque vadano le cose, riteniamo con ragionevole certezza che uno sviluppo della forza dell’opposizione costituzionale al regime in carica, passi dal superamento delle dinamiche autoreferenziali presso i partiti e nel parallelo superamento della subcultura antipolitica presso imovimenti.

Elettoralismo e movimentismo sono ferrivecchi del passato da una parte, espressioni di oblio della memoria storica dall’altra: tutti i movimenti rivoluzionari che nella storia europea abbiano conseguito risultati, infatti, hanno utilizzato tanto la partecipazione elettorale quanto la mobilitazione sociale.

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