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codicerosso

L’uomo-macchina, l’amicizia e il Covid: “siamo tutti in pericolo”

di Guy Van Stratten 

Nomen amicitiae, sic, quatenus expedit, haeret
La parola amicizia solo se serve dura
Petronio, Satyricon

Una cosa è certa: gli strascichi sociali e psicologici dell’emergenza Covid hanno ‘macchinizzato’ ancora di più le persone. Già negli anni Sessanta, Herbert Marcuse, nel suo celebre saggio L’uomo a una dimensione, osservava come gli individui, nella società industriale avanzata, fossero ormai ridotti a degli ingranaggi, a delle macchine, sottoposti a una diffusa disumanizzazione e meccanizzazione. Pier Paolo Pasolini (il cui pensiero deve non poco a Marcuse e agli altri ‘francofortesi’) poco prima di essere ucciso, il 2 novembre del 1975, rilasciò un’intervista, poi pubblicata col titolo Siamo tutti in pericolo, in cui affermava: “La tragedia è che non ci sono più esseri umani, ci sono strane macchine che sbattono l’una contro l’altra” (Siamo tutti in pericolo, in “Tuttolibri”, I, 2, 8 novembre 1975 ora in P.P. Pasolini, Scritti sulla politica e sulla società, a cura di W. Siti e S. De Laude, Mondadori, Milano, 2016).

Queste “strane macchine che sbattono l’una contro l’altra” sono irretite in una fitta maglia di poteri. Un anno dopo l’intervista di Pasolini, nel 1976, Michel Foucault, in una conferenza pronunciata alla facoltà di filosofia dell’università di Bahia, così si esprimeva: “Una società non è un corpo unitario in cui si esercita soltanto un potere; in realtà, è una giustapposizione, un legame, una connessione, anche una gerarchia di differenti poteri, che però conservano la loro specificità” (ora in M. Foucault, Estetica dell’esistenza, etica, politica. Archivio Foucault 3. Interventi, colloqui, interviste. 1978-1985, Feltrinelli, Milano, 2020, p. 159). Sono poteri che si intersecano, che uniscono, avvicinano ed escludono.

Per ‘macchinizzazione’ degli individui si intende qui un processo di disumanizzazione. Come sappiamo, e come è stato riportato da dati statistici relativi ad analisi di tipo sociale, dopo la pandemia ci sono state rotture e divisioni fra amici, spaccature di gruppi amicali per il modo d’intendere l’emergenza, soprattutto in relazione al lockdown e al vaccino. Ora, qui, vorremmo osservare tutti questi fenomeni per mezzo di una distanza fredda e oggettiva, come se il nostro fosse lo sguardo distaccato dell’entomologo che osserva i suoi oggetti di studio. Da una parte, gruppi di amici anche stretti e intimi si sono spaccati perché sono stati isolati i cosiddetti ‘no vax’ (epiteto creato dalla stampa borghese e che qui utilizzo non senza un certo ribrezzo, giusto per farmi capire): allora, gli ‘amici’ che hanno rifiutato il vaccino sono stati immediatamente isolati e ghettizzati. Ma è vero anche il contrario: c’è anche chi è stato isolato dai suoi amici contrari al vaccino semplicemente perché si è fatto inoculare il siero. Perché, loro, alfieri della libertà e della resistenza, non riconoscono più il loro amico che è diventato schiavo del governo e del potere. Ma abbiamo appena capito, grazie a Foucault, che di potere non ce n’è uno solo: anche loro, isolandolo, hanno usato una forma di potere nella sua forma più estrema e brutale. Da entrambe le parti si è messo in atto il potere dell’esclusione, della ghettizzazione, della discriminazione. Gli esclusi, i ghettizzati, i discriminati non sono degli sconosciuti, ma degli amici che fino a poche ore prima condividevano una gran parte della loro vita con chi li ha esclusi (e il potere escludente diventa ancora più terribile e disumano se è stato introiettato e utilizzato da un gruppo contro un singolo).

Chi, in nome della sua presunta libertà, in nome della ribellione a una imposizione giunta dall’alto, giunge ad allontanare i propri amici a causa della loro scelta è il peggiore schiavo di tutti, è l’uomo-macchina perfetto. Con ciò, non intendo certo negare che da parte dei poteri ‘alti’, per mezzo della campagna di vaccinazione, non ci sia stata una coercitiva volontà di disciplinamento collettivo mai vista prima. Basta dare un’occhiata a tutti gli articoli che ho scritto su questo sito dalla primavera 2020 fino a tutto il 2021. Quello che invece vorrei porre in rilievo, in nome dell’intelligenza e della razionalità, è che la campagna di disciplinamento da parte dei piani alti ha funzionato perfettamente. Chi si crede libero avendo allontanato dalla propria vita un suo ‘ex amico’ perché non ha fatto il vaccino o perché lo ha fatto, ha obbedito in tutto e per tutto a ciò che avrebbero voluto quei fantomatici poteri ‘alti’. Si è disumanizzato, si è trasformato in una macchina. Come un perfetto consumatore che, in un centro commerciale, predilige alcuni oggetti rispetto ad altri. Dimenticando la sua essenza umana, ha scelto i propri amici in base a un diktat ideologico e non in base all’umanità, nello stesso identico modo in cui in un supermercato sceglie una merce piuttosto che un’altra. Le fitte maglie di poteri che agiscono nell’universo digitale dei social, in definitiva, stanno snaturando lo stesso concetto di ‘amicizia’. Certo, cosa volete che sia, è facile cancellare un amico da Facebook e così, sembra, anche nella vita reale. Miserevolmente, ci sentiamo eroi perché abbiamo resistito alle imposizioni del governo e abbiamo allontanato i nostri amici servi del governo. Vorrei essere chiaro: parlo in nome della razionalità e della lucidità perché odio e aborro qualsiasi tipo di fanatismo, e sono colto da conati di vomito quando sento la parola “eroe”.

Spesso, magari, questi gruppi di amici si sono sfaldati senza neanche più vedersi, soltanto parlandosi con i messaggi watsapp, telegram o messenger. È bastato un messaggio: “basta, non hai fatto (o hai fatto) il vaccino, non ti voglio più vedere!”. Infatti, come osserva David Lapoujade in un volume in cui rilegge in modo interessante il pensiero di Deleuze, “non siamo soltanto assoggettati alle macchine, siamo anche asserviti a esse, nel senso che, come l’asservimento dispotico integrava le popolazioni umane in una mega-macchina imperiale, le nuove tecnologie integrano le popolazioni umane in nuove macchine sotto forma di banche dati, di algoritmi, di flussi d’informazioni”. Lo studioso, poi, continua così: “Viviamo in un mondo-schermo, un mondo popolato esclusivamente d’immagini che sfilano senza posa e comunicano direttamente le loro informazioni a un cervello continuamente saturo. All’estremo, non c’è più un mondo esteriore in cui agire; non c’è altro che uno schermo o una tavola d’informazione con la quale interagire” (D. Lapoujade, Deleuze. I movimenti aberranti, a c. di C. D’Aurizio, Mimesis, Milano-Udine, 2020, pp. 258-259).

Il fatto che molte amicizie e molti gruppi sociali si siano fratturati e divisi dopo l’emergenza Covid, dimostra che viviamo ormai in una società completamente macchinizzata e digitalizzata, un mondo virtuale come quello che ha genialmente riscostruito Steven Spielberg in Ready Player One. Siamo davvero “tutti in pericolo”, al di là di qualsiasi metafora, perché le idee e i fanatismi emersi dal mondo-schermo che ci governa sono diventati più importanti dei rapporti sociali in carne e ossa, dei momenti condivisi, delle gioie e dei dolori vissuti insieme, dei sorrisi, degli abbracci passati, dei dolci irripetibili momenti. E chi non si è completamente disumanizzato, chissà, si ritroverà con le “energie disperse, a ricercare i visi che ti han dimenticato, vestendo abiti lisi, buoni a ogni esperienza”, come cantava Guccini, dopo aver finalmente gettato il suo smartphone in un mare profondo come la notte.

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