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L'(auto)imprenditorialità come “competenza chiave di cittadinanza”. Parodia di un abominio

di Andrea Muni

Infine bisogna che la vita stessa dell’individuo – ad esempio, il suo rapporto con la proprietà privata, con la famiglia, con la sua conduzione, con i sistemi assicurativi e con la pensione – faccia di lui e della sua vita una sorta di impresa permanente e multipla. […] Il soggetto è sottoposto alla governamentalità (ossia, si potrà aver presa su di lui) solo e unicamente nella misura in cui egli è un homo oeconomicus. […] L’homo oeconomicus è colui che accetta la realtà. E la condotta razionale è dunque ogni condotta che risulta sensibile a modificazioni nelle variabili dell’ambiente e che risponde a esse in modo non aleatorio, e dunque sistematico, mentre l’economia potrà definirsi [allora] come la scienza della sistematicità delle risposte alle variabili dell’ambiente. […] L’homo oeconomicus [contemporaneo] – colui che che accetta la realtà e che risponde in modo sistematico alle modificazioni prodotte sull’“ambiente” [che lo circonda] – appare come colui che è possibile maneggiare a partire dalle modificazioni sistematiche che vengono introdotte. […] L’homo oeconomicus è l’imprenditore, l’imprenditore di se stesso, [colui] che è il proprio capitale, il produttore di sé e della fonte dei propri redditi.

(Nascita della Biopolitica, M. Foucault)

Dal 2006 la Commissione e il Parlamento europeo promuovono una serie di “competenze-chiave” di cittadinanza che, riviste e ritoccate (in particolare nel 2018), informano tutti i percorsi di formazione e istruzione statali e regionali. Non solo, una versione più stringata di queste competenze, che vengono raggruppate in quattro settori, è anche il “faro” delle Linee Guida che hanno seguito la Legge 145/2018 riguardante i nuovi percorsi di Alternanza scuola/lavoro, rinominati PCTO. Credo sia un gesto politico e culturale fondamentale addentrarsi nei putrescenti meandri ideologici di quello che accade sotto i nostri occhi ai nostri figli, ai nostri amici, ai tanti giovani che non possono quasi più nemmeno rendersi fino a che punto la dittatura neoliberale (e la sua ideologia) siano – in un doppio movimento – scivolati in sottopelle (facendosi “anima” e “io”), mentre al contempo risplendono in piena luce (senza nemmeno più bisogno di sotterfugi e con tanto di documenti programmatici). Le Linee Guida che andremo ad analizzare a breve nel dettaglio lo dimostrano, sono lì, ognuno può esaminarle e trovarci qualcosa di strano: sono l’ossatura, lo scheletro teorico, di una vera e propria educazione allo (auto)sfruttamento selvaggio e intensivo. Un (auto)sfruttamento perseguito attraverso la mostruosa e sistematica deformazione di ogni pulsione sociale e creativa a scopi agonistici e di lucro. Analizziamo dunque più nel dettaglio le particolari skills che vanno a comporre queste competenze chiave di cittadinanza nella forma dell'(auto)imprenditorialità, e cerchiamo finalmente – sforzandoci, stropicciandoci gli occhi – di vederne la filigrana, il lato più oscuro.

Ognuna delle otto “competenze” meriterebbe un’analisi impietosa a sé stante (che sarebbe bello magari creare collettivamente, nel caso qualcun altro volesse cimentarsi in un’operazione analoga). In ogni caso, le preziose Linee Guida menzionate, ci onorano di una fine e dettagliata specificazione di queste “sospette” competenze imprenditoriali. Vediamo nel dettaglio le varie voci e proviamo a “tradurle” dal gergo burocratico neoliberale in un linguaggio comune e più vicino al reale dello sfruttamento intensivo che pulsa sotto cotanto spreco di imbellettati e moraleggianti buoni propositi. Cerchiamo di farlo, almeno, prendendoci la soddisfazione di riderci un po’ su.

Creatività e immaginazione: sii creativo, non importa come o perché. La creatività è la cosa che di te potrai e potremo mettere a frutto, quindi se non sei creativo di tuo, abbiamo già preparato una serie di “imprese” e di “idee” (banalissime) che potrai mimare fingendoti tale e cercando di farcela nel grande Gioco dell’Oca. Se per caso invece sei davvero una persona creativa, allora affrettati, che aspetti (!!!), sono veramente euforico di comunicarti che puoi fare soldi con le tue passioni e con il lato migliore di te. Presto, mettilo al lavoro! Non vorrai mica lasciare che tutto questo ben di dio, tutto questo “capitale umano”, vada sprecato in pura perdita! Si dice che un giorno uno studente – durante uno dei training autoimprenditoriali che vengono impartiti senza il minimo rispetto della persona umana nelle scuole e nei corsi di formazione – di fronte all’esortazione a lavorare con le proprie passioni abbia fatto notare come a tutti piaccia fare l’amore, ma che farlo per lavoro decisamente non è il massimo della vita, né una prospettiva troppo allettante (non si capisce perché il discorso dovrebbe funzionare diversamente per altri tipi di lavoro e per altri tipi di passioni).

Capacità di pensiero strategico e risoluzione dei problemi: Eh sì, eh. Ascolta bene, mio caro giovane in PCTO, mio bravo “sub-umano” disoccupato costretto a farsi il corsettino punitivo di autoimprenditorialità dell’INPS per poter prendere la disoccupazione. Tu qui ti devi organizzare, mi devi pensare progettualmente e strategicamente, devi risolvere i problemi che ti crei, risolvere – tu stesso – quelli che potresti creare coi tuoi dubbi, con le tue rivendicazioni. Ma se farai il bravo e ti dedicherai invece a risolvere i problemi dell’azienda (del padrone) sarai molto amato (anche se forse non dai tuoi compagni), perché non c’è niente che il Capitale ami di più al mondo di quella piccola sgraziata orda di angeli neri che, in attesa di essere toccati e trasformati in oro dalla sua grazia, “risolvono” in sua vece quel fastidioso problema che le resistenze opposta dai lavoratori al loro sfruttamento.

Capacità di trasformare le idee in azioni: poesia, quint’essenza dell’ideologia neoliberale, in cui si dà per scontato che le idee, i pensieri e i progetti precedano le azioni. In cui appare ovvio che il soggetto della vita, il soggetto che piange, ride, fa l’amore e fa la festa, non sia altro che un burattino telecomandato dal soggetto mentale-economico-progettuale che sforna di continuo “idee” (ovviamente imprenditoriali) che aspettano soltanto di essere tradotte in azioni.

Capacità di riflessione critica e costruttiva: ma soprattutto costruttiva. Più costruttiva che critica, diciamocelo. Le capacità di riflessione critica – come la famosa storiella della carriola di Bateson, o come l’esempio wittgensteiniano del metro campione di Parigi (di cui non si può davvero dire che è lungo un metro, poiché è l’oggetto reale che stabilisce la lunghezza “metro”) – possono esercitarsi su tutto tranne che sui più scomodi e radicati presupposti della nostra realtà. La critica non deve mai arrivare a toccare se stessa, non deve mai “tornare” al punto di partenza, guardare in faccia da quale cultura scaturisce. Deve essere critica “costruttiva”, cioè ipocrita: critica del diverso da sé, del diverso da ciò che l’ideologia neoliberale ha fatto di noi. Mai autocritica.

Capacità di assumere l’iniziativa: sì vecchio mio, dai, assumiti ‘sta iniziativa (imprenditoriale e non). Esponiti, sbilanciati, mettiti in gioco. Questo aspetto della pedagogia autoimprenditoriale è uno dei più imbarazzanti, poiché forza i giovani, spesso anche quelli più insicuri, a mettersi in mostra, a scimmiottare persone di successo, a fare il training autogeno e le “visualizzazioni” per (auto)indursi – skinnerianamente e comportamentisticamente – ad agire, pensare e vivere come tanti piccoli emuli di Elon Musk.

Capacità di lavorare sia in modalità collaborativa in gruppo sia in maniera autonoma: certo, tanto l’importante, la parola d’ordine, è lavorare e lavorare sempre al massimo. Se in gruppo, lavorando “per il gruppo”, “per il team”, “per la squadra”, se da soli “per se stessi”, “per i propri sogni”, “per essere all’altezza degli obiettivi che ci si è posti”.

Capacità di mantenere il ritmo dell’attività: ovvio, mica vorrai essere tu la pecora nera, se poi nella fretta ti mozzi un dito nel tornio (come Lulù de La classe operaia va in paradiso), o tagliando un pezzo con la sega a mani nude (cosa che succede oggi, spesso, nelle fabbriche del nord Italia), beh cazzi tuoi!

Capacità di comunicare e negoziare efficacemente con gli altri: ah sì, sì, questo poi è fondamentale. Sul lavoro bisogna sempre andare d’accordo, sennò la produzione ne risente. Andare d’accordo coi lecchini, con gli infami, con i superiori che fanno gli interessi del padrone. Altrimenti… Sei tu l’attaccabrighe.

Capacità di gestire l’incertezza, l’ambiguità e il rischio: sì, hai capito bene. Il rischio è tuo, l’insicurezza è tua, tutta tua. Ma soprattutto l’ambiguità è tua, e ti ci devi ambientare, te la devi proprio arredare vecchio mio questa ambiguità. È la tua casa. Contratti di tre mesi in tre mesi, mentre vieni adulato per quanto sei bravo e poi alla terza scadenza rimani a casa come uno stronzo. Normale, è la realtà bello. Devi saper gestire queste cose, ti ci educhiamo apposta…

Capacità di possedere spirito di iniziativa e autoconsapevolezza: repetita iuvant. Autoconsapevolezza come parola buttata lì a caso, senza oggetto (autoconsapevolezza “di cosa”?). Profumo di spiritualità (auto)imprenditoriale.

Capacità di essere proattivi e lungimiranti: chiaro, loro ti fanno contratti di tre mesi in tre mesi, ti costringono ad aprire partita iva per fare lavori da dipendente, ti pagano sette euro all’ora dopo dodici anni, ti demansionano e trasferiscono a piacimento, ma TU devi restare proattivo e – niente di meno – lungimirante.

Capacità di coraggio e perseveranza nel raggiungimento degli obiettivi: coraggio e perseveranza, cavalieri della fede, il gran finale di questa luminosa carrellata vira ormai verso un puro breviario etico, una torah di comandamenti (auto)imprenditorial-religiosi.

Capacità di motivare gli altri e valorizzare le loro idee, di provare empatia: non poteva mancare in conclusione una spruzzata di falso altruismo, all’interno di un orizzonte ideologico che è letteralmente la fucina della più marcia competitività e del più triste egocentrismo. Non poteva mancare questa foglia di fico, in particolare nella forma della fantastica empatia, da esercitarsi sempre nei confronti dei superiori, nei confronti del padrone. L’empatia come passe par tout, come esortazione a capire sempre la campana di chi ci sfrutta e umilia, a “comprendere” le ragioni, la necessità, l’inaggirabile realtà di questo sfruttamento (Mark Fisher, dove sei?!). Eppure, non si capisce perché il fatto che io capisca le ragioni del mio avversario o del mio nemico dovrebbe impedirmi di battermi con lui…

Capacità di accettare la responsabilità: realtà, responsabilità, accettare. La responsabilità di questo triste Sisifo moderno, non quello di Camus, ma quello incarnato dai tanti giovani che oggi cercano – spesso provando schifo per se stessi – di destreggiarsi in quest’incubo autoimprenditoriale, di farcela all’interno di queste abbruttenti e malate regole del gioco – che coprono il dentro e il fuori di piaghe, di vergogne di sé.

Ma la responsabilità di aver tradito se stessi, in buona o cattiva fede, quella presto o tardi arriva a tormentare chi ha ceduto, chi – per stanchezza o per paura – si è lasciato sedurre, fa capolino nei riflessi, negli specchi, dove sempre più spesso balena il volto deformato e digrignante di quel mortale ritratto di noi stessi che abbiamo nascosto in soffitta…

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