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bastaconeurocrisi

Risparmio privato e investimenti

di Marco Cattaneo

Ogni tanto penso (e non vorrei che mi fosse imputato di assumere atteggiamenti elitari…) che prima di commentare dati e fatti economici occorrerebbe che chi parla dimostrasse di aver sostenuto un esame di contabilità nazionale, o quantomeno (o forse meglio ancora) di ragioneria e partita doppia.

Per carità, elitario mai. Tutti hanno diritto di parola e di opinione.

Però debunkare alcuni ragionamenti apparentemente sensati, ma in realtà sconnessi dalla realtà, è un esercizio utile, anzi doveroso.

Ad esempio, un classico è l’affermazione che “l’Italia ha un enorme risparmio privato ma viene utilizzato per alimentare investimenti esteri, bisogna che rimanga qui e sostenga la crescita italiana”. E quindi via con le proposte sugli incentivi fiscali alle quotazioni in borsa, o roba del genere.

Come al solito, meglio guardare i dati e rifletterci un po’ sopra.

Ecco qui di seguito la Net International Investment Position del nostro paese, dati Bankitalia al 31.12.2021.

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Sulle prime si potrebbe pensare che i dati diano ragione ai commentatori sopra citati. I residenti italiani detengono la bellezza di 3.339 miliardi di investimenti all’estero.

Soltanto che, a loro volta, gli stranieri hanno investito in Italia e il controvalore dei loro investimenti è dello stesso ordine di grandezza: 3.207 miliardi.

Il saldo netto è positivo – gli italiani hanno investito all’estero più degli stranieri nel nostro paese – ma la differenza non è una cifra eclatante: 132 miliardi.

Tra parentesi l’accumulo di un controvalore positivo è la conseguenza di surplus commerciali esteri generati in passato. Quei 132 miliardi si sono formati negli ultimi anni, in cui l’Italia ha prodotto saldi commerciali esteri positivi. Nel 2022 potrebbero calare, perché il saldo estero dai 60 miliardi circa annui degli anni recenti sta puntando verso lo zero, o forse diventando leggermente negativo, per l’impennata dei prezzi di gas, petrolio (principalmente) e altre materie prime. Le cause (rotture delle catene di fornitura post fine Covid lockdown, guerra in Ucraina) sono ben note.

In realtà c’è un sistema molto sicuro per fare in modo che gli investimenti italiani all’estero divengano inferiori a quelli stranieri in Italia: andare in deficit negli scambi di beni e servizi con l’estero. Ma visto che questo deficit lo dobbiamo finanziare in una moneta straniera (l’euro o casomai il dollaro) non mi sembra una grande idea.

Tra l’altro per ogni commentatore che si lamenta del “risparmio italiano che scappa all’estero” un altro puntualmente strepita contro “gli stranieri che vengono a colonizzare l’Italia comprandoci le aziende”.

Poi vedi che gli investimenti diretti azionari italiani all’estero (488 miliardi) sono superiori a quelli stranieri in Italia (361).

Il punto è che in Italia si investe troppo poco in beni reali e produttivi, certo. Ma non perché il risparmio italiano scappi all’estero più di quanto quello straniero arrivi in Italia.

In Italia si investe poco perché da un quarto di secolo, dall’euroaggancio in poi, ci siamo assoggettati a un sistema di regole che impone la costante compressione della domanda interna e dei deficit pubblici.

Con il risultato che in beni produttivi si è disincentivati a investire. Il settore pubblico perché gli si chiede sempre e solo di tagliare. Il settore privato perché non investi dove la domanda è compressa.

L’incentivo a “mobilitare il risparmio per investire in Italia” non viene dalle agevolazioni fiscali alla quotazioni in borsa, o cose del genere (posso capire che le chiedano gli operatori attivi in queste transazioni. Ma loro cercano di fare – legittimamente – gli interessi propri, a costo di raccontare – un po’ meno legittimamente – che coincidono con quelli del paese).

L’incentivo a investire, facendo ripartire occupazione e crescita, verrà, se verrà, dalla rimozione dell’attuale, delirante assetto dell’eurosistema.

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