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L’addio di Draghi e la crisi del debito italiano nel contesto europeo

di Federico Dezzani

Con un “tempismo” perfetto, il premier Draghi ha innescato una crisi parlamentare che è rapidamente evoluta nella caduta del suo stesso governo: l’Italia, così, si dirige ad elezioni anticipate in un contesto internazionale sempre più “ostile” e deteriorato. Tutto lascia supporre che gli anglosassoni vogliano sfruttare il debito pubblico italiano per infliggere il colpo di grazia al fragile assetto europeo.

 

Italia epicentro della prossima crisi finanziaria

La nomina a presidente del Consiglio nel febbraio 2021 era subito sembrata, a noi osservatori disincanti, come il culmine di quel trentennale processo di distruzione dello Stato italiano iniziato con Tangentopoli. L’ipocrita pretesa che Mario Draghi fosse “l’ultima carta da giocare”, oltre la quale ci fosse solo il diluvio universale, lasciava presagire che al termine della sua esperienza di governo si preparasse l’assalto finale della finanza anglosassone all’Italia e al debito pubblico italiano.

Il “mentore” di Draghi, Beniamino Andretta, gettò le basi della manovra che si concluderà nei prossimi mesi nel lontano 1981, col divorzio tra Tesoro e Bankitalia e la conseguente esplosione del debito pubblico. Tutto però subì una potente e decisiva accelerazione nel 1992: Tangentopoli, la decapitazione della classe dirigente, l’attracco del Britannia su cui salì Mario Draghi, lo smantellamento dell’IRI. Nonostante i dubbi dell’allora governatore di Bankitalia, Antonio Fazio, l’Italia, privata della sua spina dorsale economico-politico, intraprende il percorso per l’adozione dell’euro e perde così le leve della politica monetaria. Il 2011 è un altro passaggio chiave dell’attacco anglosassone contro l’Italia: la guerra in Libia, la “lettera” inviata dal presidente in pectore della BCE, Mario Draghi, l’avvento di Mario Monti e l’inizio di quell’austerità che alimenta il debito pubblico ed i populismi di matrice anglosassone (vedi la genesi del Movimento 5 Stelle). Nel 2020, l’Italia è uno dei grandi “epicentri mondiali” del Covid: l’attività economica si contrae pesantemente ed il debito pubblico decolla, superando la soglia del 150% del PIL. La guerra in Ucraina alimenta il clima inflattivo post-Covid e crea quel contesto macroeconomico di rialzo dei tassi che sarà letale per il debito pubblico. Gli anglosassoni portano così l’Italia alle soglie del baratro, mentre i media accusano di tutti i mali italiani prima la Germania, poi la Cina ed infine la Russia.

Giunti nell’estate del 2022, come ampiamente previsto nella nostra analisi geopolitica di inizio anno (sebbene avessimo immaginato che l’attuale caos si svolgesse in concomitanza all’elezione del Capo dello Stato), è solo più sufficiente una “spintarella” perché l’Italia diventi l’epicentro decisivo della prossima crisi finanziaria europea e quindi mondiale. Con tale crisi, è bene ricordare, gli anglosassoni intendono “sistemare” per gli anni a venire l’Europa, scardinando quel che rimane dell’Unione Europea, indebolendo i concorrenti economici e finanziari e isolando nuovamente la Germania sbilanciata a Oriente. Tutto, come sempre, è partito dall’Inghilterra (si ricordi che la Brexit del 2017 è stato l’inizio ufficiale della manovra anti-europea): la crisi del governo di Boris Johnson e le sue provviedenziali dimissioni a inizio luglio (tornerà in seguito?), sono state il segnale che Londra e Washington preparassero un nuovo assalto all’Europa per l’autunno successivo. La crisi del governo Draghi è stata un diretta conseguenza di quella britannica: senza ricevere mai una sfiducia diretta nel Parlamento, il premier Draghi ha innescato e sapientemente alimentato una crisi politica che, nell’arco di una decina di giorni, è sfociata nelle sue dimissioni volontarie e nell’indizione di elezioni anticipate per il mese di settembre. I media attribuiscono le responsabilità della crisi politica ai partiti politici, quando è stato lo stesso Draghi a causare la crisi del suo governo coll’esplicito obbiettivo di ripetere, su scala maggiore e per così dire “apocalittica”, la crisi del 2011.

Rispetto al 2011, quando la finanza anglosassone riuscì a portare le finanze pubbliche italiane ad un pelo dall’insolvenza, il quadro si è deteriorato in maniera decisiva. In particolare:

L’Italia, come più volte evidenziato nelle nostre analisi, si candida quindi ad essere lo strumento decisivo in mano agli anglosassoni per scardinare l’Europa, innalzando allo stesso tempo la “soglia del caos” fino alla sponda settentrionale del Mediterraneo: nell’attuale assetto geopolitico, il confine del blocco anglosassone è infatti molto più a oriente e passa per Scandivania, Polonia, Ucraina e Romania. Si noti che quanto asseriamo è scritto da tempo, cambiando solo qualche accento qui e là, dall’American Enterprise Institute e dal suo “specialista” per l’Italia Desmond Lachman, che più volte ha sottolineato come l’Italia sarà l’epicentro della prossima crisi finanziaria europea e globale.

I prossimi sviluppi sono facilmente immaginabili. Un’elezione a settembre che consegni la vittoria alla destra “populista” o produca un nuovo stallo politico; un crescendo di assalti speculativi che toccherà l’apice tra ottobre e novembre e che, nella peggiore (migliore, per gli anglosassoni) delle ipotesi, sarà accompagnato da una crisi energetica; l’impossibilità per l’Italia di accedere ai mercati per rifinanziare il proprio debito e quindi la riesplosione dell’eurocrisi del 2011 con la differenza che, questa volta, l’epicentro sarà non la Grecia ma la terza economia del Continente. Gli anglosassoni otterrebbero così il collasso finale dell’Unione Europea, Francia e Israele la scomparsa dell’Italia come fattore di potenza nel Mediterraneo.

Tutto programmato da almeno un trentennio. Mario Draghi esegue e, con una certa fantasia, i media attribuiscono le responsabilità di quanto sta accadendo a questo o quel personaggio politico di infimo calibro. Il cui nome non merita neppure di essere riportato, perché inutile ai fini della storia e della comprensione degli eventi.

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