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Lo Stato e i suoi organi di repressione al servizio del capitale contro i lavoratori

di Carmelo Germanà

Da anni va avanti l’attacco durissimo della Procura di Piacenza contro i dirigenti e militanti del sindacalismo di base: Si Cobas e Usb. Che le istituzioni in generale siano al servizio della classe dominante a difesa dei rapporti di classe vigenti è cosa scontata. Tuttavia, colpisce l’accanimento, la pervicacia, il disegno prepotente, di isolare e screditare con accuse infamanti questi lavoratori. Si vuol fare credere che essi siano un manipolo di violenti dediti a utilizzare i loro compagni di lavoro allo scopo di ricavare benefici personali in termini di potere e denaro.

La verità va esattamente nella direzione opposta, sono le multinazionali della logistica con la complicità di padroni e padroncini che appaltano e subappaltano forza lavoro super sfruttata e sottopagata a esercitare sopraffazione e violenza, condizione che oramai va estendendosi in tutto il mondo del lavoro. In questi casi le istituzioni borghesi fanno finta di niente o al massimo esprimono un biasimo di facciata, come pure le morti sul lavoro che si verificano ogni giorno non indignano lorsignori. Le forze dell’ordine sono sempre pronte ad agire contro i lavoratori quando lottano per davvero, mentre non muovono un dito contro le angherie dei padroni quando licenziano o vessano i lavoratori.

La logistica è un settore strategico, la circolazione delle merci è un passaggio necessario da un punto di vista capitalistico al fine della realizzazione del profitto. Lo scorso anno ha mosso in Italia un giro d’affari da 86 miliardi di euro. La maggioranza degli occupati è straniera, quindi maggiormente ricattabile in ogni senso, sia dal punto di vista retributivo che dei carichi di lavoro estenuanti. Allo stesso tempo proprio nella logistica si sono saldati gli interessi di classe tra lavoratori italiani e stranieri dando luogo a lotte risolute ed esemplari che i capitalisti del settore e il padronato più in generale non hanno mai digerito, preoccupati che il conflitto andasse oltre il recinto dei magazzini di stoccaggio delle merci.

Proprio questo è il punto, i lavoratori della logistica sono diventati lo spauracchio per i padroni perché sono la punta avanzata della classe lavoratrice, a fronte di una situazione complessiva complicata per il proletariato che stenta a dare risposte significative rispetto alla gravità degli attacchi che il capitale sferra quotidianamente alle sue condizioni di vita. Evitare il contagio è quanto persegue la borghesia, anche in via preventiva date le prospettive del peggioramento delle condizioni sociali. Questa è la spiegazione dell’intensificarsi della repressione contro chiunque non accetti le regole del pensiero unico dominante.

Però va anche sottolineato che la lotta economica non basta. Soprattutto in tempi di crisi, una crisi non passeggera ma strutturale del capitalismo. Anche i rari miglioramenti economici strappati al padronato, motivo, comunque, per il quale è giusto lottare, non possono che essere temporanei. Lo dimostrano le esperienze del passato e le tanto esaltate grandi conquiste degli anni Settanta, che determinarono un reale avanzamento delle condizioni di vita dei lavoratori, ma tali miglioramenti successivamente e ancora oggi verranno smantellati dal capitale. Il risultato è oggi sotto gli occhi di tutti: la situazione dei lavoratori è precipitata, soprattutto per le nuove generazioni, il lavoro è sempre più precario e i salari sono al di sotto del valore della stessa forza lavoro.

Non è in discussione la difesa del salario, è in discussione il sindacalismo fine a se stesso, perché quest’ultimo non può rompere il rapporto capitale/lavoro in quanto ne rappresenta una componente costitutiva. I sindacati ufficiali: Cgil, Cisl, Uil non sono quello che sono, cioè baluardo della conservazione capitalistica, per cattiveria, per scelta o perché corrotti (seppur alcuni di questi aspetti hanno la loro rilevanza). I sindacati di stato sono il frutto della dinamica capitalistica, hanno ottenute le briciole per i lavoratori in tempi di boom economico e si sono trasformati in cani da guardia della classe nel corso della parabola discendente del ciclo economico capitalistico. Il sindacalismo può trattare le condizioni di vendita della forza lavoro, ma non può farsi artefice dell’abolizione del lavoro salariato, ovvero del superamento del capitalismo.

Tutta la nostra solidarietà va ai compagni finiti nel mirino della repressione borghese. Ma allo stesso tempo denunciamo il risultato controproducente del sindacalismo nell’epoca di crisi del capitale imperialista e della guerra permanente da esso generata. Alle sacrosante lotte bisogna dare una prospettiva politica che indichi nel superamento del capitalismo l’unica via d’uscita dalla barbarie. I comunisti, con tutte le difficoltà che conosciamo e la debolezza delle forze, devono indirizzare i loro sforzi alla costruzione del futuro partito mondiale del proletariato, alla realizzazione del programma per il comunismo, cominciare a diffondere nella classe la possibilità di una alternativa al capitalismo. Cosa che il sindacalismo, in tutte le sue articolazioni, ufficiale o di base, non può e non è in grado di fare.

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