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sinistra

Imparare da questi anni

di Paolo Bartolini

Perché insistere a “ragionare” su quanto accaduto dal marzo 2020 ad oggi, perché tornare sul Covid-19, sulla gestione controversa e a tratti autoritaria del fenomeno, su strumenti dannosi e discriminanti come il famigerato Green Pass? Il motivo, per quanto mi riguarda, è presto detto: perché gli eventi recenti sollevano, tra mille altre, la questione decisiva dell’uso della ragione in situazioni complesse. Un tema che incrocia, evidentemente, la crisi contemporanea della democrazia e l’esigenza di non arrendersi al peggio.

In condizioni di emergenza bisogna agire, certo, a questo servono le istituzioni. Ma ciò significa eliminare ogni possibilità di dibattito, ogni prospettiva sgradita, ogni confronto critico? La razionalità, in Occidente, segue un progressivo scollamento dalle sue origini filosofiche, o forse una dissociazione patologica iscritta proprio nel suo DNA. A forza di astrarre, universalizzare e tentare di dominare il molteplice mediante la formattazione dei viventi (umani e non umani), la ragione si è tramutata in razionalità strumentale, calcolante e industriale (come dice giustamente l’amico Lelio Demichelis).

Una razionalità unidimensionale, violenta, appiattita su criteri di funzionamento e di accumulazione quantitativa. Questo è l’approdo di un lungo tragitto storico che ha condotto all’odierna globalizzazione neoliberale. Gli effetti sono nuove e realissime emergenze: sanitaria, ecologica, sociale, democratica, geopolitica… Sbaglia, e di grosso, chi cerca di negare la “pandemia” rubricandola a finta scusa per instaurare laboratori di controllo sociale a cielo aperto. La posta in gioco è molto più sottile e rende parziali e pericolose tanto le letture complottiste degli eventi quanto quelle conformiste e filogovernative a prescindere.

Le emergenze sono reali, hanno già attraversato la soglia e sono qui con noi, per restare. Ma come affrontarle, e quale diagnosi effettuare sulle loro concause, diviene il fulcro di un ragionamento collettivo ancora da fare. Se c’è stato un laboratorio per sperimentare soluzioni autoritarie sulla pelle delle persone (e in Italia è difficile negarlo), esso è stato costruito per spostare l’attenzione dai problemi reali e per scaricare le tensioni verso il basso, producendo polarizzazioni e divisioni funzionali solo al potere.

Il Problema da negare, l’elefante nella stanza, è l’insostenibilità del tecno-capitalismo e, sul piano geopolitico, la crisi inarrestabile di egemonia degli USA. Questo Giano bifronte ci sta precipitando nel baratro, inutile girarci attorno.

Il pilota automatico del sistema non può tollerare – sul versante sanitario – un rafforzamento massiccio della sanità pubblica, un rilancio della medicina territoriale, l’uso accorto di vaccini prodotti con tecnologie più rodate secondo fasce di età e di rischio, la ricerca e adozione di cure appropriate per evitare l’ospedalizzazione, ma soprattutto non può ammettere esitazioni e rallentamenti, dunque alcun dibattito intorno ai dati scientifici a disposizione. Sul piano ecologico, invece, gli equilibri di morte attuali non sono conciliabili con alcuna decrescita guidata, con l’abbandono delle energie fossili, con una riconversione profonda dell’economia, con la riduzione progressiva del consumo di suolo e di risorse, con la difesa a oltranza dei beni comuni. E così via.

Il nodo profondo della questione, in definitiva, lo formulerei così: come utilizziamo la ragione comune quando gli effetti disastrosi di un sistema letale si rivelano e minacciano le vite degli umani e degli ecosistemi? L’urgenza del momento, ma ancor più la necessità per i ceti dominanti di rendere impossibile una riconfigurazione della società contemporanea, hanno inibito qualunque “sospensione del giudizio”, qualunque meditazione sul “che fare?”, preferendo operare sul versante repressivo. Puntare tutto su dei vaccini prodotti con tecnologie avanzate ma non necessariamente sicure (garantendo profitti giganteschi alle multinazionali farmaceutiche e dispensandole da conseguenze relative agli eventuali effetti avversi prodotti dai nuovi sieri), colpevolizzare il dissenso, dar vita a un dispositivo inutile come il lasciapassare verde (imposto mentendo pubblicamente, cioè facendo credere che solo i non vaccinati fossero contagiosi), moltiplicare norme confuse e capillari finalizzate a disciplinare la popolazione senza riuscire, fra l’altro, ad arrestare i contagi: tutto questo e molto altro testimonia il tentativo di cancellare la ragione umana come esercizio pubblico, dialettico e armonizzante. Eseguire e obbedire, invece di partecipare, interrogare, fare proposte. Ecco spiegato il rimando, filosoficamente inaccettabile, a una Scienza con la “s” maiuscola che dovrebbe abolire ogni scetticismo, offrendo a tutte/i una verità indiscutibile. Dobbiamo allora riscoprire una ragione plurale, aperta, rigorosa e insieme capace di non sovrapporre la logica delle procedure astratte alla vita complessa degli esseri umani (e degli ecosistemi con cui evolviamo in accoppiamento strutturale).

Come risponderemo alle prossime emergenze? Quali saranno tali e quali, invece, potrebbero essere questioni di normale amministrazione all’interno di una società finalmente liberata da privatizzazioni selvagge e pulsioni mercatiste onnipervasive?

Oggi, in questa torrida estate segnata da una frettolosa campagna elettorale, non è ancora chiaro a tutti che gli effetti tossici della gestione ambigua e feroce della sindemia Covid-19 continuano a lasciare tracce, a scavare nell’inconscio sociale, a dividere le persone. Non è in gioco, qui, solo il tema della libertà di scelta nelle cure, ma qualcosa che è decisamente più “a monte”: la possibilità/capacità di riflettere su quanto sappiamo oggi della salute psicofisica e spirituale, e dei fattori disgreganti che producono malattia e disagio. Come cogliere l’opportunità di un’inversione di tendenza rispetto alla follia tecno-capitalista, senza un ripensamento intorno alle condizioni trascendentali del pensiero?

Gli estremi del complottismo paranoico e del conformismo ubbidiente rappresentano, ai miei occhi, due modi simmetrici e complementari di paralizzare l’impiego di quella che voglio definire come una “ragione non totalitaria”. Una ragione che non è fredda, distaccata, ma sa restare lucida dandosi nell’articolazione tra pensiero critico e senso comune (come lascia intendere Miguel Benasayag nel suo recente Il ritorno dall’esilio).1

Del resto il centro nevralgico di questa mia riflessione può essere rintracciato nel compito che ci attende: ordinare, tra ragione e passione, il caos che ci avvolge e compenetra, esito concreto della civiltà dell’accumulazione economica giunta al limite delle sue capacità di autoriproduzione.

A sinistra, dove spesso non si comprende la portata velenosa di uno strumento come il green pass, dovrebbe nascere qualche dubbio: siamo proprio sicuri che il rigetto di un dispositivo siffatto esprima irrazionalismo e indifferenza, e non sia invece un sintomo salutare di una ragione incarnata nelle storie dei singoli, che vuole dire la sua, che non accetta finte soluzioni a problemi reali? Come tollerare l’assenza di una democrazia cognitiva nel terzo millennio, ora che le crisi molteplici indotte dal sistema ci affidano a una comunanza planetaria di destino, quindi a decisioni delicate che coinvolgono ciascuno di noi? Dobbiamo per forza morire schiacciati dal populismo delle élite, da scelte calate dall’alto e senza contraddittorio?

Se vogliamo trovare una terza via tra globalismo dell’ingiustizia sociale/climatica e sovranismi di corto respiro, dobbiamo articolare proposte politiche capaci di tenere insieme ragione e immaginazione, libertà, cura e responsabilità. Nulla che – se pensiamo nuovamente alla sanità – debba sfociare in obblighi vaccinali immotivati, ricatti inconcludenti, feroci contrapposizioni giocate a colpi di insulti sui social. Nella parola “sindemia” – secondo la quale un agente patogeno danneggia soprattutto quegli organismi situati in condizioni di penuria, mancanza di accesso adeguato ai servizi sanitari e alle cure, soggezione a razzismo e discriminazione, esposizione a inquinamento dell’aria e non solo…– vi è un buon seme di partenza per sviluppare un pensiero ecologico che rifiuti soluzioni semplicistiche (e spesso brutali) a problemi complessi.

Se il pilota automatico neoliberale funge da attrattore gravitazionale per i comportamenti sconclusionati e irrazionali dei ceti dominanti, pronti ad approfittare di ogni emergenza per intensificare il controllo su lavoratori e cittadini in genere, sta a noi rivendicare il diritto inalienabile all’uso della ragione. Cosa che regolarmente dovremmo esigere anche per la guerra in Ucraina, ben oltre qualsiasi umanesimo di principio, in nome piuttosto di un processo continuo di umanizzazione. Interrompere le sanzioni boomerang alla Russia, rilanciare negoziati e trattative per un accordo possibile, smettere di sacrificare gli ucraini e noi europei agli interessi dei produttori d’armi e degli Stati Uniti d’America, uscire gradualmente da logiche di potenza che non vedono sullo scacchiere internazionali attori buoni e attori cattivi, ma funzioni di un gioco spietato che si alternano per mantenere in piedi i privilegi di pochi contro la vita di molti.

Abitare al crocevia tra cuore e ragione, accendere il dialogo dove si erigono grige barricate, individuare i veri avversari e smettere di totalizzare quello che è aperto e che non può essere mai “concluso”. In fondo si tratta di ripensare e praticare la democrazia al termine della notte. Né più, né meno. Non perdiamo, dunque, l’occasione di interrogare quanto è successo in questi anni e impariamo anche a chiedere scusa, perché una razionalità che non riflette sulla propria deriva diventa il braccio armato delle peggiori mostruosità.


Note
1 M. Benasayag, B.Cany (2021), Il ritorno dall’esilio. Ripensare il senso comune, Vita&Pensiero, Milano 2022.

Comments

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nica76
Friday, 05 August 2022 20:03
Ottimo intervento Baubaubaby, migliore dell'articolista!
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Baubaubaby
Friday, 05 August 2022 09:38
A mio avviso in questo articolo si continua, in fondo, con la fuorviante e "strumentabile" tesi della razionalità/irrazionalità.

Innanzitutto, filosoficamente, andrebbero ben definiti prima questi due significanti (razionalità/irrazionalità): in fondo sono due modi cognitivi umani e c'è poco da stabilire una gerarchia fra i due significanti e rispettivi significati: razionalità = buono, irrazionalità = cattivo. Essa è una constastazione grossolana e riduttiva, ignorante sia della storia che della complessità psicologica umana. Chi vuole può cimentarsi senza grandi problemi nella ricerca storica dei guai provocati dalla cosiddetta "razionalità". Oppure anche si può ricercare e studiare nella storia, antica e recente, come il lavoro di manipolazione culturale riesca a spacciare l'irrazionale comportamento di chi detiene il potere come somma razionalità.

In secondo luogo, l'articolista stagna su un altro grande errore: l'ideologia dell'emergenzialismo. Se si indossano gli occhiali emergenzialisti vedremo la vita umana come una continua catena di emergenze (paure su paure e solo paure) nel rapporto fra uomini e mondo. Allora che dire della vita umana passata, dal pleistocene ad oggi, sopravvivenza ed evoluzione nell'ambito di un mondo che, con i nostri occhiali, dovremmo concepire come continuamente emergenziale?

Quindi si arriva al paradosso, e qui si concorda per forza di cose con l'autore, che il nostro mondo attuale, frutto del progresso scientifico, versa in una cronica situazione emergenziale i cui effetti rischiano di estinguerci come migliaia di anni di evoluzione allo stato brado non sono riusciti a fare.

Comunque, Bartolini ci pone questa domanda "come utilizziamo la ragione comune quando gli effetti disastrosi di un sistema letale si rivelano e minacciano le vite degli umani e degli ecosistemi?"

Per poter rispondere mi chiedo: può esistere una "ragione comune"?

Alla luce di quanto detto sopra (cosa è veramente ciò che chiamiamo ragione e a cui diamo valore morale positivo) la ragione smette di essere opinione o tesi o teorema quando si schianta o invece coincide con il fatto reale. Io constato che la tesi è vera o e falsa, in tutto o in parte. Quando la constatazione è una esperienza comune a due, tre, quattro o una decina di persone, o forse anche un centinaio, o migliaio di persone allora potremmo parlare di una ragione comune.

Quindi, come si fa ad avere una ragione comune fra milioni di persone che non possono esperire assieme la constatazione reale e simultanea?

Semplice: si spargono le cazzate tramite l'autorità, per cui la stragrande maggioranza di persone è intrappolata nell'impossibilità della constatazione diretta e comune e ivi chiusa a lucchetto con il chiavistello, fondamentale, della paura.

Quindi l'autorità provvede, con il suo monopolio sociale, a spargere paura, su paura e ad impedire che qualcuno possa adoperarsi per portare la constatazione diretta fra le masse.

A questo giro abbiamo visto come la stupidenzia (il contrario dell'intellighenzia) della sedicente sinistra (ln primis l'imbulllonato al sistema Cremaschi a cui non perdonerà mai avermi definito come "svalvolato" per aver rifiutato la robaccia sperimentale spacciata per vaccino) sia stata, in Italia, la chiave di volta di tutta l'architettura covidistica.

Dunque, Bartolini, dovresti ben sapere che quel che chiamiamo, con estrema superficialità, società è un aggregato coatto di classi sociali, così come sono determinate dal modo di produzione.

E ben sapere che tutto quel che ci è piovuto sulla testa altro non era che "FALSA COSCIENZA" spacciata per scienza alle classi subalterne dalle classi dominanti.

E purtroppo ancora continuate nell'errore di accettare acriticamente le basi linguistiche, i significanti, di questa falsa coscienza che scienza non è.

Se si voleva e si vuole con-correre o com-petere con le classi dominanti per toglier loro il monopolio sociale allora bisognava e bisogna "ragionare con la propria testa" e non con la presunta scienza del dominio. Confutazione e constatazione sono armi e pertanto non possono stare in mano agli intellettuali di sinistra italiani perchè essi non concepiscono alcuna lotta sociale, sono i certificatori delle direttive ideologiche del dominio.

Noi abbiamo bisogno di autonomia di pensiero, perchè senza autonomia di pensiero non si sarà mai prassi di autonomia sociale di classe.

E continuate nell'errore e nel disastro. A sinistra l'emergenza è cerebrale.
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Francesca
Sunday, 21 August 2022 10:49
Trovo questo articolo chiaro e assolutamente utile a sollecitare e articolare una riflessione quanto mai necessaria e invece per lo più ancora respinta a sinistra, a volte con astruse costruzioni intellettuali che hanno, a mio avviso, il chiaro sapore della difesa.
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Anna Luhman
Friday, 05 August 2022 12:14
Sposo i tuoi rilevi. Ho letto ieri e ho trovato l'articolo inutile e incongruente, beccheggiante anche nell'uso del termine pandemia o sindemia.
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