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Lo scontento degli Usa verso l'Ucraina e la follia della Pelosi

di Piccole Note

In un articolo dedicato alla visita della Pelosi a Taiwan, che nel titolo viene definita “assolutamente sconsiderata”, Thomas Friedman sul New York Times rivela alcuni retroscena molto interessanti sull’Ucraina, che mettono in luce la difficoltà in cui versano gli Stati Uniti e la follia della speaker della Camera, che con questa visita “arbitraria e frivola” accarezza l’apertura di un altro fronte, portando il suo Paese (e tutti noi) in mezzo a una “guerra con due superpotenze contemporaneamente” (cosa che è contro le più basilari regole della geopolitica, aggiunge il cronista).

Ma se le considerazioni sulla Pelosi sono ovvie, e ne riferiamo di seguito, sorprende quanto scrive sull’Ucraina, dal momento che va contro tutta la narrativa mainstream che idealizza la leadership di Kiev.

Infatti, mentre apparentemente i rapporti tra Zelensky e il suo entourage con gli Usa sono ottimi, “in privato, i funzionari statunitensi sono molto più preoccupati per la leadership ucraina di quanto non facciano intendere. C’è una profonda sfiducia nella Casa Bianca per il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, molto più di quanto viene riportato”.

“E ci sono cose divertenti che stanno avvenendo a Kiev. Il 17 luglio, Zelensky ha licenziato il procuratore generale del suo paese e il leader della sua agenzia di intelligence interna, la più significativa scossa nel suo governo dall’inizio dell’invasione russa di febbraio. Sarebbe come se Biden licenziasse Merrick Garland e Bill Burns lo stesso giorno. E finora non ho ancora visto alcun rapporto che spieghi in modo convincente cos’è avvenuto veramente”.

“È come se non volessimo guardare troppo da vicino e sotto il tavolo quanto accade a Kiev, per paura della quantità di corruzione e di cialtroneria che potremmo trovare, anche in considerazione che abbiamo investito così tanto” in quel Paese.

Penna sfuggita di mano forse, e forse la redazione del Nyt, leggendo che si trattava di Taiwan, ha letto con distrazione le righe riportate, ritenendo che non contenessero granché. Così sul giornale forse più autorevole del mondo, la voce ufficiale dell’Impero, è stato accennato l’indicibile. Dei cenni soltanto, dal momento che non si può andare più a fondo, ma che dicono tutto.

E spiegano anche l’insolito viaggio della moglie di Zelensky, approdata a Washington alcuni giorni fa, dove è stata accolta dalla moglie di Biden per una visita privata circondata da un alone di riservatezza. Forse il marito era troppo impegnato in patria per accompagnarla, si poteva supporre…

Invece, poco dopo è arrivato anche lui per una visita più o meno ufficiale, al termine della quale ha posato con la moglie per un servizio su Vogue che racconta il loro splendido amore. Tocco glamour dei suoi immaginifici scenografi che però non è piaciuto né in patria, dove sta mandando i suoi soldati al macello, né altrove, per motivi analoghi.

Evidentemente il viaggio negli States dei due serviva a riallacciare rapporti sfilacciati, nel timore che il fastidio diventasse irritazione e Washington decidesse di cambiare cavallo, cioè di sostituirlo. Così si fa dei burattini, ruolo al quale il povero Zelensky si è prestato con entusiasmo, non avendo alcun spessore politico né consistenza, come ha dimostrato ampiamente prima che gli scenografi di cui sopra lo facessero diventare un eroe globale.

Forse proprio perché le cose in Ucraina iniziano ad andare male i fautori delle guerre infinite hanno immaginato di aprire un altro fronte, così da assicurarsi che il conflitto si perpetuasse e il caos continuasse a dilagare nel mondo (è la loro passione).

Aprendo il fronte cinese, cercano di guadagnarsi il consenso di quella parte di repubblicani critica verso il sostegno Usa all’Ucraina. Cosa che sembra riuscita se si sta ai media americani cui fanno riferimento questi ultimi ambiti, che sul viaggio della Pelosi conservano un silenzio imbarazzato, perché l’odiata nemica sta facendo quello che da tempo sostengono anche loro, cioè un confronto alzo zero con Pechino.

Così i Bannon e loro associati, pure critici verso le guerre infinite e i neocon, ma feroci critici della Cina, rischiano di ritrovarsi intruppati anch’essi nella spirale delle guerre senza fine.

Peraltro, potrebbe anche costargli la vittoria alle midterm, che già assaporavano, dal momento che l’emergenza guerra (e che guerra… contro Russia e Cina) potrebbe far scivolare in secondo piano l’emergenza economica, che gli assicurava i voti del grande scontento.

Gli sarà arduo uscire dal labirinto di specchi al quale hanno contribuito attivamente con le loro pose anti-cinesi, dimenticando che i loro avversari (neocon e liberal) sanno fare la guerra meglio di loro…

Quanto a Biden, che pure disapprovava la missione della Pelosi, Friedman spiega che non poteva fare granché, dal momento che un posa più dura verso la speaker della Camera avrebbe dato “un’opportunità ai repubblicani per attaccarlo prima della Midterm”, accusandolo di debolezza verso la Cina.

Concludiamo riportando che Friedman scrive che non era solo Biden a disapprovare la missione incendiaria, della Pelosi ma “tutto il team della Sicurezza nazionale – dal direttore della CIA al Capo di Stato Maggiore dell’esercito” etc. A riprova della follia che si sta consumando in Oriente.

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