Print Friendly, PDF & Email

cumpanis

Rivoluzione e Partito comunista

di Renato Caputo (Collettivo La Città Futura)

Perché non si può realizzare il fine senza il mezzo indispensabile alla sua realizzazione, né il mezzo è effettivamente tale senza il fine al quale è necessario

IMG 20220720 173842Come è nota la scienza politica moderna si fonda sul pensiero di Machiavelli, al centro del quale vi è la radicata convinzione che un grande obiettivo divenga praticabile – non rimanendo una mera utopia – solo nel momento in cui si individuano e si mettano a frutto i mezzi indispensabili alla realizzazione di tale grande ideale. Nella nostra epoca quest’ultimo, naturalmente, non consiste più nella fondazione di un moderno e unitario Stato nazionale – grande obiettivo e ideale storico dell’epoca di Machiavelli – ma nella realizzazione di uno Stato socialista quale necessaria e indispensabile fase storica di transizione da una società capitalista e/o imperialista a una società comunista. Per poter seriamente e conseguentemente operate in funzione di questo grande ideale e renderlo praticabile necessariamente abbiamo oggi bisogno – come peraltro ci insegna già Gramsci – di un mezzo indispensabile, cioè di quello che il più significativo marxista e comunista italiano definiva il “moderno principe”. In effetti, come argomenta già Gramsci, suffragando la propria tesi con una grande raccolta di dati e di esempi storici, nella nostra epoca il soggetto rivoluzionario non può più essere un grande personaggio storico universale, come il Principe, ma un soggetto collettivo, cioè il partito politico effettivamente rivoluzionario, il partito comunista.

Non a caso la prima grande battaglia politica condotta da Marx e da Engels è stata volta a trasformare la Lega dei giusti nella Lega dei comunisti e la loro prima grande opera teorica della maturità ha portato alla realizzazione di un efficacissimo strumento, indispensabile al passaggio dal socialismo utopistico al socialismo scientifico, cioè la realizzazione di un grande Manifesto del partito comunista.

Come è noto si tratta di un’opera di eccezionale successo e attualità, al punto da risultare l’opera più letta, tradotta e diffusa della storia dell’umanità dopo la Bibbia. L’opera di Marx e di Engels può, dunque, essere considerata come la bibbia, cioè il Libro per antonomasia dell’uomo moderno. Si tratta, in effetti, di una bussola indispensabile per potersi orientare e per poter contribuire da protagonisti a una reale trasformazione dell’esistente.

Naturalmente, in un’epoca storica di restaurazione (neo)liberista come la nostra, non possiamo che assistere a una imponente opera di reazione sul piano politico e pratico, in effetti nella teoria e nella prassi, dopo la grande impresa degli ultimi centocinquanta anni – cioè l’affermazione del socialismo scientifico ai danni del socialismo utopistico – stiamo assistendo negli ultimi anni a una progressiva riaffermazione del socialismo utopista che – se anche coglie e denuncia alcuni essenziali aspetti contraddittori, ingiusti e immorali dell’attuale società capitalistica – si dimostra del tutto inadeguato alla sua trasformazione radicale, cioè in senso rivoluzionario. Tale profonda restaurazione – che rischia di ridurre i comunisti da rivoluzionari a cassandre o a grilli parlanti – passa attraverso la scissione del nesso necessario che c’è, come insegnava già Machiavelli, fra il fine e il mezzo indispensabile alla sua realizzazione. Abbiamo così una forte ripresa delle tesi, alla base del revisionismo da Bernstein in poi, per cui il mezzo sarebbe tutto, mentre il fine sarebbe una ormai inutile e superflua, anzi dannosa utopia. Non a caso uno dei più grandi marxisti contemporanei ha sostenuto la necessità, sulla base della prassi della postmaoista Repubblica popolare cinese, di abbandonare come una perniciosa utopia anarcoide il fine della società comunista, limitandosi a sostenere gli sforzi per la costruzione di una società socialista.

Si tratta di una teoria e di una prassi decisamente pericolose – per le forze realmente progressiste e rivoluzionarie – che ha costituito, come già denunciato dal grande teorico marxista Ernest Bloch, la causa decisiva della progressiva involuzione delle società del blocco sovietico, in cui non a caso abbiamo assistito alla quasi completa transizione a delle società di tipo capitalista. Tale pericolosissima involuzione teorica e pratica è fra le principali cause della piena affermazione delle forze controrivoluzionarie in Italia, in quanto ha portato all’auto dissoluzione del Partito comunista italiano, la madre di tutte le attuali disgrazie del nostro paese.

D’altra parte, come è noto, i comunisti debbono sempre guardarsi e combattere non solo il riformismo e il revisionismo di destra, ma anche l’opportunismo e il revisionismo di sinistra. Quest’ultimo – in modo apparentemente opposto, ma in realtà speculare al primo – pretende che il fine sia tutto, mentre il mezzo in realtà necessario e indispensabile alla sua realizzazione, non sia nulla, anzi costituirebbe addirittura un oggettivo impedimento alla realizzazione del grande obiettivo rivoluzionario. Così si giunge, in modo più o meno inconsapevole, allo stesso pernicioso e disastroso risultato del riformismo e del revisionismo di destra, cioè alla scissione fra il fine e il mezzo indispensabile alla sua reale realizzazione. Si tratta della tipica posizione dell’anima bella, già duramente criticata da Hegel, del socialismo utopista – costantemente contrastato da Marx e da Engels – e dell’estremismo di sinistra, quale malattia infantile del comunismo, a fondo combattuto tanto da Lenin quanto da Gramsci. In effetti il socialismo utopista e l’estremismo cadono nello stesso imperdonabile errore dell’anima bella, cioè finiscono con il non praticare il bene reale (storicamente determinato) in nome dell’ottimo ideale (in realtà un’astratta utopia). Così si pretende di essere gli unici reali comunisti, in quanto si rinuncia, anzi si contrasta la indispensabile transizione al socialismo, ricadendo nel pernicioso peccato originale degli anarchici che pretendono di poter eliminare direttamente – per decreto o attraverso la violenza lo Stato – senza prima realizzare l’indispensabile Stato socialista. Quest’ultimo viene interpretato in modo del tutto adialettico come contraddittorio rispetto al primo, in quanto i veri rivoluzionari mirerebbero a eliminare lo Stato e non a costruire uno Stato per quanto socialista. Naturalmente tale posizione equivale alla ingenuità di considerare il vero obiettivo, cioè il fine, in necessario contrato con la necessità di approntare il mezzo indispensabile alla sua praticabilità, in quanto operare in vista del mezzo non potrebbe che essere l’opposto di operare in funzione del fine. Un’altra variante di questa celebre posizione estremista – in modo più o meno consapevole anch’essa effettivamente anarcoide – è quella che sostiene che l’obiettivo rivoluzionario sia necessariamente in contraddizione con il mezzo necessario alla sua realizzazione, cioè con la fondazione dell’unico partito realmente rivoluzionario, cioè il Partito comunista. Si tratta, peraltro, della consueta critica rivolta a Machiavelli, di pretendete di arrivare a rendere praticabile la rifondazione di una società realmente repubblicana – oggi diremo democratica in senso sostanziale – attraverso un mezzo necessariamente in contrasto con questo alto fine, cioè attraverso un Principe. Allo stesso modo, in effetti, talvolta chi oggi critica chi si sporca le mani nell’essenziale tentativo di ricostruire un Partito realmente comunista sostiene che tale mezzo sarebbe necessariamente in contratto con l’alto fine rivoluzionario. Si tratta, non a caso, di una posizione teorica e pratica che è alla base del fallimento del tentativo di rifondare un Partito realmente comunista dopo l’auto scioglimento del Partito comunista italiano. Tale posizione ha portato a considerare in contraddizione la necessità di appartenere a un partito rivoluzionario, con la necessità di operare da protagonisti nei movimenti sociali. Questa ingenua prospettiva ha portato a considerare ogni forma di violenza in necessaria contraddizione con il fine di realizzare una società autenticamente rivoluzionaria in cui gli uomini risolveranno in modo sempre pacifico le loro divergenze.

Così oggi assistiamo al paradosso per cui la maggior parte delle organizzazioni che si autodefiniscono rivoluzionarie portino avanti, per quanto inconsapevolmente, una teoria e una prassi in oggettiva contraddizione con il loro reale scopo. Così abbiamo assistito negli ultimi catastrofici decenni di aperta restaurazione, posteriori all’auto dissolvimento del Partito comunista italiano, a una teoria e una prassi involontariamente contraria al proprio fine dichiarato. Abbiamo così assistito da una parte alla pratica paradossale di tanti sinceri quanto ingenui comunisti che – pur di salvaguardare il presunto indispensabile mezzo, cioè la propria parrocchietta, la propria settaria organizzazione realmente rivoluzionaria – hanno di fatto ostacolato la ricostruzione di un reale Partito comunista, necessariamente in contrasto con il settarismo di chi considera la sopravvivenza del proprio ristretto e inefficace mezzo come l’unico reale fine rivoluzionario. Dall’altra abbiamo la posizione di chi considera il socialismo in contraddizione con il comunismo, e/o la dittatura del proletariato necessariamente in contrasto con una società sostanzialmente democratica, e/o che considera la prospettiva di ricostruzione del Partito in contrasto con il proprio operare nelle lotte sindacali e nei movimenti sociali e/o di chi considera la rigorosa non violenza come l’unica posizione realmente rivoluzionaria. Tutte queste posizioni non potevano che favorire la paradossale posizione autofobica e autocontraddittoria di tanti sinceri ma ingenui comunisti, che pretendono di condannare di fatto tutta la propria storia, di considerare come nemici e traditori, addirittura come imperialisti i paesi che si definiscono socialisti o che portano avanti una politica di fatto, anche se spesso inconsapevolmente, antimperialista. Abbiamo così tanti sinceri comunisti che finiscono inconsapevolmente per agire e/o teorizzare una posizione da anima bella che vede nello strumento indispensabile per la realizzazione di una rivoluzione socialista e anticapitalista e per l’altrettanto indispensabile transizione al comunismo, cioè il partito effettivamente comunista, come in sostanziale contrasto con il proprio scopo. Ecco così diversi compagni, che continuano a considerarsi e a definirsi comunisti, sostenere una pratica politica che considera la forma partito, o il Partito comunista come oggi in necessaria contraddizione con una prassi e una teoria realmente rivoluzionarie.

Tali posizioni inconsapevolmente autocontraddittorie e autofobiche sono di fatto favorite da due sostanziali errori sul piano teorico e pratico, cioè considerare il Pci che si è autosciolto come un reale partito comunista e/o il ritenere che sia condizione necessaria e sufficiente l’autodefinirsi partito comunista e/o rivoluzionario per essere di fatto tali. Si tratta a ben guardare dello stesso errore di fondo, cioè considerare una organizzazione che si definisce comunista come un reale Partito comunista e, dunque, rivoluzionario, anche se si tratta di fatto di una setta o di una organizzazione di massa effettivamente riformista. Si pretende così che pur praticando – di fatto – una politica riformista, revisionista o settaria, si sarebbe l’unica reale e/o addirittura possibile organizzazione comunista.

Si finisce così per scambiare l’effettivo partito rivoluzionario – per cui si sono sempre battuti Marx, Engels, Lenin e Gramsci, per limitarci a citare le più grandi figure teoricamente e praticamente marxiste rivoluzionarie – con un partito che si autodefinisce tale, anche se porta avanti, ormai da troppo tempo, una prassi di fatto riformista o settaria.

Si dimentica così che tutti questi importantissimi comunisti e rivoluzionari hanno militato e sono stati fra i più significativi dirigenti di correnti realmente comuniste operanti all’interno di partiti che si autodefinivano socialdemocratici o socialisti, in fasi storiche in cui non c’erano ancora le condizioni di portare a termine l’indispensabile spirito di scissione indispensabile alla realizzazione di una organizzazione di nome e di fatto comunista e rivoluzionaria. Mentre non può considerarsi un effettivo militante comunista e rivoluzionario chi sostiene la linea di una organizzazione che, pur pretendendosi rivoluzionaria e/o comunista, porta di fatto avanti una prassi settaria e/o riformista o revisionista. Del resto – per quanto apparentemente e dichiaratamente contrapposti – l’opportunismo di destra (sedicente riformista) o l’opportunismo di sinistra (di fatto settario) sono due forme per quanto diverse dello stesso capitale errore (che i reali comunisti debbono sempre contrastare) cioè l’opportunismo.

Add comment

Submit