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comidad

Le vittime sacrificali del superiore interesse

di comidad

C’è un passaggio interessante nelle motivazioni - depositate pochi giorni fa - della sentenza di appello che il 23 settembre scorso aveva mandato assolti gli ufficiali dei carabinieri condannati in primo grado di giudizio per la famosa “trattativa Stato-mafia”. Secondo i giudici: “V’erano dunque indicibili ragioni di ‘interesse nazionale’ a non sconvolgere gli equilibri di potere interni a Cosa Nostra … Un superiore interesse spingeva ad essere alleati del proprio nemico per contrastare un nemico ancora più pericoloso”. Questa lezioncina di geopolitica avrebbe un senso se si ritenesse che lo Stato non rivendica il suo carattere di unico potere legittimo, ma si considera una banda che si disputa il territorio con altre bande in un alternarsi di conflitti ed alleanze tattiche. Si potrebbe anche scendere dalle vette della geopolitica e procedere ancor più rasoterra: non esiste lo Stato, non esiste Cosa Nostra, ma esiste semplicemente il potere, con le sue trasversalità tra le fittizie categorie giuridiche di pubblico e privato, di legale e di illegale. Certe contiguità tra forze dell’ordine e criminali sono quindi fenomeni fisiologici della gestione materiale del potere, che ovviamente è sempre ispirata al “superiore interesse”. E chi siamo noi per affermare il contrario?

Sino a qualche anno fa una sentenza con argomentazioni così arroganti e spudorate sarebbe stata impensabile ed i giudici avrebbero trovato il modo di assolvere gli imputati o negando l’evidenza dei fatti, oppure con cavilli che rendessero inaccettabili le prove documentali. Secondo il roleplay istituzionale potevano essere semmai i governi o i poliziotti a fare di questi appelli all’interesse superiore per scavalcare le regole, mentre alla magistratura spettava di richiamare, anche ipocritamente, al rispetto della lettera della legge. Ma due anni e mezzo di emergenzialismo Covid non sono passati invano, per cui ci siamo abituati a vedere dei giuristi e “costituzionalisti” come Cassese e Zagrebelsky affannarsi a legittimare lo sciamanismo del ministro Roberto Speranza, il quale può vantare una sua relazione mistica con l’Ascienza. Il primato della legge e la separazione dei poteri alla fine si rivelano illusioni di una modernità rimasta allo stadio di aspirazione, per cui il potere rivela il suo nucleo arcaico ed ancestrale, con questi re-sacerdoti che ci comunicano il volere degli dei. Nulla di strano perciò nel fatto che anche ad alti ufficiali dei ROS si riconosca la facoltà di farsi illuminare direttamente dal Nume dell’Interesse Superiore.

Gli ufficiali dei ROS comunque se la sono passata liscia, e buon per loro. Ma siamo sicuri che il rapporto mistico col “superiore interesse” non mieta invece altre vittime? Non è che questa concezione sacerdotale del potere comporta i suoi silenziosi sacrifici umani? Il dubbio trova una sua fondatezza se si segue la vicenda tragica di altri esponenti, magari meno illustri, delle forze dell’ordine.

Nel giugno scorso l’associazione sindacale dei carabinieri Unarma ha lanciato un allarme sul fenomeno dei “suicidi” tra le forze dell’ordine. Tra il 2014 e il 2021 i casi di suicidio tra poliziotti, carabinieri e guardie di finanza sono stati 355 (sì, proprio trecentocinquantacinque). Dal gennaio al maggio dell’anno in corso si sono verificati altri 29 (sì, proprio ventinove) casi di suicidio, addirittura quattro nella stessa settimana e due nella stessa caserma. Dal 2014 a questi ultimi giorni siamo già ad un totale di 384 morti: praticamente i numeri di una guerra civile. Sono infatti dati ufficiali che dovrebbero far clamore, ma rimangono invece ai margini della comunicazione e non pervengono assolutamente al dibattito politico.

Il problema è che i suicidi sono un po’ troppi per essere spiegati con il solito “disagio psicologico” da adolescenti. Del resto, se tassi di suicidio di questa entità si riscontrassero, ad esempio, tra le forze dell’ordine russe, li riterremmo realistici e credibili? Ma anche chi volesse a tutti i costi dar credito alla versione del suicidio di massa, dovrebbe poi essere anche in grado di spiegare come mai non ci sia ancora un commissione di inchiesta a riguardo.

Non mancano però i casi di suicidio persino tra i magistrati. Nel 1998 si tolse la vita un magistrato che era oggetto di indagini, Luigi Lombardini; e il fatto suscitò polemiche politiche piuttosto accese. Certi suicidi un po’ troppo tempestivi hanno riguardato anche altri magistrati sotto inchiesta. Il problema è che queste tendenze suicide riguardano persino magistrati immuni da qualsiasi sospetto o pendenza. Nella maggior parte delle volte però le notizie su queste strane morti tra i magistrati passano senza che la stampa vi attribuisca un rilievo eccessivo; anzi, come in un caso del 2020, affrettandosi a precisare che tutte le circostanze sono già chiarissime e che non ci sono “gialli”. L’ammonimento era piuttosto evidente: chiunque pensi di rivolgere qualche domanda di troppo sappia di essere già candidato alla gogna come “complottista”. In fondo, una volta stabilito che si tratta di suicidio, cosa importerebbe se fosse “suicidio assistito”?

A rassicurare tutti i potenziali malpensanti c’è comunque l’accuratezza rigorosa e meticolosa con cui vengono svolte le indagini. Nel 1999 una magistrata fu trovata suicida negli uffici del tribunale civile di Torino. Secondo la versione ufficiale infatti la povera donna si era tolta la vita sparandosi ad una tempia con due (sì, proprio due) colpi di pistola. Con il “suicidio” di Raul Gardini si è ben delineato lo schema che seguono le indagini: all’inizio qualche cosina non torna, i colpi sparati sono troppi, l’arma è fuori posto, ma col tempo gli opportuni “ricordi” degli inquirenti rimettono i pezzetti laddove devono stare. C’era da qualche parte un criminologo che diceva che non esistono suicidi ma soltanto indagini insabbiate. Ma sicuramente quel criminologo non ha mai fatto carriera.

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