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sinistra

Trappola linguistica

di Salvatore Bravo

L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.

La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione

L’articolo uno della Costituzione è chiaro nelle sue finalità politiche, non vi è dignità che nel lavoro. Una nazione democratica si fonda sul demos, il quale concorre al benessere sociale e materiale con l’attività lavorativa. Il lavoro è partecipazione al vivere sociale, mediante esso il popolo fonda la democrazia, se ne appropria per renderla istituzione culturale diffusa nella quale tutti i lavoratori vivono in pienezza la condizione di cittadini. L’attività lavorativa è lavoro dello spirito comunitario che si oggettivizza in prassi produttiva e politica. La democrazia sociale è il demos che diviene agente sociale di benessere sociale ed economico. Si pone un circolo virtuoso positivo in cui il lavoro diviene coscienza di classe. Il lavoro è lo spirito della democrazia, il riconoscimento della sua dignità è la condizione prima di una democrazia reale e non solo formale.

Il neoliberismo in questi decenni non solo ha eroso i diritti dei lavoratori con la complicità dei sindacati e dei partiti, ma ha normalizzato la precarietà e i contratti la cui durata, anche di poche ore, non consente al lavoratore di “sentirsi persona”, poiché è solo “strumento di lavoro” nelle mani del padrone.

Quest’ultimo è interno alla competizione del mercato globale, pertanto per sopravvivere deve mettere in atto il dispositivo liberista che gli consente di evitare la selezione e il fallimento con lo sfruttamento. Non tutti i “padroni” accumulano ricchezze, gran parte degli imprenditori vive nell’ansia del fallimento, per cui devono obbedire alla legge della competizione selettiva.

Il sistema neoliberista lavora contro il popolo tutto e si struttura come un sistema plutocratico. Una nuova organizzazione piramidale di tipo medioevale, in cui per sopravvivere il superiore sfrutta l’inferiore. Lo sfruttamento è divenuto il fondamento del sistema. L’essere umano è carne da cannone da utilizzare e da buttar via come qualunque arnese, alla fine dell’uso è scarto come qualsiasi materiale.

Verso i lavoratori si sta mettendo in atto un atteggiamento genocidario: si muore sul lavoro, si è umiliati e ricattati. Lo sfruttamento fisico si associa all’umiliazione psicologica. Nella scala sociale c’è sempre un inferiore da usare e sfruttare.

Il senso di colpa inoculato per poter controllare il lavoratore è da prestazione e di ordine sociale. Il lavoratore è colpevolizzato per le prestazioni mai adeguate agli standard padronali, è colpevole della propria condizione sociale. Se occupa nell’organigramma sociale la condizione di sottoposto è sua massima colpa, in quanto non è stato all’altezza di abbattere il nemico-concorrente e salire nella scala sociale. Senza la pulsione al dominio si precipita sul fondo della gerarchia, per cui gli oligarchi sono il modello con cui il lavoratore deve giudicare se stesso. Strategia quest’ultima sostenuta dai media e dagli oratores che hanno annichilito la coscienza di classe ed hanno favorito l’assimilazione ideologica: i lavoratori sfruttati hanno introiettato la colpa, giudicano se stessi con i parametri stabiliti dai padroni.

 

Uscire dalla trappola linguistica

La grande vittorie delle oligarchie è l’aver destabilizzato e destrutturato il linguaggio di classe. Le nuove generazioni impoverite a livello culturale e lavorativo parlano il linguaggio dei padroni, si disprezzano per il loro status sociale, pertanto la lotta di classe al momento l’hanno vinta i capitalisti.

Il suddito usa lo stesso linguaggio degli sfruttatori, pertanto non si scandalizza dinanzi alla mattanza quotidiana sul lavoro, giudica quasi normale morire sul lavoro, se così non fosse avremmo le piazze colme di manifestanti e i palazzi del potere assediati. L’individualismo più efferato è il modello sociale diffuso che ha intrappolato i lavoratori senza corpi medi e partiti che li possano rappresentare. Ogni tragedia è solo registrata, ma velocemente cassata.

L’Italia e l’Europa sono fondate sullo sfruttamento, ma lo si chiama flessibilità e resilienza. La verità è scomparsa con le parole che la indicano. Lo sfruttamento ha un fondamento materiale e uno linguistico, quest’ultimo impedisce al lavoratore di pensarsi nella sua verità. I lavoratori non hanno le parole per descrivere e comunicare la loro condizione, pertanto sono in una trappola linguistica alimentata dall’inglese padronale e dalla manipolazione delle parole. Società schizoide in cui si vive lo sfruttamento, ma lo sfruttato nomina la propria condizione con le parole del padrone. Se a un lavoratore si rubano le parole non può che essere una semplice funzione produttiva in un immenso campo di sfruttamento. La proprietà è un furto ottenuto con la deverbalizzazione dei lavoratori. L’alienazione è un furto materiale e linguistico. In questa corsa verso la negazione del lavoro, siamo ora ad un momento di passaggio nodale: il sistema padronale è sicuro di sé al punto da aver avviato la separazione tra il lavoro e la retribuzione: l’alternanza scuola lavoro e gli stage sono la testa di ponte avanzata con cui si sperimenta lo sganciamento tra lavoro e remunerazione. L’episodio della giovane nigeriana Beauty, la lavoratrice 25enne picchiata dal suo datore di lavoro, titolare di un lido-ristorante di Soverato (Catanzaro), per aver chiesto di essere pagata, è parte di tale logica in atto. Ancora una volta gli squittii dei sindacati e il silenzio dei partiti denuncia la china verso cui il mercato sta precipitando. Siamo dinanzi alla possibilità di una svolta, i processi di derealizzazione hanno assicurato la vittoria ai padroni, ma il diffondersi dell’incrinatura tra lavoro e retribuzione riporta i sudditi alla verità della loro condizione che gradualmente da sfruttati si avvicina alla condizione schiavile.

Costituzione negata e umanesimo calpestato sono queste le verità sempre più palesi che il linguaggio del mercato non può più occultare. I lavoratori devono ricominciare a conquistare la lucida verità sulla loro condizione senza la quale non vi può essere coscienza di classe e costituzione di una autentica rappresentanza. Le condizioni materiali per riattivare la lotta di classe all’interno del dettato costituzionale vi sono tutte.

Il mercato è un immenso automatismo che si muove secondo logiche e leggi crematistiche, la sua onnipotenza può ribaltarsi in sconfitta, in quanto i soggetti che lo muovono sono chiusi nei loro fortilizi sociali ed ideologici. Si aprono possibilità di lotta, in quanto il sistema oligarchico vive una fase di derealizzazione incentivata dall’onnipotenza che lo guida. I sudditi sono nelle condizioni di riconquistare il senso e la verità della loro condizione. I plutocrati cominciano ad essere “vittime” del dispositivo che hanno posto per dominare: sono pericolosamente derealizzati.

La violenza e le contraddizioni del sistema non sono decodificate dai padroni, in quanto decenni di vittorie li hanno resi incapaci di capire la pericolosità del sistema in atto. Il loro fanatismo integralista è il segno della deriva schizoide in cui anch’essi sono caduti.

In questo ribaltamento dei processi di derealizzazione si aprono scenari per elaborare nuove prospettive culturali di lotta ed emancipazione. Il capitalismo è un fenomeno storico, non è eterno come vorrebbero farci credere, per cui la prima fondamentale conquista è l’esodo dalla fede nel mercato e nel liberismo quale unico linguaggio da utilizzare e vivere. La storia può riprendere il suo cammino con i suoi cambi di binari, le condizioni strutturali ci sono.

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