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giubberosse

‘Sirianizzazione’ del conflitto?

di Enrico Tomaselli

Torna a porsi la questione di una eventuale sirianizzazione del conflitto Ucraino; lo fa, da ultimo, l’analista militare russo Boris Rozhin, autore del canale Telegram Colonel Cassad. Secondo Rozhin, che aveva previsto questa evoluzione già a marzo, gli indizi di tale evoluzione sarebbero fondamentalmente questi:

“1. I fronti con le città bastione hanno preso forma e si sono stabilizzati.

2. Il nemico sta usando sempre più e sistematicamente metodi di guerra puramente terroristici.

3. La dimensione del teatro delle operazioni supera le forze disponibili di entrambe le parti, nonostante tutti gli sforzi per accrescere raggruppamenti.

4. Le forniture di armi straniere svolgono un ruolo significativo per mantenere l’intensità del conflitto, ed è impossibile bloccare completamente i canali di queste forniture.

5. Ruolo significativo dei mercenari stranieri e dei servizi speciali nell’organizzazione delle attività nemiche.

6. Le inevitabili provocazioni simili ai metodi dei ‘caschi bianchi’ e minaccia dell’uso delle armi di distruzione di massa.

7. Paralisi totale del processo negoziale a causa del desiderio degli sponsor del conflitto di raggiungere i loro obiettivi a tutti i costi.

8. Attacchi terroristici in città russe commessi da terroristi che fanno rivendicazioni territoriali in Russia.”

 

Similitudini e differenze

Indubbiamente, molti di questi elementi si riscontrano in entrambe gli scenari di guerra, ma a mio avviso non sono sufficienti a stabilire un parallelo tout court. A parte il fatto che il primo punto non corrisponde alla realtà ucraina (le linee fortificate che fanno perno sui centri abitati furono realizzate in Donetsk già durante la guerra civile, nel 2015, ed il fronte – come si vede in questi giorni – non è affatto stabilizzato), sono numerosi invece gli elementi che rendono difformi le due situazioni.

Innanzi tutto, in Ucraina si fronteggiano il locale esercito nazionale e le forze armate della Federazione Russa, affiancate dalle milizie delle repubbliche separatiste (1) e da reparti della Wagner, mentre in Siria c’è una moltitudine di soggetti attivi: oltre all’esercito nazionale siriano, infatti, sono presenti reparti dell’esercito russo, dei Guardiani della Rivoluzione iraniani, di Hezbollah libanese, e di milizie sciite afghane e yemenite (tutti schierati dalla parte di Damasco), mentre sul fronte opposto si trovano varie formazioni curde, milizie turcomanne, residue formazioni facenti capo all’Isis, i ribelli siriani dell’ESL, nonché truppe turche e statunitensi, che mantengono illegalmente basi in territorio siriano. Per non parlare dell’attività aerea di Israele, che periodicamente colpisce obiettivi iraniani e siriani, nella medesima area nord-orientale del paese.

Quella che si combatte sul suolo ucraino è a tutti gli effetti una proxy war degli Stati Uniti contro la Russia, con una divisione netta e chiara delle due parti, e anche se il coinvolgimento diretto della NATO c’è ed è significativo (supporto satellitare e di intelligence, fornitura continua di armi e munizioni, supporto economico e politico, addetramento (2), etc), almeno ufficialmente sia gli USA che la NATO non sono presenti boots on the ground, mentre in Siria – vedi mappa – Russia e Stati Uniti sono entrambe presenti, e spesso anche estremamente vicini.

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La guerra civile siriana è cominciata nel 2011. Nel 2014, a seguito della creazione del Daesh (lo stato islamico) a cavallo tra Siria ed Iraq, interviene una coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti d’America, e che comprende Giordania, Bahrein, Qatar, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, in appoggio alle formazioni indipendentiste curde del YPG che combattono contro l’ISIS a Kobanê. Un anno dopo intervengono Francia e Russia, e poi anche il Regno Unito. Quella che si delinea, quindi, è una guerra che vede almeno tre schieramenti diversi, resa ancor più intricata da una serie di alleanze assai variabili nel tempo, e totalmente internazionalizzata.

Per inciso, vale la pena di notare che il timore che un possibile contatto tra russi e truppe NATO, in Ucraina, potrebbe essere la scintilla per una terza guerra mondiale, sembrerebbe smentito dal fatto che, nonostante in Siria siano reciprocamente ad un tiro di schioppo, USA e Russia riescono ed evitare accuratamente lo scontro diretto. Per la semplice ragione che non lo vuole nessuno dei due.

Aggiungerei che la natura periferica del conflitto siriano si evince chiaramente anche da quanto poco abbia inciso sulle relazioni politiche ed economiche globali, mentre al contrario quello ucraino – proprio per la sua centralità strategica, oltre che geografica – le ha drammaticamente sconvolte.

Fondamentalmente, quindi, al di là delle significative differenze appena viste, c’è da aggiungere che la guerra in Ucraina va avanti da soli sei mesi, e se pure non è una blitzkrieg procede comunque nella direzione voluta da uno dei due schieramenti. Diversamente, in Siria il conflitto ha ormai 11 anni, è si è da tempo stabilizzato.

Infine, sempre Rozhin, a sostegno della sua tesi, dice che “proprio come la guerra siriana ha rimodellato l’intero Medio Oriente, la guerra in Ucraina ridisegnerà l’ordine mondiale esistente”; ma, in effetti, se è vero che il conflitto in Ucraina si inscrive in una partita che forzatamente cambierà la mappa del mondo, non mi pare che quello siriano abbia portato a chissà quali mutamenti in Medio Oriente.

 

Questa guerra è spiazzante

La sola prospettiva nella quale potrebbe avere un senso parlare di sirianizzazione del conflitto, si verificherebbe qualora questo si cronicizzasse, ovvero si venisse a creare una situazione in cui lo stato di guerra si protrae nel tempo, senza che però avvengano significativi mutamenti nella situazione sul terreno. Ma perchè si possa dire che ciò è avvenuto effettivamente, bisognerebbe attendere, a mio avviso, almeno tutto il 2023; tenuto anche conto della assai diversa conformazione morfologica dei rispettivi territori, ed ancor più dell’incisività del fattore metereologico.

La questione di fondo, ritengo, è che questa guerra è spiazzante, e rende complicato tentare di ricondurla a schematizzazioni note – per quanto questo sia del tutto naturale che avvenga. Quella messa in campo dalla Russia, infatti, è una guerra d’attrito, quale non si vedeva dalla guerra di Corea (con la quale ha anche altre affinità…), o se vogliamo da quella Iran-Iraq. Per quanto vi siano pienamente coinvolte anche tecnologie moderne, dai droni ai missili ipersonici, ai razzi teleguidati, la tattica con cui sono utilizzate sul campo è tutt’altro che tale. Dall’uso dell’aviazione quasi esclusivamente in appoggio tattico alle truppe di terra all’uso massiccio dell’artiglieria, alla pressoché totale assenza di concentrazioni di carri.

Una guerra pre-moderna che mette in difficoltà non tanto l’esercito ucraino, che non avrebbe comunque speranze, quanto la NATO stessa, le sue dottrine militari e la struttura stessa dei suoi eserciti – anche e soprattutto sul piano del consumo (di uomini e materiali) che questo tipo di guerra comporta. E se, nell’ipotesi di un confronto diretto, probabilmente l’occidente sarebbe comunque in grado di reggere sul piano della produzione bellica, su quello delle perdite umane con tutta probabilità si troverebbe di fronte ad un costo insostenibile.


Note
1 Recentemente, Putin ha firmato un decreto per ampliare il numero del personale militare russo di quasi 140 mila unità, portando il numero totale dei soldati russi a 1,15 milioni. Un aumento del 15% circa del personale militare, che scatterebbe a partire da gennaio 2023. La misura, però, va inquadrata nella prospettiva più ampia del conflitto in cui la Russia è impegnata, e delle sue conseguenze. Com’è noto, entro questo autunno si terranno i referendum di adesione alla Federazione nelle Repubbliche di Lugansk e Donetsk, e nella regione meridionale di Kherson. Pertanto, a partire appunto dal prossimo anno, le milizie popolari delle due repubbliche verranno integrate nell’esercito russo. Da qui, l’esigenza di ampliarne gli effettivi.
2 Come comunicato recentemente da Borrell, ministro degli esteri dell’UE, i paesi europei si sono impegnati a realizzare campi di addestramento per i militari ucraini. Attualmente ciò avviene già, oltre che nel Regno Unito, anche in alcune basi NATO in Polonia e Germania; con questa decisione, che segna un ulteriore passo in avanti nel coinvolgimento diretto, la funzione di addestramento verrà estesa, coinvolgendo più paesi e più militari ucraini.

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