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Logica della storia

di Pierluigi Fagan

Nella disciplina, ci sono due correnti di pensiero. Quella dominante, fortemente influita dalla impostazione anglosassone, come non diversamente potrebbe essere visto l’egemonia estesa che questa ha in ogni aspetto della nostra cultura, che pone i Grandi Uomini sopra gli eventi.

Sì, ci sono gli eventi, i fenomeni, il tessuto delle cause ed effetti aggrovigliato e dinamico, ma è il Grande Uomo quello che dà la svolta alla storia, nel bene come nel male. Ne seguono la raccolta delle figurine Panini sugli Uomini Illustri ed i volumi seriali il cui primo è venduto in allegato al quotidiano nazionale ad 1 euro sulle grandi figure che hanno fatto la Storia, comprati da quelli che in genere la Storia la subiscono. Così si fanno una cultura sapendo per merito o colpa di chi la debbono subire.

Fu un britannico vittoriano, Thomas Carlyle, a dare più di ogni altro questa impronta che è nota come una vera e propria teoria di studi storici, la Great Man Theory. L’unità metodologica della cultura anglosassone in senso esteso è l’individuo; quindi, è ovvio che la storia la fanno i Grandi Individui. Come ogni semplificazione che ci fa risparmiare spazio (mentale), tempo (che non abbiamo) e quindi fatica cognitiva (frustrazione), ha avuto ed ha grande successo.

Ma la Storia va davvero così?

Molte altre correnti minoritarie (invise ai poteri dominanti) negli studi storici credono diversamente. Parafrasando un noto filosofo austriaco, pensano che la Storia sia “la totalità dei fatti”. Questi fatti emergono da complesse dinamiche in cui, volta per volta, vattelapesca se è più influente la geografia, la sociologia, l’antropologia di un popolo, l’economia e la finanza, la cultura religiosa, la cultura in senso più ampio, le tradizioni longeve esplicite ed implicite, la dinamica politica, la dinamica geopolitica e spesso anche un pizzico di caso. Naturalmente poi anche gli uomini e le donne, ma un po' di più che non solo l'Uno demiurgico.

Da vedere, in questa visione di ordito dinamico e complesso, il ruolo che ha avuto il c.d. Big Man. Può essere un catalizzatore, un semplice delegato dalla struttura del fenomeno stesso a fare quello che poi farà, un semplificante la narrazione, una astuzia della Storia per velocizzare certe travagliate transizioni, un “primus inter pares”, un cover boy di gruppi interesse (élite).

Proprio la teoria delle élite tenderebbe a semplificare la tradizionale scansione delle tipologie di forme politiche che già Erodoto aveva condensato nel potere dell’Uno, dei Pochi e dei Molti. Se ci si spensa un attimo con concretezza scevra da condizionamenti, davvero si può pensare che un singolo individuo agisca a proprio piglio comandando gruppi minori che poi dirigono gruppi maggiori? E perché mai il gruppo minore dovrebbe sottostare all’Uno? Quanti unicidi costellano il racconto storico in cui è la silenziosa e nebbiosa élite che decide se e fino a quando l’Uno ha il potere assoluto e quando va sostituito? O lo indirizza e lo corregge. O sta zitta e lascia fare, a volte anche notando che le cose stanno andando davvero a scatafascio ma nell’impossibilità di varare una strategia alternativa perché è proprio il loro sistema ed ideologia che va a scatafascio? Il fallimento del Grande Uomo è sempre il fallimento dell'élite che lo esprimeva?

Forse la storia che è spesso anche storia del potere o forse dei poteri, ha un format più semplice Pochi (quasi sempre) vs Molti, la necessaria semplificazione manifestatasi già ad Uruk cinquemila anni fa quando nascono gli aggregati umani che vivono in città (civis) da cui la “civiltà”.

Ci sono casi comici della Teoria del Grande Uomo, ma neanche ce ne accorgiamo. Ad esempio, il fatto che decine di milioni di tedeschi, popolo civile e di grande tradizione e profondità culturale, s’è fatto imbambolare da un austriaco alto un .azz. ed un barattolo, con degli strani baffetti sotto il naso (curati come simbolo distintivo del carattere di un tizio che evidentemente soffriva di convinzione caratteriale), che li ha portati alla rovina, loro malgrado. Utile però, oltreché ridicola, perché nel dopoguerra ha permesso ai tedeschi di dire “be’ ora Lui non c’è più, siamo liberi, siamo nuovi, siamo buoni, scusate l’intoppo”, ai tedeschi ed agli americani a cui serviva una nuova Germania linda e pinta, forte, da schierare contro l’URSS. Così per il fascismo congenito di certo spirito italiano, zarismo congenito dei russi, “imperatorismo” congenito dei cinesi. Anzi, nel caso cinese è ai cinesi noto sul piano dello loro logica storica che gli imperatori avevano un potere limitato dalla vera condensazione del potere effettiva che era nella burocrazia confuciana, oggi partito comunista cinese.

Di recente, l'ubriacatura di "putinismo" ovvero come collassare una questione assai complessa (la "questione ucraina") creando un tizio che al potere da venti anni, un giorno diventa pazzo e trascina con sé 150 milioni di ignari bevitori di vodka, fa parte di questo registro narrativo che piace molto. Soprattutto a chi deve scrivere su i giornali di cose di cui non sa nulla, ma ha qualche velleità letteraria repressa.

Insomma, forme ed interpreti di forme ed a sua volta forme che emergono da complessi di fatti e fenomeni e non sono imposti dall’alto come ci raccontiamo e come alcuni hanno interesse a raccontarci per disilluderci semmai ci venisse il piglio di pensare che la Storia potremmo farla noi stessi, tutti assieme e non sperando di diventare “l’eletto” o subendolo perché così va il mondo.

Ma messa così, me ne rendo ben conto, la Storia diventa complessa e le cose complesse, be’ saranno anche giuste e vere, ma sono poco pratiche, abbiamo tutti fretta di capire o far finta, perché dobbiamo dire. Ci piace dire la qualunque sul qualsivoglia.

Il quesito su quale delle due logiche usare in giudizio storico vale anche per Gorbaciov, ovviamente.

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