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multipolare

Anche i ricchi piangono

di Multipolare

Il continuo rialzo dei prezzi del gas sta facendo volare le richieste di margine sui derivati che le utilities usano per proteggersi dalla volatilità. Le utilities sono società quotate in borsa che lavorano nel settore dell’energia e dell’elettricità (p.es. Hera o Enel), ora travolte da continue richieste d’integrazione dei margini di garanzia per mantenere aperta la loro posizione in borsa. Infatti i prezzi energetici non solo sono saliti alle stelle, ma oscillano con variazioni spesso superiori al 30-35% in un solo giorno.

Che significa? Significa che servono 1.500 miliardi di euro (un capitale praticamente morto) per coprire le richieste di margine nel settore energetico europeo, soprattutto quello legato al gas, altrimenti si rischia un crack borsistico, come quello americano del 2008.

Questo perché nelle borse esiste sempre il rischio che, per qualche motivo ritenuto, a torto o a ragione, grave (p.es. le bollette energetiche non pagate, le tasse sugli extraprofitti delle imprese…), chi dispone di molte azioni nel settore energetico, voglia venderle tutte per ottenere grossi guadagni immediati.

Se questa cosa viene fatta contemporaneamente da molti trader, le borse crollano. Ma il problema sussiste anche solo quando si tratta di distribuire i dividendi.

Ecco perché i listini di borsa chiedono di accantonare maggiore liquidità (collaterale) man mano che i prezzi salgono (200 miliardi sono richiesti alle imprese italiane del settore). Per es. il collaterale richiesto al Nasdaq in Svezia è salito di 1 miliardo di euro a settimana! E non c’è di mezzo solo il gas ma anche i metalli e i prodotti agricoli. Paradossalmente alle utilities presenti in borsa conviene ridimensionare i volumi scambiati per sopravvivere.

Il problema sta nel fatto che siccome le banche non sempre sono in grado di garantire la liquidità alle imprese per coprire le richieste di margine, avendo in corpo ancora molti titoli tossici dai tempi del crollo dei subprime americani, a questo punto devono essere i governi a farlo. Cioè mentre i guadagni spropositati vengono acquisiti dagli speculatori borsistici, le eventuali perdite delle imprese quotate, nel caso in cui le vendite delle azioni fossero massicce e incontrollate, sono a carico di tutti. Infatti il rischio è un default a catena, e non servirebbe a niente dire che certe aziende sono troppo grandi per fallire.

Le aziende non sono in grado di garantire linee di credito multimiliardarie per far fronte alle richieste di margine pretese dalle borse, o alla vendita simultanea delle loro azioni da parte di chi investe in borsa. Peraltro la riduzione della fornitura dalla Russia ha costretto molte imprese, per adempiere ai contratti, ad acquistare gas nel mercato spot più costoso, tagliando i margini sulle azioni.

In tal senso un tetto al prezzo sull’elettricità potrebbe avere un senso, poiché i mercati dell’energia elettrica sono per lo più localizzati. Ma nel gas, data la natura globale di questo mercato, un price cap sarebbe estremamente difficile.

Tuttavia i governi han già il problema di dover sostenere gli agricoltori e le industrie colpiti dagli elevati costi energetici. Dove troveranno i soldi per proteggere anche le utilities? Non è paradossale che nel capitalismo debba essere lo Stato, con le tasse di tutti i cittadini, a dover proteggere sia le imprese che non sono troppo forti per reggere gli elevati e improvvisi costi dell’energia, sia quelle che, essendo quotate in borsa perché molto forti, rischiano di fallire a causa della speculazione o delle garanzie di protezione dalla speculazione?

La Lehman Brothers fallì nel 2008 proprio perché non fu in grado di fronteggiare la crisi dei mutui subprime, scoppiata attorno al problema dei collaterali in crescita sui derivati relativi alla situazione immobiliare.


Fonte: https://www.milanofinanza.it/news/gas-servono-oltre-1-500-miliardi-per-salvare-le-utilities-europee-l-allarme-di-equinor-202209061338586757

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