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lafionda

Elezioni politiche 2022: un primo commento

di Giulio Di Donato

L’esito delle elezioni del 25 settembre è in linea con le aspettative: nessun risultato a sorpresa. Proviamo a trarne un primo, velocissimo bilancio, fra note positive e negative.

Iniziamo dalle prime: scongiurato il rischio di un Draghi bis; tracollo dei Dem con conseguente ricambio (minimo) nella gestione del potere; tenuta dei 5S, grazie a una campagna elettorale incentrata sui temi sociali, sul “ni” all’invio di armi e sull’autonomia dal PD, e grazie naturalmente al consenso di cui gode, ancora oggi, Giuseppe Conte; Ilaria Cucchi in Senato e la Caporetto personale dell’ex Ministro degli Esteri Luigi Di Maio, che esce di scena in modo, direi, inequivocabile.

Veniamo ora, più nello specifico, alle note negative: la cosiddetta “Agenda Draghi” continuerà a sopravvivere nei fatti; attendiamo tuttavia le nomine nei Ministeri che contano, quali, ad esempio, Economia ed Esteri (in poche settimane si capirà se questo mini-sconvolgimento politico sarà una mera cosmesi). Preoccupa inoltre il ruolo che giocherà Berlusconi (vedo nubi sulla Giustizia) e un po’ rattrista costatare quel che resta dell’anomalia Lega di Salvini, così ridimensionata a vantaggio della Meloni (c’è stato un evidente travaso di voti dal primo alla seconda).

Mai così alta l’astensione (36,1%, la più alta dal Dopoguerra), percentuale che esprime una sfiducia radicale su cui ci sarebbe moltissimo da riflettere: una vera e propria secessione di chi si sente ai margini della società e delle formule rinsecchite della post-democrazia senza popolo. Al punto che verrebbe da chiedersi: voteranno alla fine solo le ztl, i paladini di single-issue e i settori più ideologizzati?

Deludente è stato anche il risultato delle cosiddette “forze critiche antisistema” che non sono riuscite a mobilitare gli astenuti e il voto in uscita dallo zoccolo più intransigente dei 5S. Pesano certo i tempi ristretti della campagna elettorale, la frammentazione e l’oscuramento mediatico, ma anche i troppi elementi di settarismo e di minoritarismo che non consentono di parlare oltre le singole nicchie.

Il tema vero è però a mio avviso il seguente: come poter rimotivare un pezzo sempre più consistente di società frastornato e disilluso, che non crede più nella possibilità di cambiare la realtà attraverso i canali tradizionali della partecipazione politica, anche alla luce dei fallimenti e dei tradimenti dei presunti homines novi della politica italiana?

Ovunque aleggia un senso di odissea senza approdo e di chiusura asfittica di orizzonti, fra ansia da fine imminente e schiacciamento sul quotidiano. Ma queste sensazioni nascondono forse anche una traccia, una memoria, una nostalgia dell’attesa per una “rivoluzione” in grado di avviare una profonda trasformazione sociale che si riferisca al “destino dell’uomo e non a suoi particolari problemi”. Ed è a questo sentimento che bisogna, a mio avviso, fare appello.

Naturalmente, questa rivendicazione di forme inedite di partecipazione e contestazione dell’ordine costituito e di nuove “visioni radicali” capaci di riannodare il legame sociale può funzionare solo se l’azione politica viene sottratta alla trappola della neutralizzazione tecnocratica di matrice globalista e neoliberale e del vincolo esterno auto-imposto. Quel che è certo è che non esisterà salvezza per le istituzioni se esse non saranno in grado di riconquistare un rapporto profondo con la vita popolare del Paese, in modo da intrecciare tanto le condizioni concrete di vita delle persone quanto le domande diffuse di significato (che sono anche e soprattutto domande di una qualità di vita diversa, di un diverso modo di relazionarci agli altri e a noi stessi).

La prospettiva, più nel concreto, almeno per quanto mi riguarda, rimane sempre la stessa: incalzare il mondo 5S (qui inteso in senso lato, come area politica generale dentro e fuori il Movimento) su una linea di piena autonomia dalla falsa contrapposizione centrodestra/centrosinistra (entrambe prigioniere di un’interpretazione subalterna del vincolo esterno euro-atlantista e del paradigma neoliberale), sulla base di una piattaforma che, molto semplificando, si potrebbe definire “neosocialista”, poiché collocata dalla parte del nucleo sociale della Costituzione e del senso dell’autonomia della politica.

Sarebbe sbagliato invece pretendere di sciogliere le “ambiguità”, ancora in parte presenti nel 5S a guida Conte, secondo i canoni consolidati in vista di una sua stabile e definitiva collocazione nell’ambito dell’attuale centrosinistra. Quelle “ambiguità” sono e devono restare tali perché alludono alla necessità di pensare a sintesi politico-culturali nuove e più avanzate. Prendendo partito sulle questioni ultime e decisive, senza isterilirsi nelle comode tacce del passato.

Comments

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Vera
Thursday, 29 September 2022 16:35
Ci sono note di amarezza di uno che ha i piedi per terra e ha assistito al declino inesorabile del socialismo. Scomparso un mondo, non sarà più possibile ricostituirlo. Una piattaforma " neosocialista", questo l'auspicio del giornalista. La vedo dura.
Per ora, vivendo di progetti minimi e di piccoli solluccheri, mi accontento di vedere fuori dal parlamento alcuni parassiti e di indovinare lo sgomento dei servi dell'informazione ( specie in Rai) raccomandati dal Pd.
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Enrico
Tuesday, 27 September 2022 16:46
Buona analisi.
Personalmente, non credo andrò più a votare stando così le cose ( legge elettorale, costante eco mediatica per i partiti di potere, settarismo , minoritarismo, frammentazione degli schieramenti antisistema).
Pensando a un Renzi che con il traino Calenda ha spuntato ben 15 seggi, e ai vari galletti di Up, Isp che non sono riusciti a cavalcare i punti in comune ( tanti ), dico che ci sta bene , benissimo. Chi è causa del suo mal, pianga se stesso.
Voi continuate a fare analisi mentre qui siamo morti.
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