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lacausadellecose

Sul dopo elezioni del 25 settembre 2022

di Michele Castaldo

I risultati elettorali in Italia? Niente di nuovo sotto il sole, è il caos che avanza e l’esultanza della Meloni durerà il volgere di un mattino perché, il ceto medio che su di lei ha puntato tutte le carte, per sottrarsi alla morsa del grande capitale, non troverà le risposte che si aspetta. E’ finito anche il tempo della Lega italiana che rifluisce dimagrita verso una autonomia delle regioni del nord. La Lega paga lo scotto per il sostegno ai grandi poteri, col governo Draghi e la fluttuazione nei confronti degli schieramenti internazionali. Insomma si torna all’”antico”, ma non al 1921/2, bensì al 1943 e allo schieramento Atlantico, e magari all’antigermanesimo. Chi ipotizzava una Meloni in una rinnovata camicia nera non aveva capito che la storia non si ripete mai uguale a se stessa e riprende dal punto di arrivo in condizioni completamente diverse. Chiarisco ulteriormente: il fascismo come fenomeno storico nasceva a seguito di una guerra e rappresentava una nazionalità in ascesa insieme a una straordinaria crescita del modo di produzione capitalistico imperniato in Occidente. Raccoglieva i cocci di quanti avevano dato il sangue per l’Italia, in modo particolare del nord-est e di un ceto medio in ascesa perché nella ricostruzione questo aspirava a una accumulazione insieme al grande capitale.

Messo a tacere il proletariato che rincorreva una improbabile rivoluzione internazionale e internazionalista, il gioco fu abbastanza semplice. Poi la letteratura assolve al ruolo di raccontare la storia, ma si tratta, appunto, del racconto della storia.

L’attuale Destra italiana raffigurata nella signora Giorgia Meloni è lontana anni luce dal fascismo e da Mussolini, non per sua volontà – che magari qualche simpatia ancora la conserva – ma perché la fase del modo di produzione capitalistico è completamente diversa e difatti lei si rifà non al 1921/1922, quanto piuttosto al 1943, ovvero alla sconfitta del fascismo e alla vittoria degli “alleati” e si schiera con questi, cioè con quelli che il Benito Mussolini, con qualche ragione, aveva definito plutocrazie.

Dunque, per essere chiari, la signora Meloni ha raccolto in un crescendo continuo il massimo del malcontento del ceto medio produttivo e commerciale, in modo particolare al nord, basta guardare alla fluttuazione dei flussi dalla Lega a FdI al nord, e si propone al grande capitale come alleato affidabile sia sul piano interno, come i nuovi patrioti che sul piano internazionale, con la Nato e gli Usa senza se e senza ma, ed ecco uno dei punti di maggiore importanza, in funzione antieuropea in modo particolare se a trainare dovesse essere ancora la Germania.

Si tratta di una scommessa forte, una scommessa che sta nei fatti, e il fatto che si parli di “patrioti” – una espressione che rievoca un atteggiamento da avere in modo particolare in guerra - è il segnale tangibile di una fase molto critica che impone un atteggiamento conseguente. Come dire: se nazionalismo ha da essere, ebbene che sia dalla parte giusta, dalla parte dell’Occidente, che nella storia ha saputo mostrare di saperla dirigere, e in modo particolare della maggiore potenza in essa, quella degli Usa che detengono la potenza militare e un lungo pedigree di democrazia.

È questo il messaggio che viene veicolato, al di là delle intenzioni della signora Meloni, al popolo della “destra” che l’ha sostenuta e in essa si rivede, col quale il grande capitale è chiamato a fare i conti. È ipocrita perciò fingere di non capire. Si tratta della famosa variabile impazzita costituita dal ceto medio impoverito dalla crisi capitalistica, e che è passato dal berlusconismo, alla Lega e al Movimento 5 Stelle e oggi a Fratelli d’Italia della signora Meloni. Sicché la coperta diventa sempre più corta: o si salvano le aziende piccole e medie in crisi e si impoveriscono ulteriormente ampi settori di proletariato precario oggi alleviato dal reddito di cittadinanza, col rischio di mobilitazioni di piazza che l’Italia “in guerra” non potrebbe in alcun modo tollerare, oppure si continuano a castigare piccole e medie imprese in crisi.. « Tertium non datur », dicevano i latini.

Quante possibilità ha un partito, che si è decuplicato nel giro di pochi anni, di reggere a una svolta storica molto complicata al governo? Non ci avventuriamo in previsioni, ma vogliamo ricordare in questa sede che la Lega di Salvini ebbe lo stesso balzo, poi stiamo vedendo in che modo è ridotta. Stesso dicasi per Renzi, idem con patate per il Movimento 5 Stelle e oggi festeggiano una ripresina, grazie al sud, che molti non si auguravano e non ci scommettevano. Insomma un poco di memoria non guasta, in modo particolare in una fase in cui tutto è fluido e molte illusioni si bruciano nel volgere di pochi anni. Un conto è fare opposizione, e la Meloni l’ha saputa fare, tutt’altra cosa è governare un paese con un debito che ha all’incirca tremila miliardi di euro e gli è andato in soccorso la Germania, la Francia e la Banca centrale europea, per non farlo fallire. Facile fare l’opposizione al governo Draghi e sostenere la lotta dei taxisti, dei ristoratori e i gestori di spiagge e altri beni demaniali, stando all’opposizione, tutt’altra cosa è governare quando la coperta è sempre più corta e i conti non tornano e innanzitutto perché non c’ è nessuna ripresa di produzione di valore all’orizzonte e i costi dei carburanti comunque sono destinati ad aumentare.

Lo diciamo ancor prima che si formi il nuovo governo: pensare a un governo della signora Meloni che dura 5 anni è sognare a occhi aperti. Rimaniamo ancorati alla realtà: mancano le possibilità per una ripresa economica che potrebbe dare sbocco alle aspettative del ceto medio, mentre il grande capitale scalpita per centralizzare risorse necessarie a sostegno dei grandi gruppi per reggere alla concorrenza asiatica. È questa la questione che prepotente s’avanza.

Il grande capitale, come lasciava intendere Fedele Confalonieri ancor prima che cadesse il governo Draghi, potrebbe anche decidere di assecondare il voto democratico e un governo della signora Meloni, ma questo presupporrebbe che la signora dovrebbe passare per le forche caudine della grande finanza e dei grandi gruppi monopolisti italiani ed europei, sposarne le necessità e veleggiare con essi. Non lo escludiamo affatto. Sono le leggi del capitale che imprigionano gli uomini, non viceversa.

 

Sulla sinistra e il Movimento 5 Stelle

Molto più complicata è l’analisi sulla sinistra e la sua totale dissoluzione, a meno che si voglia dare ascolto alle cianfrusaglie degli addetti ai lavori. Parlo in prima persona perché so di esprimere un punto di vista completamente diverso non solo da tutte le formazioni che si autodefiniscono di sinistra ma anche dagli intellettuali che si sbrodolano in congetture vuote e prive di senso, lontani dal materialismo. Primeggia tra i tanti Marco Revelli che conclude la sua disamina su La Stampa del 27 settembre con una tesi degna di nota quando dice « […] la progressiva dissolvenza delle nobili culture della sinistra europea obbliga tutti a giocare ormai non tanto in un campo largo ma in uno epocalmente grandissimo quanto incerto, cioè la reinvenzione delle proprie culture politiche ».

Purtroppo bisognerebbe spiegare all’esimio professore Revelli che la sinistra novecentesca si è sviluppata in una fase e su una ipotesi per così dire anticapitalistica incentrata sul nucleo del proletariato industriale, ovvero sulla classe operaia che avrebbe dovuto sostituire la borghesia al potere e istituire la propria dittatura, o il proprio governo. Questo nucleo teorico e politico si è dimostrato in un certo qual modo credibile finché cresceva l’accumulazione capitalistica in modo particolare in Occidente, ma non era materialistico, e per niente credibile, per quanto riguarda la presa del potere e si è dissolto perciò come neve al sole e oggi una nuova visione anticapitalista è tutta da « reinventare ». Detto altrimenti, il socialismo o il comunismo che dir si voglia come soluzione anticapitalistica non può in alcun modo passare per una via democratica e ancor meno significare centralizzazione statalistica dell’economia come paventata anche da illustri intellettuali e teorici della sinistra.

In altri miei scritti ho sostenuto che il proletariato – in modo particolare nella crisi – piuttosto che tendere a costituirsi in classe per sé e per la rivoluzione si comporta come i girasoli, ovvero guarda al dio capitale come i girasoli guardano il sole. E che pertanto piuttosto che spostarsi più a sinistra viene trascinato verso destra, cioè verso il nazionalismo e il sovranismo.

Quale altra classe dovrebbe sostituire il proletariato nella lotta contro il modo di produzione capitalistico? È una domanda da non porsi, perché il capitalismo non è retto da una classe ma è un sistema di relazioni in cui tutto si tiene o niente si tiene, e la stessa cosiddetta borghesia al potere è vittima delle stesse leggi. Anche se in questa fase il ceto medio – in modo particolare in Occidente – è più sotto attacco, questo lo fa divenire una variabile impazzita privandolo di prospettive in quanto ceto e classe.

L’altra variante che rappresenta il ceto medio, cioè il Movimento 5 Stelle, che rappresenta anche settori di proletariato precario e sacche di disoccupati, non ha nerbo politico che può scaturire solo da mobilitazioni di piazza, ovvero divenendo forza in campo piuttosto che chiacchiere in Parlamento.

Ci dobbiamo allora rassegnare al capitalismo per l’eternità? Tutt’altro, solo i non materialisti eternizzano un tempo storico, anche se lungo o lunghissimo, come quello del modo di produzione capitalistico. Essi non riescono a vedere e capire che siamo in presenza non di una crisi ciclica o di un’area del mondo in difficoltà. Tutt’altro: siamo entrati in una crisi generale e mondiale del modo di produzione che partendo dall’economia sta investendo mille altre questioni, comprese quelle più vitali come ambiente, sanità e demografia. Insomma s’avanza sempre più il caos. E che l’uomo sia imbecille è dimostrato dal fatto che non è capace di affrontarla come comunità e pigramente si lascia trascinare dalle leggi impersonali del capitale incentrate sullo scambio, sulla concorrenza e sul liberismo individualistico in ogni angolo del pianeta. Uno scenario che è destinato a una crisi catastrofica e implosiva per l’insieme del sistema. Al punto in cui siamo diventano perciò criminali i difensori di questo modo di produzione e vanno criticati per questo, non anteponendo un nuovo modello di organizzazione sociale di cui non conosciamo ancora i contorni perché solo la mobilitazione di piazza può incominciare a porre.

Non abbiamo nessuna certezza che non prevalga l’irresponsabilità dell’uomo e delle sue leggi e una conseguente Terza guerra mondiale dagli esiti catastrofici. Dobbiamo solo sperare – e agire nel senso dovuto - affinché scoppi una mobilitazione a catena fino a divenire mondiale contro la possibilità di tale scenario.

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