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marx xxi

Krisis di Giacomo Gabellini

di Marco Pondrelli

Giacomo Gabellini: Krisis. Genesi, formazione e sgretolamento dell’ordine economico statunitense, Mimesis/Eterotopie, 2021

Il libro di Gabellini, uscito nel 2021, va letto con attenzione perché frutto di un grande rigore analitico ed ogni affermazione è supportata da solidi ragionamenti. La crisi degli Stati Uniti viene raccontata partendo da lontano, ovverosia dalla loro affermazione come potenza mondiale. La prima guerra mondiale, come sottolinea anche Qiao Liang, trasformò gli USA ‘nel soggetto maggiormente attivo nel settore dei prestiti’ [pag. 19], fu questa la vera vittoria di Washington non quella sul campo di battaglia. Già nel 1902 ricorda l’Autore si denunciava ‘l’invasione americana’ dell’Europa, successivamente la scelta di ripristinare la base aurea fu il suicidio politico del Regno Unito, come scrisse il Daily Mail ‘ripristinando la base aurea, il gabinetto Baldwin sta offrendo alla Federal Reserve la possibilità di provocare una crisi monetaria in Gran Bretagna in qualsiasi momento lo desideri. Il governo costringe tutta la politica finanziaria del Regno Unito a una condizione di dipendenza rispetto a un Paese straniero’ [pag. 40]. Oramai, dopo la Grande Guerra, il passaggio egemonico fra le due sponde dell’Atlantico era avviato.

La crisi del 1929 e le politiche rooseveltiane sono un capitolo della storia statunitense trattato molto approfonditamente da Gabellini, che analizza le cause del crollo (finanziarizzazione e diseguaglianza su tutte) a cui il new deal Roosevelt rispose accentuando il ruolo del pubblico, con la nascita di quel ‘big goverment’ il cui smantellamento sarà al centro delle politiche reganiane. Scrive l’Autore: ‘sotto l’amministrazione Roosevelt, in altre parole, si venne a creare una struttura di comando fondata sul ridimensionamento della capacità d’influenza esercitata dal mondo degli affari (i cui interessi furono comunque ampiamente tutelati), nell’ambito di una radicale ridefinizione degli equilibri di potere culminata con l’affermazione della classe politica come arbitro supremo della vita economica del Paese’ [pag. 65], questo si accompagnò ad una forte redistribuzione ‘l’applicazione rigorosa del principio di progressività in materia tributaria innescò un processo di redistribuzione del reddito che ridusse la quota di ricchezza detenuta dal 5% più abbiente della popolazione dal 26 al 20%, associata a un aumento del reddito percepito dal 40% più povero dal 13 al 16%’ [pag. 73].

La morte di Roosevelt segna la fine di queste politiche, in realtà i ‘falchi’ avevano già iniziato a consolidare le proprie posizione, tanto è vero che nelle presidenziali del 1944 il vice Presidente Wallace venne sacrificato per fare spazio a Truman. Per la cronaca ricordo che Wallace nel 1948 si presenterà alle elezioni sostenuto anche dal Partito comunista, il suo programma chiedeva una collaborazione con l’URSS, l’uguaglianza razziale, la programmazione economica e la proprietà pubblica dei settori strategici dell’economia. Truman era invece quello che dopo l’invasione nazista dell’Unione Sovietica aveva dichiarato ‘ se vediamo che vincono i tedeschi, dobbiamo aiutare i russi; se vincono i russi, dobbiamo aiutare i tedeschi e lasciare che ne uccidano il maggior numero possibile’ [pag. 74]. Il cambio politico successivo alla morte di Roosevel è sia interno che esterno, cambia il rapporto con l’Unione Sovietica ma cambia anche la politica economica.

In questo quadro il Regno Unito divenne il socio di minoranza degli Stati Uniti, i quali posero alla base del commercio mondiale il dollaro. Assieme al nuovo ruolo della moneta nazionale Truman si convinse che ‘una sorta di “riarmo permanente” [fosse] la chiave di volta in grado di conciliare le necessità economiche alle aspirazioni egemoniche degli Stati Uniti’ [pag. 97]. L’investimento massiccio sulla difesa assicurava agli USA anche il benessere interno. Un ruolo forte del dollaro ed un forte esercito, il senso di questa politica la spiegò Kennan nel 1948 ‘disponiamo del 50% della ricchezza mondiale pur rappresentando solo il 6,3% della popolazione mondiale […]. È perciò inevitabile che ci attiriamo invidia e sfavore. In tale contesto, il nostro compito principale per il futuro è quello di tracciare uno schema di relazioni che ci permetta di conservare la nostra situazione di vantaggio senza arrecare danni alla nostra sicurezza nazionale. A questo scopo, dobbiamo mettere da parte qualsiasi sentimentalismo e illusione per concentrarci sui nostri obiettivi nazionali immediati’ [pag. 109].

In questa strutturazione economico-militare sono racchiuse le cause della crisi successiva dall’Impero statunitense. Il duo Nixon -Kissinger riuscì abilmente ad uscire dalla guerra in Vietnam ed a dividere il campo comunista ed inoltre sganciò il dollaro dall’oro, facendo del dollaro (o meglio dei petrodollari) la moneta mondiale. Furono indubbiamente mosse capaci di sostenere il sistema americano ma i reali problemi non furono risolti, in particolare ‘l’accresciuta centralità assunta dal settore militare sottraeva tecnici e scienziati ad un’industria civile sempre più in difficoltà a reggere l’agguerrita concorrenza straniera’ [pag. 128]. La crescita del Giappone e dell’Europa, con la forte figura di De Gaulle in Francia, creò non pochi problemi all’egemonia statunitense.

La soluzione di cui si fece interprete Reagan (ma che a le sue radici negli ultimi scorci dell’Amministrazione Carter) fu quella monetarista. Il nuovo corso statunitense fece proprio l’insegnamento dell’economista ottocentesco Jean-Baptiste Say, che rovesciava l’assunto keynesiano mettendo al centro la stabilità dei prezzi perché è l’offerta che crea la domanda, la stabilità dei prezzi va perseguita ‘attraverso l’esercizio di una pressione costante sui salari e il mantenimento di elevati livelli di disoccupazione necessari a creare serbatoi di manodopera di riserva utili a garantire la disciplina sociale e a moderare le richieste dei lavoratori’ [pag. 161].

Funzionale a questa scelta fu la ricerca di capitali che fece degli Stati Uniti ‘il più importante Paese debitore del mondo’ [pag. 170], la globalizzazione senza barriere fu l’antidoto all’inflazione del dollaro [pag. 180]. La conseguenza di questa politica economica fu un forte aumento della povertà che fra il 1979 ed il 1988 aumento del 30%, da 24 a 32 milioni [pag. 183]. Come spiega l’Autore: ‘l’offensiva contro le basi interne della produzione e il tenore di vita dei cittadini statunitensi sferrata dall’amministrazione Reagan rappresentava tuttavia una delle poche strade percorribili per conseguire simultaneamente il triplice obiettivo di preservare il ruolo di moneta di riferimento internazionale di cui era titolare il dollaro, abolire definitivamente le concessioni alle classi subalterne risalenti all’epoca del New Deal e abbattere il prezzo degli approvvigionamenti primari di cui erano ricchi gli indisciplinati Paesi del Terzo Mondo in funzione degli interessi delle nazioni industrializzate’ [pag. 184]. Complementari a queste scelte furono gli attacchi speculativi contro Giappone e Europa, nel caso del Giappone Gabellini approfondisce i famosi accordi del Plaza chiarendo come la causa della quasi trentennale stagnazione nipponica non si trovino solo lì, per analizzare bene questo delicato passaggio va capito il ruolo della speculazione che segue una precisa linea politica ed in questo il libro di Gabellini si avvicina molto alle analisi contenute ne ‘L’arco dell’impero‘ del generale Qiao Liang. Sono cogliendo questo elemento si può capire il perché della bufera che si abbatté sulla lira agli inizi degli anni ’90 ed anche la disgregazione della Jugoslavia, oltre a spiegare il passato il nesso finanza guerra spiega anche il presente, come scrivono gli estensori del Defense Planning Guidance del 1992 ‘gli esorbitanti livelli di indebitamento e la posizione pesantemente deficitaria in termini di commercio con l’estero richiedevano il mantenimento di spese militari elevate, poiché nel contesto post-bipolare instauratosi al termine della Guerra Fredda la sicurezza degli Stati Uniti sarebbe venuta a dipendere dalla soverchiante superiorità militare rispetto a qualsiasi competitore o coalizione di competitori’ [pag. 211].

Le conseguenze sociali per gli USA sono state quelle di una forte disoccupazione frutto dello smantellamento del settore manifatturiero, con gli inoccupati che sono passati da 56 milioni di inizio Millennio agli oltre 90 del 2017 [pag. 242]. L’aumento della diseguaglianza ha portato con se la necessità di capire come evitare il crollo dei consumi e la soluzione è stata la finanza, attraverso quelli che Warren Buffet definì armi finanziarie di distruzione di massa, i derivati. La crisi del 2007-08 ha messo in luce la fragilità del sistema, fragilità che ha oramai infettato anche altre parti del mondo, così come nel 2008 molti lavoratori scoprirono che i loro fondi pensione erano investiti in titoli che non valevano la carta su cui erano stampati, un domani tutti noi potremmo scoprire che i nostri risparmi sono divenuti cenere. I presidenti che si sono alternati dopo la crisi, Obama, Trump e Biden, non sono riusciti a risolvere il problema. Obama intervenne con la legge Dodd Frank che per molti aspetti peggiorò il problema.

Successivamente fu la volta di Trump, il quale, paradossalmente, ebbe i voti di parte della classe operaia statunitense contro la democratica Clinton percepita come funzionale al sistema finanziario. Se ritorniamo all’assalto a Capitol Hill vediamo la rivolta delle masse escluse dal potere contro i super ricchi, sintomo che i diseredati d’America hanno capito chi è il loro nemico, purtroppo non hanno capito chi è il loro alleato e seguono un altro super-ricco che gli ha convinti che i loro problemi siano colpa della Cina. In ogni caso anche l’ex Presidente Trump non ha ottenuto cambiamenti strutturali.

In conclusione oggi gli Stati Uniti si trovano a dover fronteggiare non sono una potenza industriale come la Cina ma anche quella che sempre più sta assumendo i tratti di un’alleanza fra Pechino e Mosca. Questo sfida arriva nel periodo peggiore per gli Stati Uniti, la manifattura è residuale nell’economia a stelle e strisce ed è venuta meno anche la mobilità sociale, si parla di meritocrazia ma in realtà questo termine nasconde la difesa delle rendite di posizione, ‘gli istituti della Ivy League e le università di fascia alta nel loro complesso hanno ricostituito il vecchio sistema di barriere e corsie preferenziali che, fino al termine degli anni ’20 del XX Secolo, riservò l’accesso all’istruzione di livello ai rampolli delle più facoltose famiglie del Paese’ [pag. 308]. Secondo Gabellini l’unica speranza per gli USA risiede nella ‘quarta rivoluzione industriale’ attraverso il Green New Deal [pag. 301], questa strada lega la produzione all’utilizzo delle nuove tecnologie, il che porterà con sé nuova disoccupazione a meno che non si voglia cambiare il proprio paradigma economico convincendosi dell’importanza del ruolo del pubblico.

Personalmente sono convinto che il capitalismo statunitense non sia nelle condizioni di auto-riformarsi, questo non vuole dire che negli USA si ponga l’alternativa socialismo o barbarie ma che questo sistema si sta riproducendo come un tumore maligno e lo fa autoalimentandosi, di fronte a tutto ciò la politica non è in grado di intervenire. L’alternativa di un maggiore controllo ed intervento pubblico sarà possibile sono dopo il crollo di questo sistema, una crisi ben maggiore di quella del 2007 ci aspetta e quando essa arriverà non sarà possibile correggere le storture ma si dovrà ricostruire tutto da capo.

Il Libro di Gabellini è uno strumento importante sia per capire gli Stati Uniti contemporanei sia per capire il mondo ed è il motivo per cui, nonostante sia stato scritto nel 2021, rimane una lettura consigliata.

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