Print Friendly, PDF & Email

dinamopress

Che fare? Pagine geniali di Althusser in un documento fallito

di Augusto Illuminati

È uscito per Mimesis l’edizione italiana di “Che fare?”, un inedito del 1978 di Louis Althusser. Un testo contraddittorio, in cui si uniscono una lodevole battaglia contro l’eurocomunismo, argomentazioni anti-gramsciane fallaci e aperture illuminanti su Machiavelli e l’ideologia

Viene ora tradotta in italiano, a cura di Fabrizio Carlino e Andrea Cavazzini (Mimesis/Althusseriana, Milano-Udine 2022) la restituzione francese, curata da G.M. Goshgarian nel 2017, di un manoscritto redatto da Louis Althusser nel 1978, mai completato e lasciato inedito. Il testo fa parte di una serie di interventi in polemica con la direzione del Pcf e che culminano con la rottura definitiva prefigurata dal suo intervento al convegno veneziano del “Manifesto” del 1977 e sancita con l’intervista alla Rai del 1980. Non solo ha il taglio di un documento interno, volto per l’essenziale contro la svolta “eurocomunista” del Pcf, ma se ne trascina dietro tutte le contraddizioni, con la doppia configurazione di un richiamo all’ortodossia leninista (fin dal titolo) e di una latente liquidazione del ruolo dirigente del partito in nome della “linea di massa” e con l’inverosimile strumentalizzazione del pensiero di Gramsci in funzione anti-eurocomunista e anti-compromesso storico.

Malgrado queste distorsioni e aporie (che probabilmente suggerirono all’autore l’interruzione della stesura) il testo offre vari motivi di interesse oltre a documentare la biografia politica di Althusser e la sua finale battaglia contro Marchais.

Un primo blocco di argomentazioni è condotto in difesa della “teoria” contro la pseudo-inchiesta sociologica che pretende di rilevare bisogni e desideri degli operai separati dal contesto della lotta di classe, quindi delle strategie della classe degli sfruttatori. Ovvero l’illusione di fare un’analisi “concreta” interpellando la coscienza degli sfruttati senza una previa ricognizione dell’antagonismo, del primato della contraddizione sui contrari. Anche questa è un’inchiesta “senza scendere da cavallo”.

In una splendida e attualissima esemplificazione Althusser adduce il caso delle politiche edilizie gestite direttamente dal capitale. Se all’inizio «il padrone costruiva alloggi per gli operai intorno alla sua fabbrica» o miniera, per averli sottomano e raddoppiare lo sfruttamento con gli affitti e i negozi, ben presto constata che «questa doppia concentrazione moltiplicava gli scambi tra i lavoratori e dava loro una forza formidabile nella lotta». Alla crescente mobilità del capitale corrispose quella territoriale della forza lavoro favorita dai nuovi mezzi di trasporto, in primo luogo le ferrovie poi la produzione di massa di auto a buon mercato inventata, non a caso, da Ford. Si riesce così a «disperdere il più possibile i lavoratori», lontani dalla fabbrica e ai margini della città hausmanizzata, affidandoli alla logica della rendita fondiaria. Non bastava tuttavia, confinarli nelle banlieues, dove si riproduceva la concentrazione e la “cospirazione”. Si cominciò allora «a modificare le loro menti, vale a dire, grossolanamente, a invitarli a disertare la lotta di classe facendo in modo che si interessassero alla proprietà, permettendo a ognuno di loro di acquistare una casetta con giardino». La nuova politica delle case popolari fu progettata per la «de-politicizzazione della classe operaia. L’operaio proprietario, con tutto il tempo occupato dal bricolage in casa e il giardino, lontano dai bar, per giunta incastrato in mutui a lungo termine e nella sua famigliola – quale migliore garanzia si potrebbe immaginare per il capitalismo!» (pp. 29-32).

Solo il rapporto fra le classi rende conto del cambiamento delle politiche edilizie e, nell’ultimo caso, illustra come gli operai resi proprietari di casse a mutuo subiscano, in tutta la loro materialità, gli effetti dell’ideologia padronale, come i loro corpi divengano i luoghi dove si affrontano ideologie contrapposte e dove il legittimo desiderio di essere un buon padre di famiglia con un tetto sopra la testa venga inserito in una pratica di mutualizzazione del debito e favore della rendita fondiaria.

Perfino il prendere coscienza della propria condizione di operaio sfruttato può essere alterato dall’ideologia borghese (in forma di economicismo) e nutrirsi di un “falso sapere”. Al punto che spesso gli operai non organizzati, in principio meno coscienti, possono saperne di più di quanti parlano in loro nome. Di qui il paradosso per cui esiste «il primato delle masse sulle classi, il primato delle masse e delle classi sulle organizzazioni di lotte di classe. sul sindacato e sul partito».

Nel nuovo Che fare? Lenin è capovolto grazie a Mao. Il Partito ha fallito e il suo potere è revocato. La teoria consente alle masse di creare un nuovo sapere, una nuova definizione dell’antagonismo. Le difficoltà oggettive di dare un programma concreto a questa rottura ideale e la riluttanza psicologica del Filosofo, palese già nel 1968, ad accettare il movimentismo contribuiscono all’aborto del pamphlet.

Veniamo infine all’ultima parte, la ripresa impetuosa dell’analisi di Machiavelli condotta nei corsi del 1971-76 (in italiano Machiavelli e noi, manifestolibri, Roma 1999) e in cui balzano agli occhi due aspetti: il rovesciamento di giudizio su Gramsci in rapporto a Machiavelli, una serie importante di aggiunte specifiche sul Fiorentino che evidenziano il carattere di processo senza soggetto del Principe. Il ruolo dell’ideologia, la funzione-volpe.

Il primo aspetto è chiaramente fasullo e dipende in modo imbarazzante dall’identificazione di Gramsci con il Pci eurocomunista degli anni ’70 (e con il suo sgraziato imitatore, il Pcf) – qualcosa di ancora più assurdo dell’incorporazione del Sardo al togliattismo del dopoguerra, che qualche plausibile giustificazione aveva. Vale tuttavia la pena rilevare che, anche in questa mistificazione strumentale, persiste un’ipotesi non disprezzabile di spiegazione dello storicismo dominante nella III Internazionale e il fuggevole ma non incongruo rilievo che il vero maestro di Gramsci fu Machiavelli più che Marx ­ (p. 85) – rilievo accettabile, per i soli anni del carcere, nel senso che sottolinea la quasi identificazione psicologica fra il prigioniero di Mussolini e il confinato a San Casciano, la comune condizione di militante post res perditas. Senza nulla togliere alla riflessione gramsciana sui testi politici di Marx e sull’esperienza leninista e senza attribuirgli una sottovalutazione dei rapporti di produzione, smentita sia dalla sua pratica ordinovista che dalle riflessioni su americanismo e fordismo.

Per il secondo aspetto, assai stimolante è l’opposizione di Machiavelli all’umanesimo, il suo scostarsi netto dal culto (rinascimentale ma ancor più burckhardtiano) dell’individuo geniale, laddove il Principe è ridotto a una funzione oggettiva dell’instaurazione di un possibile ordine politico, a un sistema di istanze senza soggetto centrale.

Se un potere assoluto nuovo e personale era necessario per la distruzione del sistema feudale, «questo individuo-Principe è tanto poco un “uomo” che ¡occorre] smettere di esserlo per diventare questa natura inaudita: uomo-leone-volpe, questa trilogia o questa topica senza centro, priva di un “io” unificante, che non è mai “uomo”, cioè soggetto morale, se non a condizione di sembrarlo (e che lo sia, inoltre, è tanto meglio ma anche un grande pericolo, poiché la grande difficoltà risiede in ciò, che lo stesso “uomo” deve assolutamente poter essere non più “uomo” quando la situazione lo esige, deve “saper non essere buono” quando bisogna essere duro e fare strame di tutte le virtù morali)» (p. 78).

L’ideologia interviene quando occorre “presentare” il Principe in una strategia popolare, ovvero che le masse possano riconoscersi nel Principe con tutti gli effetti di consenso e convinzione. L’ideologia è essenzialmente affare della “volpe”, che governa l’opinione mediate la simulazione e a volte si presenta come l’insieme degli apparati ideologici di stato. Simulazione e non semplice astuzia volpina, capacità di porsi in vari luoghi e di definire prospettive complementari (di volta in volta nella pianura, dal basso, e sulle vette, dall’alto).

Il massimo della simulazione è non simulare affatto, definire una pratica politica (o essere in grado di sviluppare una teoria politica) autonoma dalle ideologie, lasciandosele scorrere per così dire addosso. «Machiavelli non simula mai. La presentazione ideologica della realtà conosciuta si presenta in lui sotto la forma paradossale della semplice presentazione della realtà conosciuta. […] In questo mondo in cui tutto è regolato dal potere statale e dell’ideologia di Stato, […] in questo mondo dove tutti “simulano”, non già per malevolenza o per vizio, ma perché tale è la legge che impone a ciascuno il potere dello Stato e l’ideologia di Stato, Machiavelli sceglie, coscientemente, di occupare un luogo completamente inatteso. “Sceglie” di non simulare. Sceglie di rifiutare la legge che domina tutti gli altri, compreso, e in primis, il Principe. Il che significa: non accetta di collocarsi sul terreno, non solo dell’avversario, ma quello già della società esistente. […] “Cambia terreno” e si colloca deliberatamente altrove, su un altro terreno» (p. 83), diventando popolo nella pianura e conquistando così anche il terreno della conoscenza vera (della «realtà effettuale»).

La topica uomo-leone-volpe libera il Segretario (non il Principe) dall’ideologia e fonda la scienza politica moderna. Tuttavia il Principe (detto in polemica alquanto astiosa con Gramsci) non è il Partito, perché la rivoluzione antifeudale non è quella socialista, il problema non sono le differenze di proprietà (dunque la lotta di classe sulla base del “desiderio” di avere proprietà o di non essere oppresso), ma lo sfruttamento e i rapporti di produzione. Possiamo aggiungere – sulla base di altre considerazioni del testo e della posteriore evoluzione “aleatoria” dell’autore – che anche il ruolo di direzione egemonica del Partito deve cedere alla linea di massa, alla strategia e al sapere dei senza-nome e dei fuori-di-conto? Che l’Althusser già quasi movimentista si fa anonimo ciompo rispetto al presunto sapere della burocrazia eurocomunista e dem?

Add comment

Submit