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lantidiplomatico

L’Unione Europea somiglia molto a Giorgia Meloni

di Manolo Monoreo*

“Storicamente, la democrazia non esiste come cosa in sé, come astrazione formale. Al contrario, la democrazia è un movimento politico concreto, guidato da forze e classi sociali che lottano per obiettivi particolari”

(Arthur Rosenberg)

Da mesi c'è un allarme generale: il fascismo è alle porte dell'Italia. Decine di articoli, conduttori di programmi di vario orientamento difendono l'essenza di una democrazia liberale, ancora una volta in pericolo. Ci sono state proposte e controproposte, sono stati creati cordoni di protezione e alcuni si sono spinti a sostenere la necessità di staccare l'Italia dall'UE. Prevedibilmente, la destra unita – una variante di quello che Luciano Canfora chiama il partito unico articolato internamente – ha vinto le elezioni, sconfiggendo un Partito Democratico che, non so perché, lo chiamano socialdemocratico, e facendo emergere il movimento 5 Stelle, fino ad allora in crisi, come terza forza politica del Paese.

Sono passati alcuni giorni e la calma è arrivata. La Meloni non è più così fascista, o almeno è sotto controllo. Ha contattato rapidamente l'onnipotente Draghi e ha fatto in modo che la Commissione e il presidente Mattarella si accordassero su ciò che è veramente importante, ossia l'allineamento incrollabile alla politica estera degli Stati Uniti, il chiaro sostegno alla NATO, l'impegno nei confronti dell'Ucraina e, cosa fondamentale, l'accettazione della politica economica dell'UE. Rimane la formazione del governo, la distribuzione dei portafogli e il ruolo che Berlusconi avrà in questa complessa vicenda. L'Italia, è bene ricordarlo, sta vivendo una mobilitazione sociale permanente e diffusa che si è tradotta, elettoralmente, a favore di Giuseppe Conte e del suo rifondato Movimento 5 Stelle. L'ex capo del governo ha difeso, in controtendenza, la pace, le proposte sociali avanzate e la centralità del lavoro. Lo ha fatto con moderazione, attirando il voto utile della sinistra sociale e assumendo il ruolo di vera opposizione alla destra unificata. Ora si parla di organizzare una grande marcia per la pace, di alzare il livello di mobilitazione dei cittadini e di prepararsi a un duro periodo di conflitto politico.

La mia ipotesi è che il tipo di costruzione europea scelto, le trasformazioni che la guerra sta producendo in ogni singolo Paese dell'UE, il predominio politico della NATO trasformeranno ciò che oggi è un'eccezione in una regola. In altre parole, l'estrema destra, in alleanza con la destra tradizionale, sta diventando il beneficiario, l'attore rilevante di quella che potremmo definire la fase post-Unione Europea; in altri termini, un'Europa che volge il suo baricentro verso Est, più autoritaria e neoliberale, americanizzata, che diventa la frontiera de facto di un protettorato politico-militare in guerra permanente con la Russia.

Quali sono questi cambiamenti? Ne citerò solo alcuni:

  1. a) L'accanito allineamento dell'UE alla politica estera degli Stati Uniti.

È molto più della guerra contro la Russia. Le istituzioni europee stanno chiaramente appoggiando l'ordine imperiale statunitense di fronte – e contro – il mondo multipolare che sta rapidamente emergendo con tutto il suo peso demografico, economico, politico-militare e culturale. L'obiettivo è la Cina, il suo contenimento, accerchiamento e vessazione con lo scopo, espresso decine di volte, di bloccare e neutralizzare la sua progressiva trasformazione in una grande potenza in grado di contestare l'egemonia del blocco anglosassone dominante.

  1. b) La trasformazione della NATO in una superpotenza europea.

Che lo si riconosca o meno, l'UE vive in uno stato di emergenza: vengono imposti poteri de facto e viene abolita la legalità giuridico-istituzionale. Le decisioni politiche, su tutte le questioni più importanti, sono prese dalla NATO, cioè dagli Stati Uniti. Le sanzioni, la loro attuazione e il loro sviluppo; le politiche di difesa e di sicurezza nel loro senso più ampio e strategico; le misure finanziarie e commerciali, la pianificazione tecnologica e, soprattutto, il cambiamento della matrice energetica, sono decisi dall'Alleanza Atlantica e attuati dalla Commissione europea.

  1. c) Il dominio economico e politico degli Stati Uniti sull'Unione Europea diventa fondamentale.

In questi giorni si parla molto della rottura della dipendenza energetica dell'UE dalla Russia. Ciò che non si dice è che questo determina una maggiore dipendenza dagli Stati Uniti, non solo in termini di energia, ma anche di commercio, tecnologia e finanza. Inoltre, potrebbe essere in atto un processo di deindustrializzazione dell'UE nel suo complesso, e in particolare del suo nucleo centrale con in testa la Germania. L'amministrazione Biden esige ora un “costo di protezione”, politiche di vassallaggio e di sottomissione che costringano l'Unione – e soprattutto la Germania – a subordinarsi agli interessi economici, tecnologici e commerciali di una potenza in declino che ha un disperato bisogno di rafforzarsi.

  1. d) L'asse franco-tedesco non domina più l'Europa.

Diversi autori hanno esplicitamente affermato che la guerra in Ucraina è, per molti versi, una guerra contro la Germania, contro la sua egemonia nell'UE, contro il suo ruolo internazionale e le sue relazioni con la Russia e, soprattutto, con la Cina. Il centro di gravità si sta rapidamente spostando verso Est e si parla di un nuovo asse composto da Francia, Germania e Polonia. Come spesso accade, le crisi rivelano la realtà delle cose: l'Europa è un protettorato politico-militare degli USA e la Germania non è uno Stato sovrano. Solo questo spiega perché le classi dirigenti di quel Paese stanno accettando una serie di politiche che lo stanno rovinando economicamente, deindustrializzandolo e costringendolo a cambiare sostanzialmente il proprio modello produttivo.

Il sabotaggio del Nord Stream 2 è volto ad avere un effetto permanente: staccare la Germania dalla Russia una volta per tutte; rendere irreversibile la dipendenza dell'UE dagli Stati Uniti. Il fatto che la Polonia chieda ora nuove riparazioni economiche per la Seconda Guerra mondiale dimostra chi sta guadagnando in questa guerra e come i vecchi problemi geopolitici vengano riproposti, ancora e ancora. Qui possiamo parlare della rivincita della geografia.

Potremmo continuare. Quali sono le conseguenze di tutto ciò per il funzionamento delle istituzioni europee e per le deboli e ridotte democrazie che le compongono? In questo caso mi rifaccio al filo conduttore che Juan Torres ha sviluppato in diversi articoli; si è affermato che l'integrazione europea è un processo di progressiva cessione di sovranità, il cui fine sarebbe la costituzione degli Stati Uniti d'Europa. Questo è ciò che potremmo definire l'immaginario federalista, la cui funzione non è altro che quella di legittimare il tipo di potere essenzialmente antidemocratico che l'UE è oggi. Ciò che si cerca di fare (è stato teorizzato molti anni fa da Hayek) è limitare, ridurre la sovranità popolare di ogni singolo Stato in tutte le questioni di politica economica, istituzionalizzando un insieme di regole imposte dal modello neoliberale e rafforzando il potere delle grandi corporazioni finanziarie e commerciali. Gli Stati nazionali continuano a esistere, ma senza sovranità economica. Non c'è spazio per politiche diverse da quelle decise dall'UE e consentite dalla Banca Centrale Europea.

I cittadini stanno accettando il fatto che, chiunque governi, finirà per perseguire le stesse politiche o politiche simili. Il potere delle democrazie di cambiare la realtà socio-economica, di migliorare le condizioni di vita delle classi lavoratrici e salariate si sta riducendo; esse sono sottoposte a un doppio potere dispotico, quello delle istituzioni di controllo e sorveglianza dell'Unione Europea e di quello che è definito “il mercato”, cioè il potere organizzato di una plutocrazia che domina la vita economica e riesce sempre a imporre i propri interessi a popolazioni sempre più indifese e confuse.

Va detto con franchezza: queste democrazie non sono vere democrazie, non corrispondono più a testi costituzionali che avevano pretese di normatività, di supremazia e di un percorso di democratizzazione ordinata e pacifica della società e delle istituzioni. Lo Stato sociale, la Costituzione su ciò che riguarda la tutela del lavoro e i diritti dei lavoratori, i poteri delle classi salariate sono stati smantellati passo dopo passo, sistematicamente, dall'azione concertata di una Commissione europea onnipotente e di una Corte di giustizia europea specializzata nel difficile compito di smantellare gli Stati nazionali e promuovere un'integrazione europea su misura per le esigenze delle grandi società finanziarie e industriali.

Quanto capitalismo può sopportare la società, è il titolo di un noto libro di Colin Crouch che chiarisce quale sia il nostro problema: la contraddizione sempre più acuta tra la logica del capitalismo predatorio e il funzionamento di una democrazia costituzionale impegnata per le classi lavoratrici, per i cittadini. Lo Stato sociale ha raccolto la contraddizione e l'ha resa costruttiva: il principio democratico consisteva nell'organizzare la nostra società creando le condizioni materiali affinché la libertà e l'uguaglianza fossero reali ed effettive. La sovranità popolare non era un'aggiunta formale o un requisito simbolico, ma un programma per domare i “poteri selvaggi” del capitalismo e garantire la giustizia sociale.

C'è qualcosa di paradossale nella difesa della democrazia liberale come unica vera democrazia. Le nostre attuali democrazie non sono forse nate come alternativa storica alle democrazie liberali, socialmente ingiuste e politicamente controllate dalle grandi potenze economiche? Il fascismo non è forse nato dalla crisi di queste democrazie liberali e dalla loro incapacità di riconoscere il conflitto sociale e l'autonomia delle classi lavoratrici? Le nostre socialdemocrazie erano più che liberali, erano l’alternativa ad esse. Riconoscersi solo come democrazie liberali significa accettare la sconfitta, collaborare all'involuzione culturale e politica di società sempre più diseguali, senza futuro e senza speranza.

Georgia Meloni non credo sia una fascista in senso stretto; questo non la rende migliore. È liberal-conservatrice, nazional-cattolica, sovranista senza sovranità popolare, allineata alla NATO e sostenitrice, come Ursula von der Leyen e Josep Borrell, del mondo unipolare organizzato e guidato dagli Stati Uniti; è, soprattutto, un'alleata strategica della grande industria italiana, dei poteri economici forti e delle grandi oligarchie locali. L'Europa che sta per nascere le assomiglia molto.


* dirigente storico del movimento comunista spagnolo; collaboratore di "Cumpanis". Traduzione dallo spagnolo a cura di di Liliana Calabrese

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