Print Friendly, PDF & Email

cumpanis

La vittoria di Lula e la sinistra latinoamericana

di Manolo Monereo*

Tre parole potrebbero riassumere la mia valutazione sulle elezioni in Brasile: sollievo, preoccupazione e sfida. Lula ha vinto con uno scarto di pochi voti in uno scenario di estrema polarizzazione e con un paese in crisi organica. Il primo turno delle elezioni – in cui sono stati eletti anche la Camera dei Deputati e 27 senatori su un totale di 81 – ha reso manifesto un qualcosa che intuiamo ma non così decisamente: Bolsonaro e il bolsonarismo sono diventati la prima forza politica del Brasile. Le sfide sono enormi: governare con un Senato e una Camera dei Deputati avversi, con la maggior parte dei governatori degli Stati del paese-continente controllati dalla destra, con una parte dell’apparato statale in posizioni autoritarie e con un fronte alleato contraddittorio e con un programma troppo generico. In altre parole, Lula è la chiave. Dipenderà quasi tutto da lui, dalla sua capacità di mediazione, dalla sua leadership morale e dai suoi rapporti specifici con le classi popolari.

Il 2 ottobre, primo turno delle elezioni, i problemi sono diventati molto evidenti e sono stati, per tanti, una grande sorpresa. Lula ha vinto con il 48,4%; in totale, 57 milioni di voti. Bolsonaro, vicinissimo, dietro di 5 punti: 43,2% di voti, cioè 51 milioni. Nel secondo turno, il 30, la polarizzazione era estrema. Lula ha ottenuto il 50,9%, 60,34 milioni di voti; Bolsonaro 49,1%, 58, 20 milioni di voti. In campagna elettorale Lula ha ottenuto poco più di 3 milioni di voti e Bolsonaro ha superato i 6 milioni. Come si può vedere, la situazione è difficile. Si dice che siamo entrati in un terzo turno, ovvero quello del tentativo da parte delle forze che sostengono Bolsonaro di creare le condizioni per un colpo di stato militare o favorire iniziative che violerebbero la legalità costituzionale. Che Bolsonaro non accetti la sconfitta significa che si sta preparando per una dura opposizione, basata su una strategia della tensione permanente. In ogni caso, si tratta, qui e subito, di mettere alle strette il governo di Lula prima che nasca.

Come ho detto, il rapporto di forze è sfavorevole a Lula sia al Senato che alla Camera. Dei 27 senatori eletti, 14 sono del presidente uscente. La coalizione di forze che sostiene Lula ne ha ottenuti solo 8. Alla Camera dei Deputati la frammentazione è altissima; Bolsonaro ottiene 96 deputati, Lula 80. È sempre difficile conoscere con precisione le maggioranze effettive che esistono in un Parlamento dove sono rappresentate 22 formazioni politiche; una cosa si può dire con certezza, ed è che c’è una netta maggioranza conservatrice. Questa polarizzazione si verifica anche a livello territoriale: Lula e i suoi alleati vincono in 11 Stati; Bolsonaro in 14, comprendenti i due Stati più popolosi e le rispettive capitali: San Paolo e Rio de Janeiro, a cui va aggiunto il Distretto Federale.

Si parla molto di polarizzazione, ma dovremmo cercare di spiegarla bene. Ci sono polarizzazioni e polarizzazioni. Nel primo mandato di Lula questa era, in larga misura, a sinistra. Ora la polarizzazione è chiaramente a destra. In altre parole: sono le forze autoritarie e liberal-conservatrici di destra che modellano la mappa politica, influenzano l’agenda e rafforzano la loro capacità di mobilitazione politico-elettorale. Le polarizzazioni politiche sono quasi sempre asimmetriche. Lula, per vincere, ha dovuto costruire una coalizione elettorale molto ampia ed eterogenea, con significative concessioni al potere economico e mediatico, calcolate ambiguità e ammiccamenti a un elettorato che ha memoria e fiducia. A un certo punto si è creduto – i sondaggi hanno favorito quelle aspettative – che la battaglia potesse essere vinta al primo turno. Non è stato così. Ora bisogna governare di fronte a un’opposizione sociale e politica culturalmente forte, con grande capacità, ripeto, di mobilitazione e con forti leve di potere nelle forze di sicurezza, e soprattutto, nelle forze armate.

Il presidente eletto dovrà muoversi su un terreno minato. Da un lato, dove cercare di minare il sostegno e la base sociale di un blocco di estrema destra che sta emergendo con grande forza; dall’altro, deve dare coerenza a una coalizione che va dalla sinistra comunista a una parte significativa della destra economica, imprenditoriale e finanziaria. Dopo un periodo di controriforme sociali che hanno duramente colpito le classi lavoratrici, i sindacati e i pensionati, Lula appare come l’uomo capace di capovolgere la situazione e costruire un Paese più giusto ed egualitario. Gli alleati occasionali del presidente stanno già chiedendo che vada al nocciolo, che si occupi del sacro equilibrio delle finanze pubbliche e che di rispettare le regole del tetto di spesa approvate dal governo golpista di Temer.

È un problema che comincia ad emergere con sempre maggiore forza in America latina: conciliare ampi fronti contro una destra divenuta estrema con le necessarie trasformazioni strutturali richieste dalle classi popolari e, in particolare, dai settori sociali più vulnerabili e impoveriti. Si calcola, ad esempio, che in Brasile più di 33 milioni di persone soffrono la fame e che più di 100 milioni vivono una condizione di permanente precarietà alimentare. Le disuguaglianze sociali stanno diventando sempre più estreme e la concentrazione del reddito, della ricchezza e del potere assume dimensioni drammatiche. Tutto questo in un contesto segnato da una situazione economica sempre più difficile, da conflitti geopolitici rilevanti e dalla crescente militarizzazione delle relazioni internazionale che tendono alla formazione di blocchi socio-economici contrapposti.

C’è un paradosso molto sorprendente. Mi riferisco all’anticomunismo come asse della strategia discorsiva delle classi dominanti nel processo di rafforzamento ideologico e di riorganizzazione politico-elettorale. Anticomunismo senza comunisti; in un momento in cui la sinistra trova grandi difficoltà a formare un’alleanza politica in grado di promuovere programmi alternativi al neoliberismo e dove lo sforzo tattico è posto al servizio di non disturbare l’onnipotente impero del Nord. Quasi ovunque la stessa cosa: le destre sempre più radicali e le sinistre con programmi e progetti moderati per organizzare fronti che ne impediscano il successo. Questa seconda ondata è diversa dalla precedente, più difensiva, meno propositiva e più preoccupata per la difesa dei diritti e delle libertà pubbliche che per la costruzione di un futuro diverso che superi il disordine esistente, almeno a breve termine.

Il “lulismo” potrebbe essere definito come un modo concreto e preciso di regolare il conflitto sociale con una strategia che ha al centro la lotta alla povertà, l’inclusione e i diritti umani degli strati sociali più colpiti dalle politiche neoliberiste senza, era la linea, confrontarsi con il capitale. Si trattava di questo e di qualcos’altro, tra l’altro, perché per chi detiene il potere, la conta dei risultati non è sempre la migliore e l’unica scala per misurare il proprio potere sociale. Tutti e due i mandati di Lula e quello interrotto a metà da un colpo di stato giudiziario-parlamentare di Dilma Rousseff, lo dicono chiaramente. Il potere è sempre relazionale e i governi del Partido de los Trabajadores (PT) sono andati oltre i limiti di un sistema che si preparava, inoltre, a una crisi economica internazionale di grandi dimensioni.

Che farà Lula? Il solito: partire dalla realtà e acquisire autonomia per realizzare politiche sociali avanzate e ricomporre il blocco popolare. Il margine di manovra è stretto, pertanto sarà necessario muoversi e cercare alleanze vincenti, problema per problema, questione per questione. Una delle chiavi del suo governo sarà la ricerca di un nuovo rapporto tra la politica esterna e interna per modificare un rapporto di forze (interne) troppo sfavorevole. Non è un gioco di parole. È il potere che deriva dalla guida un Paese di dimensioni economiche, demografiche e politico-culturali come il Brasile. Lula avrà un ruolo importante in un mondo che cambia rapidamente. L’influenza sarà presto visibile, interesserà tutte le dimensioni della politica internazionale e avrà rilevanti conseguenze interne, anche economiche.

La strategia appare chiara: maggiore integrazione regionale per costruire un mondo equo e multipolare, senza necessariamente confrontarsi con il potere del Nord. Cioè, la quadratura del cerchio. Come farà? Alla brasiliana, accendendo una candela a Dio (Cina) e un’altra al diavolo (Stati Uniti d’America). Per la sinistra è anche un programma, rafforzarsi con Lula e acquisire potere all’esterno e all’interno. Dobbiamo andare oltre la retorica. Ci vuole intelligenza, audacia e coraggio: non sarà facile. Quando mai lo è stato?


* Dirigente storico del movimento comunista spagnolo

Traduzione a cura di Liliana Calabrese

Add comment

Submit