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comidad

Ogni establishment è anche un destablishment

di comidad

I giochi delle parti si instaurano quando entrambi gli interlocutori hanno qualcosa da nascondere, per cui, pur nell’apparente asprezza polemica, ci si rilancia dialetticamente la palla omettendo qualche dettaglio decisivo. Ciò accade normalmente nella diatriba tra nostalgici fascisti e cosiddetti antifascisti. Al di là delle “cose buone” fatte da Mussolini, la condanna storica del fascismo è insita nelle sue stesse premesse e nelle sue stesse dichiarazioni fondative: un movimento che ha giustificato la propria violenza interna come necessaria per realizzare la potenza nazionale, ha condotto invece l’Italia alla perdita dell’indipendenza nazionale; e ciò addirittura prima che si realizzasse la sconfitta bellica, dato che le leggi razziali del 1938 furono il segnale dell’appiattimento servile del regime fascista nei confronti dell’alleato/padrone germanico. Quel “vincolo esterno” ante litteram fu dovuto al fatto che la guerra di Spagna aveva ridotto sul lastrico il regime fascista. La guerra italo-spagnola del 1936/1939 viene ancora spacciata dalla gran parte della storiografia ufficiale come una guerra civile, come un fatto interno in cui il regime fascista fece una capatina, al punto che si rimuove totalmente il ruolo determinante svolto dalla Marina Militare italiana nella guerra.

Mussolini lasciò in Spagna circa quaranta miliardi di lire dell’epoca solo di finanziamenti diretti alla causa franchista, oltre che le spese per lo sforzo bellico, e inoltre armamenti pesanti di ogni genere donati al regime franchista.

L’altra finzione della storiografia ufficiale è il chiamare “Liberazione” la colonizzazione militare dell’Italia da parte degli USA, con l’annessa fiaba secondo cui la “scelta atlantica” sarebbe stata una decisione presa democraticamente. Nel dopoguerra l’atlantismo divenne così l’ideologia trasversale tra la “democrazia” ed un fascismo mantenuto artificiosamente in vita in funzione antisovietica. La vicenda del fascismo ha dimostrato quanto sia fumosa ed inconsistente la categoria di nazionalismo, che infatti non c’è mai stato, per cui si è visto il regime mussoliniano passare direttamente dalle velleità imperialistiche in proprio, alla sottomissione coloniale nei confronti degli imperialismi altrui.

Sono proprio i roleplay di questo genere a consentire alla destra di fare tutte le parti in commedia e di spacciarsi spesso come l’anti-establishment, per cui carriere politiche protette, come quella di Giorgia Meloni, possono ammantarsi di un alone di contestazione. Ciò vale non soltanto per le destre di origine fascista, dato che anche nella vicenda dell’altra “donna forte”, Margaret Thatcher, sono state decisive le stesse narrative omissive e mistificatorie. La scissione tra laburisti e socialdemocratici spianò alla Thatcher la vittoria elettorale, mentre una completa copertura mediatica le consentì di spacciare come “diminuzione delle tasse”, quello che fu invece un massiccio spostamento della fiscalità dal prelievo diretto sulle imprese al prelievo indiretto sui consumatori attraverso IVA e accise sui beni di prima necessità. Il thatcherismo fu quindi un assistenzialismo per ricchi a spese dei contribuenti poveri; ma, del resto, questo è il liberismo reale, non quello delle fiabe.

La narrativa mediatica non si è limitata a questo; anzi, ci ha propinato persino l’immagine di una Thatcher “ecologista”, che avrebbe avviato la liberazione dal carbone. In realtà mentre la Thatcher chiudeva forzosamente le miniere di carbone nel proprio Paese, le multinazionali britanniche Anglo American e BHPBilliton avviavano una brutale colonizzazione mineraria della Colombia, che comportò una devastazione ambientale e sociale. La miniera di carbone a cielo aperto di Cerrejon fornì alla Thatcher il carbone necessario per supplire a quello delle miniere britanniche; ma allo scopo non mancarono neppure importazioni di carbone russo e polacco. L’ambientalismo non c’entrava nulla, si trattava solo di smantellare le concentrazioni operaie e di favorire le multinazionali del carbone.

La ferita di Cerrejon rimane ancora aperta. All’inizio di quest’anno la miniera è stata completamente ceduta ad un’altra multinazionale in parte britannica e in parte svizzera, Glencore. Il business del carbone quindi non è mai tramontato e continua ad essere esercitato non solo nel modo più distruttivo per l’ambiente, ma soprattutto attraverso la violenza diretta sulle popolazioni locali.

Per i media ufficiali non è necessario neppure celare del tutto le notizie fondamentali, dato che basta loro confinarle ai margini della comunicazione, lasciando il primo piano ai luoghi comuni da talk show. Cercando le notizie negli angolini del mainstream, si riscontrano perciò dei paradossi nell’attuale regime sanzionatorio, il quale colpisce e riduce il metano russo che ci arrivava attraverso i gasdotti, ma non fa altrettanto con il costoso metano liquido, il GNL, che arriva dalla Russia tramite navi. La colonizzazione militare dell’Europa da parte degli USA può spiegare molte cose, ma non tutte; ed il problema è che l’atlantismo fa da pretesto, da sponda e da alibi per le lobby d’affari nostrane, da quelle delle armi a quelle dell’energia e della finanza.

Se non si continuasse a fare confusione tra economia e affari, le cose risulterebbero più chiare. Più una impresa è antieconomica, più risulta lucrosa come affare. La metanizzazione è stata conveniente per le imprese distributrici finché occorreva spendere pubblico denaro per attuare la riconversione della produzione e dei consumi domestici. Poi il metano ha mostrato i suoi difetti: è troppo abbondante, troppo economico, poco inquinante, quindi consente scarsi profitti. Bisognava correre ai ripari, perciò prima si è agganciato il suo prezzo ai titoli della finanza derivata, poi si è puntato sul più costoso metano liquido.

Rigassificare il GNL è infatti il business del momento, che in Italia vede tra i protagonisti un’azienda del gruppo ENI, la SNAM. Il clima emergenziale consente già di aggirare le resistenze delle popolazioni all’installazione dei devastanti rigassificatori. Ogni establishment è anche un destablishment, cioè vive parassitando il caos e le disgrazie della società. Non c’è niente di più mistificatorio del binomio “legge e ordine”, così caro alla destra. Il potere è trasversale alle varie finzioni giuridiche dello Stato e del mercato, del pubblico e del privato, del legale e dell’illegale; il sottostante di queste distinzioni fittizie è la gerarchia del denaro, il dominio delle lobby di affari. Che la si chiami lobbycrazia o cleptocrazia, la condotta di questo sistema di potere è all’insegna della totale irresponsabilità e indifferenza per le sorti dei popoli, ma il controllo mediatico consente di avvolgere il business nella nube di un inattaccabile alibi morale.

Il giornalista Franco Bechis ci ha intrattenuto con un accurato elenco di imprese che hanno finanziato la campagna elettorale della Meloni, e pare che ci sia anche un imprenditore dell’eolico. Ma parlarci degli spiccioli rischia di fuorviare dal giro dei miliardi, che oggi riguarda le aziende del settore dei combustibili fossili ed i loro extra profitti. Il governo Meloni distrae le masse con le leggi farsa sui rave o con i soliti psicodrammi sui porti chiusi, ma ancora non ha preso decisioni sul come riportare ENI ed ENEL ad una funzione di supporto all’economia e non di saccheggio. La Meloni si è peraltro limati in anticipo i suoi presunti artigli, poiché già ad agosto faceva sapere che non ci sarebbero stati da parte sua colpi di testa e che quindi ENI ed ENEL non sarebbero stati rinazionalizzati. Se la Meloni persiste in questo suo servilismo nei confronti delle multinazionali, davvero rischia anche lei, come la Thatcher, di essere consacrata dai media come una grande statista.

Ringraziamo Cassandre.

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