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Ucraina: scontro nell'amministrazione Usa tra falchi e Pentagono

di Piccole Note

 

“Ai massimi livelli del governo degli Stati Uniti è emerso un disaccordo sull’opportunità di fare pressioni sull’Ucraina affinché cerchi una fine diplomatica nella guerra con la Russia, con i più alti vertici dell’esercito americano che sollecitano negoziati contrapposti ai consiglieri del presidente Biden, i quali sostengono che è troppo presto”.

“Il generale Mark A. Milley, presidente del Joint Chiefs of Staff, ha affermato nelle riunioni interne all’amministrazione che gli ucraini hanno ottenuto quanto potevano ragionevolmente aspettarsi sul campo di battaglia prima dell’arrivo dell’inverno e quindi dovrebbero cercare di cementare i loro guadagni al tavolo delle trattative”. Così il New York Times.

A guidare la fazione più bellicosa è il Consigliere per la Sicurezza nazionale Jacob Jeremiah Sullivan. Le rivelazioni del Nyt arrivano dopo che Milley aveva espresso pubblicamente la sua posizione, nell’intervista alla Cnn che abbiamo riferito nella nota pregressa.

 

Sullivan e l’escalation

Il nome di Sullivan in precedenza era stato accostato a un’altra rivelazione, cioè la sua visita riservata in Ucraina nella quale aveva detto a Zelensky di mostrarsi aperto ai negoziati per evitare che il suo massimalismo alimenti l’insofferenza degli altri Paesi coinvolti nel sostegno a Kiev.

La visita ha prodotto i suoi effetti, con Zelensky che si è rimangiato la posizione pregressa riguardo l’impossibilità di trattare con la Russia finché Putin fosse stato al potere, aprendosi a un’eventuale negoziato anche con questi.

La pressione Usa nasce dall’esigenza di evitare un’escalation con Mosca a rischio di guerra atomica, togliendo così a quanti chiedono la pace uno degli argomenti chiave delle loro argomentazioni.

La spinta per evitare uno scontro con la Russia è evidenziata da due fatti concreti: il primo è l’accordo con Mosca per tenere colloqui sull’accordo START (sulle testate atomiche); la seconda è il rigetto della richiesta di Kiev di fornire loro i droni Gray Eagles, che hanno la potenzialità di colpire la Russia in profondità (nel darne notizia, infatti, Wall Street Journal titola: “Gli Stati Uniti rifiutano i droni avanzati per l’Ucraina per evitare l’escalation con la Russia”).

Su quest’ultimo punto ci permettiamo una digressione. È dall’inizio del conflitto che l’Ucraina tenta di spingere l’Occidente in un conflitto con Mosca. Inutile ripercorrere le tante provocazioni di Kiev in tal senso – questo il termine più precipuo per indicare tali tentativi -, basta, sul punto, ricordare come Zelensky abbia chiesto un “attacco preventivo” della Nato contro la Russia e l’accoglienza accelerata del suo Paese nella Nato.

Tale improvvida spinta conferisce de facto ai Paesi occidentali il sacrosanto diritto di negoziare la fine della guerra con la Russia al di là dei desiderata di Kiev, dal momento che in gioco c’è la sicurezza nazionale degli Stati in questione, cioè la vita o la morte dei propri cittadini.

 

La svolta di Biden

Tornando al tema della nostra nota, la nuova propensione degli Stati Uniti a un accordo, come abbiamo già scritto, potrebbe limitarsi però solo alla mera gestione del conflitto: mettere in atto misure anti-escalation, ma prolungarlo ad oltranza.

Nel riferire dello scontro, il Nyt annovera Biden tra le fila dei bellicisti a oltranza, ma non è così. Quando, dopo le elezioni di midterm, egli ha parlato della guerra ucraina, ha detto che il ritiro da Kherson (1) apriva opportunità di pace, anche se, ha aggiunto, non è chiaro se Kiev è disposta a “compromessi”, cioè a cedere territori, cosa che implicitamente ritiene necessaria (ciò rappresenta “un importante cambiamento rispetto alla posizione precedente degli Stati Uniti, attestata sulla necessità che le forze russe si ritirassero dall’Ucraina”, commenta giustamente Mk Bhadrakumar su Indianpunchline).

Il Nyt insiste sul fatto che poi Biden si è rimangiato tali affermazioni, ma è evidente che lo ha fatto sotto pressioni esterne e che la sua posizione era espressa dalle parole che aveva potuto dire in un momento di libertà.

La decisione del generale Milley di dichiarare apertamente la sua posizione di fatto alza il livello dello scontro, perché lo porta sul piano pubblico, come se cercasse convergenze.

 

La Russia e il “generale inverno”

La durata della guerra in Ucraina dipenderà molto da questo scontro interno, ma il campo di battaglia ha la sua importanza. Se non ci sarà un accordo a breve, la Russia si preparerà per l’offensiva invernale che, a detta del colonnello Douglas Macgregor, sarà ben diversa da quella osservata finora, nella quale la Russia ha utilizzato solo “il 20% del suo esercito attivo” e limitato gli attacchi solo a obiettivi “mirati”.

Riferendo quanto scrive il colonnello, David Rehak conclude: “Questa nuova campagna sarà tesa a porre fine al regime di Zelensky attraverso una guerra di conquista. Putin probabilmente vede la rimozione di Zelensky come l’unico modo per fermare l’infinito e massiccio sostegno al conflitto da parte dell’Occidente, impegnato a prolungare la guerra. Inoltre, prendendo il controllo delle zone dell’Ucraina orientale in cui l’etnia russa è prevalente, vuole tenere la NATO finanziata dagli Stati Uniti fuori dalla sua porta”.

“[…] Questa nuova fase del conflitto Russia-Ucraina non sarà più una guerra di logoramento, ma una guerra totale. Dio abbia pietà di tutte le persone coinvolte, compresi i coscritti ucraini e i poveri civili che si trovano nella metà orientale dell’Ucraina”.

 

La via di mezzo

Forse lo scenario è troppo fosco, forse no. Ma il fatto che il Capo degli Stati Maggiori congiunti degli Stati Uniti si sia così esposto a favore dell’apertura di negoziati di pace indica che le informazioni in suo possesso, e ne ha tante, lo hanno convinto che è l’opzione migliore, che cioè l’Ucraina, nonostante il sostegno della Nato, non può far fronte al nemico.

E che l’unico modo per evitare la tragedia imminente è l’apertura di trattative. Ma non è detto che i falchi dell’amministrazione Usa siano del tutto contrari alle prospettive di pace. Il loro no all’apertura di negoziati potrebbe essere solo tattico. Questa, almeno l’idea di Charles A. Kupchan, professore della Georgetown University che è stato consigliere per l’Europa di Barack Obama.

Queste le sue parole riferite dall’articolo del Nyt succitato: “La mia sensazione è che l’amministrazione Usa stia saggiando in punta del piedi la possibilità di un negoziato […] Vogliono introdurre la possibilità della diplomazia senza dare l’impressione di dire agli ucraini cosa devono fare. Stanno apparecchiando il tavolo, anche se ancora non si sono seduti attorno a questo”.

Ma quella di Kupchan potrebbe essere solo la speranza di un moderato – come lo era a suo tempo Obama – accreditando ad altri la linea che aveva proposto in un articolo pubblicato sul Nyt il 2 novembre dal titolo: “È tempo di portare Russia e Ucraina al tavolo dei negoziati” (a proposito di Obama, ieri nell’Obama Presidential Center è stato rinvenuto un cappio). Vedremo.


Note
(1) In realtà, Biden aveva parlato del ritiro russo da Fallujah, confondendo l’Ucraina con l’Iraq, per poi correggersi. Una gaffe che riecheggia quella di George W. Bush, il quale, in un discorso tenuto all’inizio della guerra ucraina, aveva condannato per ben tre volte la brutale e non provocata invasione russa dell’Iraq… Gaffe reiterata (che, se non fosse impossibile, si direbbe voluta), che ricordava all’Occidente i suoi peccati, ben più gravi di quelli di Mosca (da allora Bush non ha più parlato, forse perché intimorito dal fatto che, tre giorni dopo questo discorso, è emerso che l’Isis lo voleva assassinare).

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