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De-dollarizzazione e ascesa delle valute nazionali nei pagamenti internazionali

di Misión Verdad-Grupo de investigación y análisis

L’Egitto ha recentemente annunciato di volersi sbarazzare dell’idea che la sterlina egiziana debba essere ancorata al dollaro USA. Lo ha affermato il nuovo governatore della banca centrale del Paese, Hassan Abdalla, e l’istituto sta già lavorando a un nuovo indicatore valutario che includerà un insieme di altre valute e oro.

Il governo egiziano svilupperà un nuovo indicatore di valuta anche per cambiare l’idea generale secondo la quale la sterlina egiziana dovrebbe essere per forza di cose ancorata al dollaro USA, ha detto domenica il nuovo governatore della banca centrale.

“È per il bene dell’idea della possibilità del cambiamento, e non sto parlando del prezzo, sto parlando dell’idea”, ha dichiarato Abdalla. “Parte del nostro successo sta nel cambiare la cultura e l’idea generale a cui siamo legati. Vogliamo stabilire un rapporto con tutte le valute, non solo con il dollaro”.

L’Egitto, come molti altri Paesi, è in difficoltà da quando è scoppiata la nuova fase del conflitto in Ucraina lo scorso febbraio e gli Stati Uniti hanno schierato le loro armi finanziarie contro la Russia, come di solito fanno con attori statali che non si allineano ai suoi dettami. La sterlina egiziana, che aveva tenuto a 15,70 sterline contro il dollaro per 18 mesi, quest’anno è giunta a 19,72 sterline.

Dai problemi economici come l’instabilità del valore della moneta e altri effetti indiretti negativi della politica delle “sanzioni”, ai problemi politici dovuti alla confisca illegale di beni e alle minacce alla sicurezza, le conseguenze della trasformazione del sistema finanziario internazionale in un’arma hanno intensificato le contraddizioni già esistenti nel rapporto con il dollaro USA.

Ma per ogni azione c’è una reazione. La risposta degli Stati si è accelerata negli ultimi tempi a causa delle condizioni sempre più ostili imposte da Stati Uniti e Unione Europea attraverso le “sanzioni”. Sono state costruite alternative al dollaro per garantire che le transazioni siano più sicure. Esistono già casi a livello bilaterale e regionale di utilizzo di valute nazionali tra partner commerciali, principalmente con Russia e Cina.

La de-dollarizzazione diventa una tendenza.

Paesi con molto peso geopolitico stanno seguendo una politica di dedollarizzazione e diversificazione valutaria per la vendita di beni e servizi. In un articolo sull’argomento, scritto prima della guerra in Ucraina, “The Wire” riassume i progressi nei sistemi altcoin. Gli esempi più significativi ruotano attorno alle iniziative economiche promosse da Cina e Russia.

“La Cina sta riducendo la sua partecipazione nei buoni del Tesoro degli Stati Uniti e si sta preparando per i servizi di cambio valuta come parte della Belt and Road Initiative e del Regional Comprehensive Economic Partnership con i paesi del sud-est asiatico”, si legge nel testo del “The Wire”.

Nel testo citato si sottolinea inoltre che Pechino sta internazionalizzando il renmibi yuan, moneta che è nel paniere del Fondo monetario internazionale e che rappresenta il 15% delle disponibilità valutarie mondiali, classificandosi al quinto posto tra le altre valute. Attualmente, la Russia ha un quarto delle riserve internazionali dello yuan.

La Russia, continua il “The Wire”, ha ridotto radicalmente le proprie disponibilità di titoli Usa, abbandonando così quella posizione che la faceva essere tra i principali detentori del debito Usa, una nuova linea, questa della Russia, maturatasi proprio dopo l’intervento atlantista in Ucraina nel 2014 e le tornate di “sanzioni” contro la Russia che si sono scatenati da allora.

Mosca ha approfondito la sua partnership strategica con la Cina, concentrandosi sul settore energetico. Mosca e Pechino hanno siglato nel 2014 un accordo da quasi 24,5 miliardi di dollari per rilanciare il commercio bilaterale e garantire la cooperazione reciproca negli investimenti.

“Nel 2017, il rapporto di scambio commerciale rublo-yuan si è sviluppato lungo la Belt and Road Initiative. Nel 2019, i due Paesi sono passati ad uno scambio yuan RMB e rublo per un totale di 25 miliardi di dollari”, si legge ancora nell’articolo del “The Wire”.

E il “The Wire” prosegue con l’India, elencando alcune delle sue iniziative, come l’accordo con gli Emirati Arabi Uniti per scambiare valute locali, “ha approvato uno scambio di valuta da 75 miliardi di dollari con il Giappone e uno scambio di valuta da 400 milioni di dollari con i paesi dell’Asia meridionale”. Inoltre, il paese dell’Asia meridionale ha notificato tassi di cambio diversi dal dollaro per le valute nazionali di Turchia e Corea del Sud.

Sono i Paesi asiatici che stanno gettando le basi per le più serie alternative al dollaro. Il “The Wire” afferma che un altro esempio di ciò e dimostrato dall’accordo stabilito alla conferenza dei ministri delle finanze del marzo 2020 della Shanghai Cooperation Organization. I paesi membri (Cina, Russia, paesi dell’Asia centrale, India e Pakistan) hanno concordato di “inviare raccomandazioni per finalizzare una tabella di marcia per lo svolgimento di scambi bilaterali, investimenti, accordi reciproci ed emissione di obbligazioni nelle valute nazionali”.

Nel testo si menzionano anche Armenia, Bielorussia, Kazakistan e Kirghizistan che effettuano il 70% del loro commercio con rubli e valute locali. Questi Paesi costituiscono la Belt and Road Initiative e, insieme alla Russia, costituiscono l’Unione economica eurasiatica.

La Turchia è un caso particolare tra i Paesi che hanno seguito la strada della dedollarizzazione, tenendo conto che fa parte del blocco Nato. Dopo le misure anglo-europee che hanno costretto le banche russe a ritirarsi dalla rete di pagamento SWIFT, il presidente Recep T. Erdogan ha suggerito al presidente Vladimir Putin di effettuare scambi bilaterali con rubli o yuan, in modo che la Turchia possa continuare a rifornire il proprio fabbisogno energetico e altri beni di importazione dalla Russia.

La proposta sembra essere già stata trasformata in azioni concrete. Secondo il capo dell’ufficio delle politiche economiche del Partito patriottico turco, Hakan Topkurulu, tutte le operazioni commerciali tra Russia e Turchia vengono effettuate in rubli.

“Il commercio con le valute nazionali è iniziato a pieno regime. Gli Stati Uniti non hanno alcuna possibilità di intervenire”, afferma si in un articolo pubblicato sul quotidiano turco “Aydinlink” .

Nel processo di de-dollarizzazione, merita attenzione il contributo che a tale processo offre il gruppo BRICS. Le aree di partenariato prioritarie delineate nella Strategia di partenariato economico BRICS 2025 includono la promozione dell’uso delle valute nei pagamenti reciproci, il rafforzamento della cooperazione tra i paesi BRICS sui sistemi di pagamento e la cooperazione sullo sviluppo di nuove tecnologie finanziarie.

Valute candidate per un paniere alternativo di valute:

Secondo i dati del 2018, le dieci valute più comunemente utilizzate per i regolamenti internazionali sono (e in quest’ordine): dollaro USA, euro, yen giapponese, sterlina britannica, dollaro australiano, dollaro canadese, franco svizzero, yuan Renmibi (Cina), corona svedese e dollaro neozelandese.

“Di questi, tutte le economie, tranne la Cina, si sono contratte in termini di quote del PIL negli ultimi due anni, mentre Svezia e Nuova Zelanda sono rimaste statiche”, afferma un rapporto pubblicato il 7 dicembre 2018 da Chris Devonshire-Ellis, socio fondatore del società di investimento Dezan Shira & Associate, specializzata nella regione asiatica.

Devonshire-Ellis ha dichiarato in quel momento che le valute delle principali economie del mondo stavano cessando di essere le più importanti al momento delle transazioni di accordi commerciali globali. Invece, ci sono economie nazionali che stanno aumentando il loro contributo percentuale al Prodotto Interno Lordo (PIL) mondiale e stanno sviluppando i loro mercati di esportazione, quindi le loro valute si stanno rafforzando. Nella lista ci sono: Russia, India, Brasile, Emirati Arabi Uniti, Singapore, Messico, Corea del Sud, Vietnam, tra gli altri.

Tali dati confermano che ci sono Paesi candidati all’ entrata in un paniere alternativo di valute, secondo lo specialista Devonshire-Ellis.

“Economie certamente collaudate come Corea del Sud, Singapore, India e Messico offrono stabilità e forza economica in profondità, stanno facendo crescere le loro economie e possono permettersi di fare quel passo. Altri candidati includono l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti, molte altre nazioni dell’ASEAN come l’Indonesia, la Malesia, le Filippine, la Tailandia e il Vietnam, mentre nazioni come l’Egitto, il Brasile e l’Argentina stanno rapidamente emergendo. La Turchia e l’Iran accoglierebbero entrambi con favore un’alternativa dato il modo in cui le loro economie sono state prese di mira e deliberatamente danneggiate dalle politiche di Washington quest’anno. Nel frattempo, la gemma commerciale segreta della Russia è la Comunità degli Stati Indipendenti (CSI), il cui commercio continua a svilupparsi in modo significativo ed è prevalentemente basato sul rublo”.

Il Venezuela viene alla luce nel panorama delle nuove valute alternative. L’articolo menziona che la Russia aveva chiesto che le valute fossero basate su asset reali alternativi, come il petrolio e altre materie prime di alto valore. Al momento sappiamo che il Paese eurasiatico l’ha già messo in pratica, quando il 31 marzo ha stabilito che le esportazioni di gas naturale fossero effettuate in rubli, e non in euro o dollari, per evitare che le misure finanziarie di Washington e Bruxelles trattenessero le entrate.

Sappiamo bene che il Venezuela è al primo posto nelle riserve mondiali accertate di petrolio, ma è anche tra i primi dieci con le maggiori riserve accertate di gas naturale, ponendosi come attore fondamentale nell’attuazione dell’ipotesi sollevata da Mosca.

Sebbene il dominio del dollaro statunitense rimanga forte nel breve termine, i cambiamenti nel sistema monetario internazionale, seppur ancora non tali da mutare del tutto lo scenario mondiale, vi sono stati e sono in via di sviluppo. Le iniziative esistono, con le loro sfide e i loro svantaggi, ma riflettono una realtà certa: i Paesi di tutto il mondo sono stanchi di subire le conseguenze dell’uso del dollaro da parte degli Stati Uniti come arma politica.


Versione italiana a cura della Redazione di "Cumpanis"

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