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Hate speech: la laica inquisizione

di Francesco Santoianni

Nel silenzio dei media, rinviato a giudizio per diffamazione uno scrittore che aveva osato ricostruire la carriera e le gesta di Roberto Speranza, mentre tardano a spegnersi le roboanti dichiarazioni di antifascismo espresse da tanti guru del politically correct contro il processo a Roberto Saviano imputato di aver definito “bastarda” Giorgia Meloni che lo ha querelato. Il tutto mentre impazzano rituali dichiarazioni a sostegno della ‘libertà di opinione’ come quella espressa da Irene Khan – già segretaria generale di Amnesty International (500.000 sterline di buonuscita) e oggi dirigente ONU per la Promozione e protezione della libertà di opinione e di espressione – secondo la quale, in sintesi, chi limita la libertà di opinione, semina confusione, scredita i difensori dei diritti umani, alimenta l’odio sono alcuni stati guerrafondai e gruppi armati abilitati dalla tecnologia digitale. Una dichiarazione che, a rigor di logica, per quanto concerne la limitazione della ‘libertà di opinione’ dovrebbe riguardare anche l’Unione europea che, da anni, in nome della “difesa dalla propaganda e disinformazione russa”, nel 2015 ha creato il gruppo East StratCom Task Force e il servizio Euvsdisinfo (per “supportare” i media a pubblicare notizie contro la Russia), nel 2018, ha messo su il Gruppo alto livello per lotta fake news (con dentro Gianni Riotta, popolare in questi giorni per le sue affermazioni sull’ “attacco missilistico russo alla Polonia” e già celebre per le sue fake news contro la Russia), e impedisce, dal febbraio 2022, a tutti i cittadini dell’Unione europea di potere leggere siti internet russi: una iniziativa di inedita gravità che ha spinto il sito Peacelink a illustrare le procedure informatiche per aggirare questa odiosa censura.

Ma soffermiamoci sulla faccenda dell’ “odio” che, secondo la Khan, e secondo il mainstream, dovrebbe essere estirpato dalla Rete.

Tempo fa proposi, in un articolo, un piccolo esperimento ai miei lettori invitandoli a mettere su Facebook dapprima il video del califfo Zawahiri (subentrato alla direzione dell’ISIS dopo la morte di al-Baghdadi) che, sostanzialmente, incitava a decapitare gli “infedeli” e poi il video dell’intervento di Walid al-Moallem, ministro degli Esteri della Siria, all’Assemblea generale delle Nazioni Unite che (pacatamente) protestava contro l’appoggio dell’Occidente all’ISIS. Nel primo caso il video, pubblicato senza problemi su Facebook, subito scatenava un’orda di commenti che invocano gli Usa di intensificare i bombardamenti in Siria; nel secondo caso, invece del video del ministro, appariva un avviso di Facebook che intimava a non pubblicare più “post inneggianti all’odio”. Due pesi, due misure? Si direbbe di sì.

Il contrasto all’hate speech (o “incitamento all’odio”) – invocato anche da Amnesty International, ritenuta universalmente paladina della “libertà di opinione” o da Greta Thunberg – è oggi codificato dal Parlamento europeo con la Risoluzione del 19 giugno 2020 e, in Italia, dal continuo inserimento di nuove categorie di “odiatori” da punire con multe o reclusione ai sensi della Legge 205/1993 (“Legge Mancino”). Contrasto all’hate speech che si direbbe essere il contraltare del crescente pubblico disprezzo verso coloro che non sposano i valori dell’Occidente.

Esemplari a tal riguardo le imponenti mobilitazioni seguite alla strage nella redazione di Charlie Hebdo tutte improntate all’incondizionato appoggio a questo giornale ‘satirico’ che delle ingiurie alla religione mussulmana aveva fatto la sua bandiera. Ancora peggio le reazioni dell’opinione pubblica davanti alle dichiarazioni di Macron che dopo aver armato i jihādisti (i quali trincerandosi dietro il Corano commettono crimini orrendi) ha avuto la spudoratezza, in un suo discorso tenuto in Libano nel settembre 2020, di inneggiare al “diritto alla blasfemia”. Con il prevedibile risultato di esasperare la comunità mussulmana dimorante in Francia che ha visto il repentino emergere di posizioni radicali, tradottesi anche in fenomeni di intolleranza, soprattutto contro gli ebrei. Questo ha dato la stura ad una campagna “contro il dilagante antisemitismo” (in realtà, contro chi condanna la pulizia etnica condotta da Israele) che ha visto una repressione contro attivisti BDS e una impennata della censura sui social.

Ancora peggio sta facendo il dilagare di altre campagne contro qualsiasi presunto hate speech che, ad esempio, bollano come ‘omofobia’ ogni critica alla pratica dell’utero in affitto o ‘razzismo’ ogni critica alle politiche di contenimento dell’immigrazione… incitamento all’odio che serve a procurare una percezione di pericolo; a indurre le autorità, o chi per esse, a ‘fare presto’ in deroga alle cautele del diritto d’opinione. Anche perché l’attribuzione dell’odio squalifica il presunto odiatore al rango di persona irrazionale, e quindi rende superflua la comprensione dei suoi moventi (che in ogni caso sarebbero inesistenti, pretestuosi, patologici o dettati dall’ignoranza), e quindi lo esclude giustificatamente dal diritto di manifestare il proprio pensiero.

Certo, odiare – come ci ricorda anche il Vangelo – non è bene; e, in linea teorica, sarebbe auspicabile che tutti esprimessero il loro dissenso solo con termini pacati. Ma come si fa a non odiare davanti ad aziende in attivo che chiudono i battenti per riaprirle i paesi del Terzo mondo dove la manodopera costa molto meno? davanti a politicanti che hanno imposto una catastrofica gestione dell’emergenza Covid? Davanti a ‘giornalisti’ che coscientemente diffondono falsità per favorire guerre e sanzioni che provocano centinaia di migliaia di morti?…

Forse questa questione avrebbe potuto essere chiarita se non fosse decaduta, con lo scioglimento del Parlamento, la ineffabile “Commissione straordinaria per il contrasto dei fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza” denominata anche “commissione Jo Cox” in memoria della parlamentare inglese Helen Joanne Cox diventata “martire d’Europa” essendo stata uccisa nel 2016 da un “hate speecher”.

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