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Esterno notte” di Bellocchio: perché non mi è piaciuto

recensione di Davide Steccanella

Premesso che non credo sia possibile (tutti quelli che ci hanno provato hanno miseramente fallito) ridurre a film una vicenda complessa e drammatica come quella del sequestro Moro, concordo con il Professor Vladimiro Satta (uno che ha scritto libri importanti sull’argomento) che la nuova fiction Rai rappresenti per Bellocchio un passo indietro rispetto al precedente “Buongiorno notte”.

Quel film almeno, era tratto dal libro autobiografico (Il prigioniero) scritto da Anna Laura Braghetti, la brigatista che visse nella base di via Montalcini durante tutti i 55 giorni del sequestro, questo invece è una libera interpretazione dei fatti secondo la - legittima - visione del regista che avrebbe voluto, come molti, un altro esito, la liberazione del prigioniero, esito che viene proposto nell’ultima puntata dal titolo “La fine” e che già avevamo visto nel suo precedente lavoro.

La fiction è divisa in sei puntate per argomenti o personaggi, come si conviene a questo tipo di prodotto, la prima descrive il palazzo della politica italiana di allora, la seconda la figura di Moro, la terza quella di Papa Montini, la quarta “i terroristi”, la quinta Eleonora Moro e la sesta, appunto, “la fine”.

Il primo difetto è cinematografico: le prime due puntate risultano alla lunga noiose perché tutti i politici di allora vengono rappresentati in modo troppo macchiettistico e stereotipato.

Cossiga, sempre tremebondo e nevrotizzato, che alterna visioni oniriche a confessioni sul fallimento del proprio matrimonio al primo che passa, e dà disposizioni al tavolo delle decisioni ministeriali sembrando un guru mezzo invasato, Andreotti con la solita immagine del brutto mellifluo su cui si fa ricadere ogni colpa democristiana (quasi che tutti gli altri, che pure c’erano, non fossero mai esistiti), Berlinguer che dice di trattare di “nascosto” con soldi ma non con riconoscimenti politici alle BR, Craxi che pare un fantoccio recitante, e via così, certo gli è che, visti in quel modo, davvero sembrano tutti dei “fantocci”, come li definisce un BR a un certo punto.

Il che non credo renda completa giustizia a una classe politica che pur con tutti i difetti del mondo forse era più elevata di quella odierna, ma non è questo il tema.

Pessimi in linea di massima tutti gli attori; ho letto gran peana sul Gifuni da Oscar, ma onestamente, quanto a recitazione, mi pare cerchi di fare il Volonté senza riuscirci del tutto, se invece ci si riferisce al trucco – certamente notevole – allora anche a “Tale e quale” sono bravi, ma questo non lo fa diventare un programma di rilievo.

Solito professionismo della Buy, che però di base fa sempre lo stesso personaggio, l’unico che si salva è il come sempre bravissimo Servillo nella parte di Montini, ma anche perché lui è un po’ “pretesco” e quindi dovendo fare il Papa va a nozze, anche se deve districarsi tra dialoghi talvolta “imbarazzanti” (come durante la vicenda del tentativo fallito di consegnare un riscatto mediante il sacerdote di San Vittore). Peggio ancora vanno le cose nella puntata dedicata a descrivere CHI fece quel sequestro, a parte la solita rappresentazione di un Moretti ottuso e fanatico fatto anche passare per un rozzo: “Io laureato a Yale che parlo 5 lingue devo avere a che fare con un perito che scrive ‘è presto detto’, viene fatto dire a Cossiga; immaginiamoci se in un momento così tragico l’ex Presidente della Repubblica italiana che tutto era fuorché un cretino si soffermava su considerazioni che mi paiono più farina del sacco intellettuale di Bellocchio che di un Ministro coinvolto in uno dei fatti più gravi dell'intera storia repubblicana.

Infatti il punto che meno mi è piaciuto di questa fiction è che uno degli episodi più eclatanti e gravidi di conseguenze per il Paese sembri interamente ruotare in una sorta di bega in stile “pasta fatta in casa” tra Moretti e la coppia Faranda/Morucci, questi ultimi destinatari di dialoghi surreali, tipo lei che gli da del ‘bastardo’ rimproverandogli di avere lasciato sua figlia ai nonni perché lui le aveva fatto credere di sperare nella Rivoluzione (solita vulgata della donna che sceglie per amore, perché evidentemente non dispone di una coscienza politica propria), lui che fa il guascone che poi l’abbraccia, e i due proseguono fino alla fine, limitandosi a qualche scazzo in mezzo alla strada con l’altra coppia Moretti/Balzarani e tutto il resto sparisce, l’unico personaggio azzeccato forse è Lanfranco Pace che dice loro di liberare l’ostaggio perché “il movimento è contrario alla sua morte”.

Movimento del tutto assente, l’Italia dopo il 1977 viveva in una sorta di guerriglia continua (una “guerra” titola il recente docufilm su Sky tratto dalle memorie dei poliziotti del nucleo di Dalla Chiesa impegnati per 15 anni in quell’incredibile conflitto), ma i brigatisti passano le giornate stravaccati sul divano di casa, uscendo giusto per fare l’operazione Moro o poco altro, e gli unici agganci con il mondo esterno sono la solita romana verace che si lascia andare sul bus a commenti “ci vorrebbe il duce con sti assassini”, perché quegli assassini, secondo Bellocchio, trovavano consenso solo nelle università e neppure tanto tra gli studenti ma tra i “professori” (solita vulgata dei "cattivi maestri") e ovviamente nessun riferimento alle fabbriche dove invece sono nate non solo le Brigate rosse ma anche Prima Linea e tanto altro ancora, a tacere della gigantesca galassia dell’autonomia proletaria nelle principali città che fece lievitare a oltre 200 il numero delle organizzazioni armate operanti in Italia secondo i dati ministeriali ufficiali dell’anno dopo (dicembre 1979).

Ma tutto questo non c'è, e così se uno non si fosse preso la briga di studiare quegli anni, la visione di Bellocchio inevitabilmente lo porterà a ritenere che necessariamente “dietro” a quei tre/quattro pirla che vivevano fuori dal mondo ci dovesse essere qualcuno di ben più importante, e continueremo per sempre e inevitabilmente a sentire sul sequestro Moro le più colossali scemenze che si sono inanellate in questi anni (giusto 42 anni fa veniva istituita la prima Commissione Moro, ne seguiranno altre e sempre più inutili, ma transeat).

E’ vero che Bellocchio ha fatto un film e non un documentario, per cui non ci si devono aspettare ricostruzioni storiche, come ha detto Grasso sul Corriere, e lasciamo perdere l’idiozia del prete che va a confessare Moro nella base di via Montalcini (ma ti pare che le BR lasciavano entrare un estraneo in quel luogo che per ovvie ragioni di minimale compartimentazione era noto solo e rigorosamente ai quattro militanti che lo frequentavano?) o la scena del gruppetto in spiaggia che spara ridendo alle onde del tirreno laziale urlando slogan demenziali manco fossero a un’occupazione liceale, però mi domando quale sia stata l’utilità di questo sforzo di mezzi per mandare in onda in prima serata sul canale ammiraglio una brutta fiction che peraltro, sono sicuro, hanno visto solo i vecchi come me che ai tempi erano già belle che nati.

Non credo che i ragazzi possano appassionarsi a una fiction del genere, ma stavolta, mi viene da dire: meno male!

Comments

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ndr60
Monday, 28 November 2022 09:36
Aspettarsi che su raiuno in prima serata vada in onda qualcosa di lontano dalla versione ufficiale è come aspettarsi che il primo ministro in conferenza stampa dica la verità :)
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Fulvio Grimaldi
Monday, 28 November 2022 09:12
La v ersione Bellocchio è versione di regime, servilmente allineata con la grande menzogna degli autori dei servizi USA-Italia e dei loro sicari BR. A cui si consente di girare, blaterare, purchè perpetuino la truffa.-
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