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lafionda

Il bancor di Keynes e l’art. 11 della Costituzione

di Antonio Semproni

Nella visione economica di J.M. Keynes è essenziale il perseguimento della piena occupazione interna: questo caposaldo non viene meno nella sua proposta di un’unità contabile da impiegare come moneta internazionale – da lui denominata “bancor” –, che avrebbe assicurato per il secondo dopoguerra un ordine economico internazionale fondato sulla pace.

La deflazione interna, il deprezzamento del cambio e misure analoghe mirano a stimolare le esportazioni, riducendo il prezzo internazionale sostenuto dagli Stati importatori”; tuttavia, “se è necessario ridurre il prezzo almeno nella medesima proporzione in cui cresce il volume [delle esportazioni] il paese debitore si ritrova implicato in una fatica di Sisifo[1].

Così Keynes descrive lo sforzo cui può aggiogarsi un Paese che voglia riequilibrare l’ago della propria bilancia commerciale. La situazione di disavanzo commerciale in cui versi un Paese può infatti indurre le sue autorità monetarie a deprezzare il tasso di cambio (cioè a ribassare il valore della propria moneta rispetto ad altre monete) per favorire le esportazioni o ad alzare il tasso di sconto (il tasso di interesse cui la banca centrale presta denaro alle banche commerciali del Paese, che a loro volta alzeranno i tassi di interesse praticati) per raffreddare l’economia, così da determinare calo degli investimenti e conseguenti disoccupazione e calo dei prezzi (il quale ultimo favorirebbe le esportazioni), ma queste mosse saranno benefiche solo se l’incremento dell’export supererà proporzionalmente il crollo dei prezzi.

Ecco perché uno Stato in disavanzo commerciale, piuttosto che ricorrere a queste manovre, dovrebbe poter attingere a fondi che gli consentano di sviluppare un proprio apparato agricolo, industriale e terziario che possa soddisfare la domanda interna (in termini politici, la domanda del popolo). Lo sviluppo di un apparato simile implica chiaramente una tensione verso la piena occupazione.

D’altro canto, già “il mantenimento più o meno continuativo di un elevato livello di occupazione negli USA potrebbe fare molto per riequilibrare la bilancia internazionale dei pagamenti[2]”: si noti che, all’epoca in cui Keynes scrive, gli USA vantavano un considerevole avanzo commerciale (erano – come si suole dire – un Paese creditore). Stimolare la domanda interna (che, in termini politici, corrisponde a creare le condizioni perché la produzione interna sia destinata al popolo e quest’ultimo goda del potere d’acquisto sufficiente ad assicurarsela) consente di arginare la formazione di ingenti avanzi commerciali, i quali solitamente conferiscono agli Stati che li detengono un potere ricattatorio verso gli Stati in disavanzo e, soprattutto, possono esercitare una pressione deflativa sull’economia internazionale: le risorse che costituiscono gli avanzi commerciali sono infatti per definizione sottratte al circuito economico.

La proposta di Keynes consiste – come egli spiega al governatore della Banca d’Inghilterra – nell’estendere al campo internazionale i principi fondamentali dell’attività bancaria, “in base ai quali, quando una persona desidera lasciare inutilizzate le proprie risorse, queste risorse non sono per ciò stesso sottratte alla circolazione, ma rese disponibili a una persona terza che è pronta a usarle – senza che la prima perda la propria liquidità e il diritto di impiegare i propri mezzi non appena decida di farlo[3].

Da questi principi discende la creazione di una stanza di compensazione internazionale (c.d. Clearing Union), il cui scopo è controbilanciare, cioè compensare, le operazioni economiche (commercio di beni e servizi e movimenti di capitali) poste in essere dagli Stati aderenti (o meglio, dai loro rispettivi organi nazionali, operatori economici e consumatori) fra di loro, per poi occuparsi dei saldi attivi e passivi che ne risultano in capo a ciascuno Stato aderente in modo da compensarli a loro volta l’uno con l’altro[4]. A seconda del complessivo saldo della propria bilancia commerciale, ad ogni Paese sarebbe spettato un saldo attivo o passivo presso la Clearing Union, denominato appunto in bancor (ecco qui la sua natura di unità contabile!).

Un saldo attivo di un certo Paese presso la Clearing Union non solo rappresenta una registrazione contabile, ma è traducibile in moneta: per l’appunto, il bancor.

A questo saldo potrà attingere non solo il Paese che lo detiene, ma anche ciascun Paese in disavanzo (cioè con un saldo passivo), che potrà ottenere prestiti proprio usufruendo del saldo di qualunque Stato membro in credito[5]; questa opportunità per lo Stato in disavanzo non si traduce in un onere in capo agli Stati in avanzo. Questi ultimi semplicemente si impegnano ad impedire che il proprio rispettivo saldo creditorio, fintantoché decidono di mantenerlo, eserciti una pressione restrittiva sull’economia globale e, di riflesso, sulle loro stesse economie[6]: per questo “il fatto che il saldo che [il Paese in avanzo] sceglie temporaneamente di non impiegare non sia sottratto alla circolazione non penalizza il Paese in questione (anzi lo favorisce)[7].

I prestiti ottenibili da uno Stato membro in deficit potranno allora avere un vincolo di scopo: cioè rilanciare gli investimenti produttivi, in vista di assicurare la soddisfazione della domanda interna.

Il bancor, in quanto moneta avente carattere internazionale, verrà utilizzato non tra cittadini, imprese private e banche commerciali, i quali continuerebbero a servirsi della propria rispettiva valuta nazionale, ma da ogni Paese nelle transazioni con gli altri Paesi che esso operi attraverso un qualunque organo nazionale, come il Tesoro o la Banca Centrale (si pensi all’acquisto di titoli di debito pubblico da parte di uno Stato).

Ogni Paese aderente viene dotato “di un certo lasso di tempo entro il quale è tenuto a riportare in equilibrio le sue relazioni economiche con il resto del mondo”[8]: a tal fine, ciascun Paese aderente partirà con una “cospicua” apertura di credito in bancor, il cui scopo è proprio “quello di dare tempo affinché siano effettuati i necessari aggiustamenti”[9].

Keynes configura dunque un sistema di libero scambio multilaterale, finalizzato però al riequilibrio delle bilance commerciali fra gli Stati aderenti e dunque a politiche interne tese alla piena occupazione. Come persegue questa finalità?

Con niente di meno che un meccanismo di disincentivi, interessanti tanto i saldi attivi quanto i saldi passivi. Lo Stato che detenga un saldo attivo oppure passivo verserà infatti commissioni la cui percentuale varia all’ammontare del saldo[10]; la previsione delle commissioni stimolerà i Paesi membri a tenere la bilancia commerciale in equilibrio.

Quanto al “dominio della politica interna l’autorità del Consiglio direttivo dell’istituzione qui proposta [nel disegno di Keynes, l’organo che presiederebbe la Clearing Union] dovrebbe limitarsi alla formulazione di raccomandazioni[11]”: non si rinviene, dunque, alcuna sostanziale cessione di sovranità, niente – come diremmo ai giorni nostri – condizionalità. Gli Stati rimarranno liberi di determinarsi in tema non solo di politica fiscale, ma anche di bilancio (il pareggio cui Keynes fa riferimento è chiaramente quello della bilancia commerciale e non anche del rapporto deficit/PIL) e soprattutto monetaria. Uno Stato aderente potrà anche deprezzare il tasso di cambio della propria moneta in bancor, ma soltanto se in disavanzo[12].

Si deve, in definitiva, pensare al bancor come a un’unità contabile che registra lo stato dei rapporti commerciali internazionali di un Paese: a un avanzo commerciale corrisponde un saldo attivo e a un disavanzo commerciale un saldo passivo. Se uno Stato ha un saldo attivo presso la Clearing Union, allora quel saldo – secondo i principi di ogni attività bancaria – potrà essere utilizzato dagli Stati con saldo passivo per investimenti produttivi interni e dunque, in definitiva, per far sì la loro rispettiva bilancia commerciale tenda al pareggio. Ecco che il bancor assurge a mezzo di pagamento per l’emancipazione degli Stati in disavanzo dalla dipendenza straniera, a moneta per la pace.

I soli embrioni di cessione di sovranità stanno: nell’accettare il pagamento delle commissioni; nel subordinare la svalutazione del tasso di cambio alla condizione di disavanzo.

Il bancor che Keynes aveva configurato – la cui adozione venne scartata durante i lavori della Conferenza di Bretton Woods – sembra allora poter assicurare un pacifico ordine economico internazionale in cambio di una minima cessione della sovranità statale; esso sarebbe sicuramente coerente con l’art. 11 della Costituzione, che consente cessioni di sovranità per assicurare la pace tra le Nazioni e impone al nostro Paese di adoperarsi attivamente per rimuovere le reali cause di gran parte dei conflitti interstatuali, a cominciare da quelle economiche che condizionano il persistente divario tra le diverse zone del pianeta[13].

Si noti che durante i lavori preparatori della Costituzione nessuno dei membri della nostra Assemblea Costituente pensò all’istituzione di una moneta internazionale che potesse garantire la pace tra le Nazioni; in quella sede era anche assente lo spettro di una moneta unica. Meuccio Ruini, presidente della ‘Commissione dei 75’, incaricata di redigere il testo della nuova carta costituzionale, pur definendo l’aspirazione all’unità europea “un principio italianissimo”, riteneva che “un ordinamento internazionale può e deve andare oltre i confini dell’Europa”.

Si pensi, in conclusione, a quante cessioni di sovranità ha comportato la moneta unica (si considerino le ricadute sulle prerogative nazionali in tema di politica monetaria, praticamente annullata, e politica di bilancio, seriamente menomata) e a quanta poca pace, perlomeno sociale, essa ha assicurato.


Note
[1] J.M. Keynes, Il sistema monetario internazionale del dopoguerra, 8 settembre 1941, in Moneta internazionale, Milano, 2016, pag. 64.
[2] J.M. Keynes, Il sistema monetario internazionale del dopoguerra, cit., pag.  67.
[3] J. M. Keynes, Lettera al governatore della Banca d’Inghilterra, in Moneta internazionale, cit., pag. 102.
[4] J. M. Keynes, Discorso a un incontro degli Alleati Europei, 26 febbraio 1943, in Moneta internazionale, cit., pag. 109.
[5] J. M. Keynes, Proposte per un’Unione monetaria internazionale, 15 dicembre 1941, in Moneta internazionale, cit., pag. 81 ss.
[6] J. M. Keynes, Proposte per un’Unione monetaria internazionale, cit., pag. 79.
[7] J. M. Keynes, Proposte per un’Unione monetaria internazionale, cit., pag. 77.
[8] J. M. Keynes, Proposte per un’Unione monetaria internazionale, cit., pag. 76 s.
[9] J. M. Keynes, Proposte per un’Unione monetaria internazionale, cit., pag. 80.
[10] J. M. Keynes, Proposte per un’Unione monetaria internazionale, cit., pag. 77.
[11] J. M. Keynes, Proposte per una International Clearing Union, aprile 1943, in Moneta internazionale, cit., pag. 116.
[12] Il lettore penserà che la Germania, per mezzo dell’istituzione della moneta unica, ha svalutato la propria moneta pur essendo in avanzo. Penserà bene, molto bene.
[13] L. Chieffi, sub art. 11, in R. Bifulco – A. Celotto – M. Olivetti (cur.), Commentario alla Costituzione, Torino, 2006, pag. 276.

Comments

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AlsOb
Monday, 28 November 2022 13:13
L'articolo è molto apprezzabile e opportuno, ma un poco debole o riduzionista nelle conclusioni, per la ristretta linea argomentativa selezionata, correlata limitatamente al concetto di cessione di sovranità e articolo 11. (Una “cessione di sovranità” può essere motivata in un sistema simmetrico keynesiano, che produce rapporti pacifici, piena occupazione e maggiori vantaggi e crescita per tutti, non in un modello che la utilizza per aumentare i gradi di povertà, diminuzione del reddito e colonizzazione).
A proposito di articoli costituzionali e Keynes è utile ricordare che la strampalata definizione di repubblica italiana fondata sul lavoro (più probabilmente lavoro capitalistico e estrazione di plusvalore) derivò dal rigetto da parte dei costituenti del concetto di piena occupazione e il compromesso produsse una sorta di ambigua trivialità.
Lo straordinario progetto di relazioni economiche e monetarie internazionali elaborato da Keynes (e sul quale con generoso sforzo convergeva anche il Tesoro USA) venne gettato alle ortiche, per essere sostituito da un piano americano, legato alle grandi banche e al Dipartimento di Stato e Pentagono. Ciò pose i prodromi dell'imperialismo finanziario e del dollaro, come lucidamente comprese Keynes. Fu per lui un durissimo colpo intellettuale e morale, e anche fisico, per la salute già debilitata, per la tragica consapevolezza, appena attenuata da un impotente atteggiamento esteriore di ironia e disincanto, del completo e irrevocabile fallimento del suo sistema di valori di una vita e del tentativo di far progredire il capitalismo mondiale verso una situazione di regolazione, cooperazione e razionalità.
L'imperialismo del dollaro guidato, per dare una apparenza di neutralità, dal fmi e dalla bm, ha creato enormi sperequazioni e ha rafforzato il costante slittamento verso il neoliberalismo fascista, togliendo autonomia decisionale e sovranità agli stati deficitari e con problemi di bilancia dei pagamenti. Tanto che persino gli intelligenti democristiani quando in necessità preferirono rivolgersi al mercato dell'eurodollaro e evitare il fmi.
Nel caso dell'euro, l'introduzione della moneta unica, che limitatamente a un punto di vista marxiano economicistico relativo al capitalismo europeo avrebbe forse anche un senso economico e che contiene in modo implicito e casuale uno schema-meramente contabile- simile al bancor keynesiano, il target2, oltre a varie possibili obiezioni, presenta due grossi problemi, il primo di basarsi su un modello radicalmente anti-keynesiano, ideologicamente estremista di fanatico neoliberalismo fascista e il secondo per caratterizzarsi esplicitamente come sistema di guerra sub-imperialistica e di colonizzazione (in particolare contro l'Italia), (e non di cooperazione e solidarietà).
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