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Il ritorno della Storia

recensione di Pierluigi Fagan

La tesi centrale del libricino (poco più di un centinaio di pagine, si legge in due giorni, costa 16 euro) è il ritorno della Storia ovvero la fine della lunga parentesi irrealistica ed in parte idealistica del corso degli eventi (geo)-politici mondiali. L’impianto mentale del Caracciolo è fatto oltreché ovviamente di geopolitica, di geostoria e geopolitica critica. La seconda estende l’inquadratura degli eventi al più o meno lungo corso storico letto con dentro i vincoli geografici. La terza è una sorta di epistemologia critica della disciplina dove si analizzano gli intenti ideologici delle grandi narrazioni geopolitiche assieme alla geopolitica di fatto ed assieme ad una sorta di geopolitica popolare ovvero lì dove gli assunti di primo tipo percolano in mille forme più pret-à-porter che arrivano alle cartine di corredo gli articoli, i film, i supereroi, le narrazioni spicciole che animano le nostre video-digital-teatrocrazie. Il libro articola in due parti.

Nella prima prende di petto quattro grandi narrazioni occidentali. Si inizia col celebre “La fine della storia” (1992) incauto titolo di quello che dovrebbe esser uno storico americano F. Fukuyama che, in tutta evidenza, dello storico ha ben poco e molto dell’ideologo.

Ma il maggior divertimento è nella parte europea che tratta dei tre miti narrativi fondanti l’europeismo post-storico ovvero il PanEuropa del mitico Kalergi (1923), il Manifesto di Ventotene di AA.VV con Spinelli in testa (1941), il mito di Carlomagno (VIII° secolo d.C.). La questione qui andrebbe presa a grana grossa ovvero a pacchetto. Nel mio piccolo segnalai anni fa più volte e prima ancora di entrare nel merito dell’idea di Europa unita se bella o brutta, auspicabile o rigettabile, l’imbarazzante sproporzione tra l’enorme complessità di questa idea-progetto (se presa sul serio) e la sua miserrima pubblicistica. Prima ancora quindi di entrare in dettaglio su questo o quello scritto o costrutto narrativo, si deduce che quella di Europa unita è una Idea pura, senza alcun vero portato operativo, una Idea che veste un insieme di pratiche che nulla hanno a che fare con l’Idea stessa. Come nota il Caracciolo, Idea che serve solo a dare un riferimento a chi ci crede a mo’ di fede irrazionale o di contro la pensa un complotto delle élite o la usa come copertura nobile per pratiche ignobili o -soprattutto- la usa per discriminare tra coloro che hanno fede piena ed ogni possibile scetticismo che prima ancora di arrivar a sentenza negativa avrebbe piacere quantomeno a discuterne i dettagli concreti. L’idea di Europa unita è antistorica come La fine della storia del giap-americano, narrazioni stese sul concreto per rimuovere le problematiche del reale e prender tempo. Questo lungo invaghimento occidentale per idee strampalate è diagnosticabile come un non saper davvero che pesci prendere e guadagnar tempo per prorogare sistemi ed atteggiamenti vigenti che non si vogliono cambiare.

Nel pacchetto delle diversioni narrative scollegate al mondo reale ci sarebbe anche da mettere tutto quello che molti altri hanno profetato come americanizzazione del mondo inevitabile portato della “globalizzazione” anni ’90. Ogni tanto dovremmo criticamente rileggere analisi e filoni teorici per constatare quante cantonate prendiamo; quindi, quanto precari e scombinati siano i nostri impianti analitici. Del resto, se i poteri reali brancolano nel buio guadagnando tempo, anche i contropoteri critici avranno il negativo del brancolare nel buio che è ancora più buio come tutti i negativi. Non siamo mai stati illuministi, non siamo mai stati democratici e non siamo mai stati quello che ci raccontiamo di essere. Il che porterebbe d’urgenza alla questione ontologica fatale: chi siamo davvero? Se non sai chi sei, difficile procedere poi sul dove andiamo, come e perché?

La seconda parte è geo-storico-politica. La versione messa in pratica della Idea di Europa è in pratica la declinazione della geo-strategia americana che, in quanto di tradizione anglosassone quindi isolana, puntava a inglobare Europa come propria dependance ovvero assicurarsi la smettesse con la coazione interbellica secolare (nonché residui colonial-imperiali in giro per il mondo), sottraendole eventuali reali mire di costituirsi potenza geopolitica autonoma, magari in strette interrelazioni coi russi e più in generale gli asiatici. Ma al di là dell’interesse esterno, c’è anche quello interno poiché gli Stati Uniti possono così egemonizzare quasi tutto il mondo con un “sistema occidentale” fatto di una vaga corona post storica europea-anglosassone, con però il loro tradizionale stato-nazione-plurietnico (come conviene agli imperi) al centro. Per questo la NATO nata antisovietica non cessa al crollo dell’URSS perché cambia nome (Russia) ma non sostanza geostrategica. La sequenza Piano Marshall, Patto Atlantico-NATO ed avvio delle prima forme unitarie europeiste, darà la forma a quella che Caracciolo chiama: Antieuropa. “L’antieuropeismo americano sposa l’europeismo antieuropeo” condensa l’Autore, una tutorship che lascia apparentemente indipendenti gli Stati privandoli prima di forza militare, poi di moneta, fondamenti dell’antica invenzione proprio europea stato-nazionale. In breve, “Il mostro buono di Bruxelles, ovvero l’Europa sotto tutale” titolava il da poco scomparso nell’indifferenza dei più H. M. Enzensberger in un libricino del 2011 ovvero il potere delegato che fa di Europa la periferia residenziale degli Stati Uniti che così sono, di fatto e di volontà “una potenza europea”, come scriveva Acheson a Monet nel 1965.

Colonna portante di Antieuropa è ciò che Caracciolo chiama Antigermania. Rispetto agli altri soggetti, lunga la disamina che ne fa Caracciolo, forse con un suo specifico interesse di studio in merito. Germania-problema un po’ per tutti. Dagli americani che temono un suo protagonismo allacciato a sistema coi russi, dei francesi e britannici contrarissimi alla riunificazione che alla fine mosse i francesi all’idea di incatenare i vicini con l’idea della moneta unica salvo ritrovarsi loro incatenati all’euro-marco, dai russi che pure la lasciarono libera di riunirsi ottenendo promesse a parole di mantenere lo status quo con la NATO, salvo poi ritrovarsela all’uscio di casa Ucraina. Forse il più antistorico degli Stati importanti, con una identità ed un passato scabroso, una antropologia malvista e forse razzista, un’idea confusa dei perimetri dei propri ceppi e della stessa geografia politica, ancora influita dalla diversa natura del suo ovest e del suo est, quest’ultimo forse nucleo “tedesco” più di ogni altro. Oggi lì per riarmarsi, alle prese con i dolori energetici che potrebbero condizionare il proprio nucleo industriale, con gli americani che si espandono al loro est, americani però il cui futuro è dubbio. Capitolo questo un po’ copia incolla di alcuni numeri di Limes, con una non chiara tesi di fondo.

E gli Stati Uniti? Constatato che l’idea di fine della storia era fittizia ed anzi, il collasso del partner-nemico sovietico con cui ci si dividevano le fatiche dell’ordine mondiale lascia oggi soli gli USA alle prese con un mondo nuovo indomabile, l’impero informale americano non sa bene dove andare. Trump l’aveva buttata sulla vecchia idea del ripiegamento entro le mura, Biden ha rispolverato il caro vecchio bipolarismo con Cina al posto di URSS. Di fatto, sembra che quello USA possa esser registrato come l’ultimo impero, fine di “una” storia. Più di 150 basi militari in giro per il mondo, due secoli e mezzo di interrotte guerre, tutte perse o pareggiate da dopo il ’45, due milioni e duecentomila soldati attivi fanno pensare alla massima teatrale di Cechov: quando in scena compare una pistola prima o poi ci scappa il morto.

Caracciolo chiude la sua (relativa) fatica che più che un libro è un lungo articolo, articolo di articoli della sua ricca produzione come editoriali di Limes, Lime stesso, collaborazioni stampa e conferenze qui e lì, con il necessario: allora? Andando al succo e dal punto di vista nostro di italiani (apprezzabile geo-referenza in tempi in cui molti si lanciano in ricette-mondo), si consiglia a noi una più intenzionata presenza attiva mediterranea, nonché la promozione di un nuovo ordine-mondo congelato. USA, Cina e Russia dovrebbero accettare la convivenza fredda, rinunciando ai tentativi di sgretolarsi a vicenda che ingenera quella paura per difendersi dalla quale rimane valida la minaccia e poi la pratica nucleare fine-di-(un)mondo.

Quindi cosa consigliamo, leggerlo o no? Dipende. I digiuni ma interessati ai nuovi misteri della geopolitica ne possono comunque trarre giovamento. A chi è interessato al nuovo grande argomento del Mondo Nuovo leggerlo male non fa, ma nulla di più. Come già detto in passato, l’impermeabilità ai fatti economici dei geopolitici è simmetrica a pari impermeabilità degli economisti ai fattori geopolitici, accettazione di uno stato di mezza cecità che non aiuta a capire l’Intero che è il Mondo, assieme ai dati di molte altre discipline. La geo-pop-politica non è da disprezzare affatto, ci sono tanti livelli di conoscenza ed analisi e quello essoterico di massa non è meno importante di quello esoterico, soprattutto in un Paese come il nostro che di queste cose non sa praticamente nulla e si culla nel caldo conforto delle vivaci quanto inutili polemiche, con cadenza settimanale, sul nulla ripieno di niente.

Per tentar la comprensione più profonda dell’oggetto grosso, il Mondo Nuovo nei tempi che ci son toccati in sorte di vivere, toccherà continuare la ricerca ed anche la ricerca su come ricercarla.

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Comments

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piero meaglia
Thursday, 08 December 2022 14:15
Buongiorno,
prima di tutto grazie a Sinistra in rete per il suo lavoro di informazione.
Curiosando , ho trovato in rete questo articolo e non so cosa pensare, anche se leggo sempre con interesse i suoi interventi. Un cordiale saluto
https://dallamiatazzadite.com/tag/pierluigi-fagan/
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