Gli uni degli altri
di Paolo Bartolini
La recente sentenza della Corte Costituzionale, che ha confermato la liceità dell’obbligo vaccinale in Italia, non stupisce. Un risultato diverso avrebbe reso pericolante l’intero assetto ideologico delle politiche emergenziali adottate da una classe di governo totalmente subalterna al pilota automatico neoliberale (tagli alla sanità pubblica e alla medicina territoriale, farmaci hi tech privati prodotti con ingente supporto economico degli Stati, polarizzazione sociale e creazione di nuovi capri espiatori, uso dei mass media funzionale alla ridicolizzazione o criminalizzazione del dissenso, colpevolizzazione paternalistica dei cittadini).
Inevitabile che, dopo due anni di dialogo congelato e di prepotenze insensate da parte delle istituzioni, la società fosse polverizzata. Sono tra quelli che non immagina possibile una rappacificazione a costo zero tra le persone, dopo le divisioni feroci che si sono venute a creare. Al contempo rifuggo nettamente la tentazione – nella quale mi pare sia caduto anche qualche prestigioso filosofo – di immaginare che larga parte dei nostri simili (quelli che non hanno colto la gravità dei fatti in corso) siano ottusi “complici” del regime.
Se vogliamo che le divisioni non permangano come fratture che indeboliscono un possibile e futuro movimento di massa, dobbiamo essere capaci di resistere alle semplificazioni. Conosco molte persone che dal 2020 a oggi hanno continuato a fare politica attiva, battendosi per i beni comuni, per i migranti, per le donne ab-usate, per l’economia solidale, per la pace, per i diritti dei lavoratori ecc. Non di rado costoro non sono stati capaci di stigmatizzare a dovere la follia del green pass e una campagna vaccinale organizzata secondo i criteri e la retorica della propaganda bellica. Perché persone attive in campagne coraggiose e condivisibili non hanno avvertito la pericolosità dei dispositivi biopolitici messi in campo con la scusa di “garantire la salute dei cittadini”? La mia ipotesi, in sintesi, è questa: soprattutto a sinistra, fatta esclusione per gli imbecilli seriali che esistono ovunque, la politica vaccinale e le restrizioni adottate fin dal Governo Conte, sono parse misure accettabili per calare dall’alto una protezione trasversale e indifferenziata rispetto al virus. Qualcosa di ipocrita e inefficace è stato scambiato per una specie di socialismo sanitario.
Un errore grave di analisi, che meriterebbe autocritica. Comunque sia, sono costoro “complici” efferati di un regime illiberale e anticostituzionale? Giudizio facile da emanare, ma privo di sfumature. Vediamo infatti cosa succede se spostiamo l’angolo della visuale.
Ho notato che, tra i non vaccinati infuriati contro la gestione della sindemia (hanno i loro motivi), una buona parte – come accade sempre in condizioni di trauma subìto – non parla d’altro da mesi e mesi. Tanti cittadini che hanno patito sulla loro pelle discriminazioni inaccettabili, non sembrano avere altrettanto interesse per i disagi dei poveri, per le minoranze escluse dai diritti, per i morti annegati nel Mediterraneo, per le lotte sindacali e del lavoro, per i problemi ecologici e così via. Forse non se ne curavano nemmeno prima del biennio sindemico. Sono costoro “complici” indifferenti del tecno-capitalismo che si svegliano solo quando vengono insidiati nella loro prima proprietà (fra l’altro destinata a strutturale e incessante esproprio), il corpo? Non è forse tutto molto più complesso? Se il problema è la frammentazione delle coscienze, bisogna capire che, al netto delle ragioni di ciascuno, il dialogo e la riconciliazione vanno tentati e rilanciati orizzontalmente, facendo sì che le persone inizino a collegare i puntini e non si rinchiudano in qualche gruppo speciale (e separato) di vittime del mondo. Nessuna irenica rappacificazione, beninteso, tra le masse soggette al potere neoliberale e i ceti dominanti (centri finanziari, multinazionali, industrie di armi, establishment politico…), ma riapertura continua e caparbia di un dialogo, di una comprensione reciproca, in vista di mobilitazioni e azioni comuni. Se non cogliamo l’interconnessione delle lotte (ecologismo, femminismo, diritti del lavoro per tutte/i indipendentemente dal colore della pelle e dalla provenienza geografica, critica dell’autoritarismo e dell’uso ideologico dello stato di emergenza, difesa di una medicina integrale e nonviolenta, promozione di una vera democrazia cognitiva), accettando che ciascuno di noi vede dalla sua prospettiva solo un tassello del mosaico, rischiamo di moltiplicare una rabbia sterile, che cristallizza identità infelici e non smuove di un millimetro la situazione. Alle ultime elezioni, non solo per l’oscuramento mediatico dei partiti antisistema (comunque rilevante), abbiamo visto come il malessere di milioni di persone colpite da norme irrazionali e feroci, non ha dato alcun risultato degno di nota. Siamo proprio sicuri di aver bisogno di frazionare le battaglie di civiltà che ci aspettano, e che riguardano la fuoriuscita graduale dal tecno-capitalismo, bollando una parte dei possibili compagni di viaggio come traditori, infami, complici, collaborazionisti oppure “feccia no-vax”, egoisti cronici, irrazionalisti e “antiscienza”?
Secondo me la lucidità da conservare oggi è quella di chi, avendo compreso l’accelerazione della crisi sistemica in cui stiamo precipitando, si impegna a tenere uniti i fili, a promuovere ascolto e insorgenza comune, senza mai cedere alla tentazione apocalittica di chiudersi in microcomunità di “illuminati”, bambini e adulti indaco in attesa della fine del mondo. Abbiamo bisogno gli uni degli altri.
Che poi tutta la faccenda fosse una questione politica e non medica era già chiaro due mesi dopo l'inizio ufficiale della psico-pandemia, almeno per chi la voleva vedere.