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sinistra

Lettere dal Sahel II

di Mauro Armanino

 

Il padre di Cassandra e l’amico calciatore

Niamey, 13 novembre 2022. Era un nome che gli piaceva e allora suo padre l’ha chiamata Cassandra che, nella mitologia greca, era una temibile veggente mai ascoltata. Era nata in Tunisia dove prima il padre e poi la madre, entrambi della Costa d’Avorio, avevano migrato con l’idea di raggiungere l’Italia. Suo padre, cantante di professione, era partito in aereo fino a Tunisi e poi, nell’attesa di imbarcarsi, lavorava cantando da manovale nei cantieri della città. Sua moglie l’ha raggiunto con un amico e assieme, dopo la nascita della bimba, hanno più volte tentato il mare. Una sola volta sono stati riportati a terra dalla guardia costiera tunisina. Avevano speso all’incirca 1. 200 euro a persona mentre il posto per Cassandra era gratis. Le altre volte i ‘passeurs’ sono scomparsi coi soldi o le cose andavano storte. Così, visti i ripetuti fallimenti, hanno scelto di contattare l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, OIM, onde tornare al Paese di partenza, la Costa d’Avorio.

Partono quasi subito la madre e la piccola Cassandra che aveva visto giusto fin dall’inizio e, parlando come poteva, consigliava di tornare a casa perché il viaggio non sarebbe andato bene. L’amico del padre, pure lui ivoriano, lavorava in campagna come contadino, coltivando legumi e giocando a calcio i fine settimana. Gli dicevano che era bravo e lui, di nome Aimé, si è fatto confezionare un nuovo documento di identità e ha raggiunto la Tunisia. Si vedeva ad occhio nudo che la sua data di nascita e il volto piuttosto adulto che indossava non coincidevano affatto. Sapeva per sentito dire che le squadre in Europa ingaggiano solo i giovani. Comunque sia, assieme alla piccola Cassandra e i suoi genitori, hanno tentato, fallendo, la traversata del Mediterraneo. Anche lui dunque, Amato com’è, pensa che sia l’ora di tornare al suo Paese.

Aimé e l’amico Nicaise, padre di Cassandra, si stancano di attendere i tempi biblici per il rimpatrio firmato OIM e partono per l’Algeria pensando che in questo Paese le procedure di rimpatrio siano più celeri. Dopo essere stati espulsi una volta dall’Algeria vi ritornano e si accorgono che la tempistica dell’istituzione per i migranti è la stessa dappertutto. Dopo qualche settimana vengono a sapere che, ad Algeri, esiste un’associazione che aiuta i migranti al rimpatrio assistito. Iniziano il viaggio di ritorno via deserto e il camion che li trasporta accusa due guasti. Entrambi, unanimemente, assicurano che solo Dio, inspiegabilmente ha messo in moto il motore che si è definitivamente fermato non appena raggiunta Assamaka, la città di frontiera con Niger. Per raggiungere Arlit e poi Agadez hanno pregato i conducenti e venduto il paio di scarpe nuove che avevano custodito nel bagaglio. Prima di arrivare a Niamey, la capitale, ad un posto di blocco i poliziotti hanno esatto quanto rimaneva loro in tasca: 75 centesimi di euro.

Prima di partire il papà di Cassandra assicura che, appenatornato, cambierà il nome di sua figlia.

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Sulle ceneri della giustizia nel Sahel

Niamey, 20 novembre 2022, Festa di Cristo Re. L’anno era appena iniziato a Niamey e nel resto del Sahel quando, verso le 4 del mattino di quel martedì, le fiamme hanno invaso i locali del ministèro nigerino della giustizia. Gli archivi e le pratiche giudiziarie in istanza, tutto si è tramutato in cenere. Proprio come la giustizia di cui il palazzo, da allora decentralizzato presso lo stadio Seyni Kountché, coi muri anneriti dal fumo, era il simbolo. Siamo nel ‘lontano’ 2012 e pochi, a quanto sembra, ricordano il risultato dell’inchiesta che aveva attribuito il sinistro al solito ‘corto circuito’. Lo stesso avvenne col ‘ Piccolo Mercato’ della capitale Niamey, a tutt’oggi desolatamente abbandonato. Le ceneri della giustizia, da allora, hanno proseguito il loro corso senza soluzione di continuità nella società intera e nei Paesi circonvicini. Una giustizia di ceneri o le ceneri della giustizia!

Com’è noto e non solo nel Sahel, dove lo stato esiste saltuariamente specie alle aree periferie del Paese, la giustizia è di norma selettiva. Nelle 43 prigioni di stato la quasi totalità degli ospiti sono membri delle classi subalterne e tutti sanno che senza un sufficiente ‘bagaglio’ economico di supporto, le pratiche rischiano di trasformarsi a loro volta in polvere. La selettività della giustizia bene si accorda con il suo ruolo ‘ancellare’ nei confronti del potere. Sembra difficilmente immaginabile, per il cittadino qualunque, l’applicazione di una giustizia uguale per tutti quando non tutti sono uguali per la legge. Vuoi per il censo vuoi per la vicinanza o meno dalla classe al potere, rimane assodato che la bilancia, simbolo della giustizia imparziale, non sia che una vecchia favola. Lo ricordava George Orwell nel suo romanzo ‘La fattoria degli animali’ che alcuni degli animali della fattoria sono più ‘uguali degli altri’.

Data di appena qualche giorno, invece, la cerimonia ufficiale per l’inizio del nuovo anno giudiziario che si è tenuta in un luogo altamente simbolico, il Centro delle Conferenze Mahatma Gandhi di Niamey. Il presidente della Repubblica, primo magistrato, ha ricordato all’uditorio che ‘nell’esercizio delle loro funzioni, i magistrati sono indipendenti e non sono sottomessi che all’autorità della legge’. Un’affermazione che coglie l’essenziale del tema scelto per quest’anno giudiziario: ‘ Ruolo della giustizia nella costruzione dello Stato di diritto’. Il presidente ha poi aggiunto che... ’ il giudice è imparziale e il suo giudizio deve essere lo stesso nel caso di amici o nemici, di potenti o di deboli, di ricchi o di poveri… tutti dovrebbero essere trattati allo stesso modo malgrado le conseguenze’. Sono parole, naturalmente, scritte sulla sabbia che tutto memorizza e poi cancella con la stessa facilità a seconda degli interlocutori.

L’intervento dei pompieri e di altri agenti aveva permesso di circoscrivere il fuoco dopo oltre 4 ore di lotta. L’edificio del ministero delle giustizia sinistrato, situato nella zona dei ministeri del centro città della capitale, datava dell’epoca della colonizzazione che ha lasciato anch’essa nel Paese ceneri fumanti. L’esito dell’inchiesta era invece scontato. Anche per questo il presidente, nel sua allocuzione, affermava solennemente l’addio della giustizia alla corruzione e concludeva in modo salomonico dicendo che...’ non c’è un giudice per il potere che lo ha nominato ma un giudice al servizio della giustizia’. In genere, da questa parte del mondo le elezioni presidenziali, per questo motivo, sono un banco di prova fatale e le Commissioni Nazionali Indipendenti si caratterizzano, in genere, per sancire la vittoria di chi governa.

Anch’esse, com’è noto, scrivono volentieri i risultati sulla sabbia.

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La sovranità perduta (e ritrovata) nel Sahel

Niamey, 27 novembre 2022. Noi, popolo nigerino sovrano, deciso a consolidare quanto acquisito nella Repubblica e l’indipendenza nazionale...Inizia con queste parole il preambolo dell’ultima Costituzione della settima Repubblica del Niger,rivista e corretta dopo l’ultimo colpo di stato militare del 2010. All’articolo 4 della stessa si ricorda che...’ La sovranità nazionale appartiene al Popolo’ (maiuscolo nel testo). Già, la sovranità, parola che conserva un fascino particolare nel nostro immaginario socio-politico. Essa deriva da ‘sovrano’, latino medioevale che indica qualcuno che si trova al di sopra e dunque designa l’esercizio del potere su un luogo e persone determinate. I suoi sinonimi, poi, non lasciano adito al dubbio...’autorità, dominazione, impero, padronanza, superiorità, supremazia, onnipotenza’...Parlare di sovranità esprime dunque la capacità di decidere che fare della propria storia, personale e collettiva e cioè come autodeterminarsi.

Se questo è vero allora sovranità e dignità camminano assieme come sorelle e, come ricordava lo scrittore Charles Péguy a proposito della piccola speranza, c’è la terza delle sorelle, la più piccola che le tira entrambe. Nel nostro caso la sorella minore, porta il nome di libertà. Essa conduce le due altre sorelle per mano, tirandole a volte dalla sua parte, giocando se occorre e strattonandole quando le due sembrano stancarsi di camminare. In vari Paesi del Sahel, infatti, la sovranità e la dignità sono entrambe orfane della libertà. La sovranità appare soprattutto tradita dagli intelletuali di regime che hanno preferito sedersi alla mensa dei potenti invece che sostare con l’indigenza dei poveri, di cui hanno dimenticato l’origine. Hanno svuotato le parole del loro senso e verità, prostituendole per un’effimera fama che il vento del deserto spazzerà via in fretta. Di loro non resterà nulla per le nuove generazioni che attendevano parole di speranza.

La sovranità venduta è quella dei politici che hanno dilapidato, dall’epoca delle indipendenze degli anni ‘60 fino ai nostri giorni, il patrimonio di lotte, ideali e fermenti di un mondo differente ereditato dall’anelito alla libertà. Figli del sistema, hanno assimilato e interiorizzato lo stile coloniale di potere per il quale governare significa dividere, accumulare ed espropriare quanto di più sacro c’è al mondo: la giustizia. Si perpetuano grazie alla complicità e alla passività del popolo che comprano e svendono al miglior offerente del mercato globale. La sovranità confiscata, invece, è opera dei fabbricanti d’armi e gli imprenditori della violenza che si avvale dell’ingiustizia. Essi la usano per trafficare mercanzia pregiata e si circondano di ideologie religiose per giustificare e infliggere la sofferenza e la morte ai poveri, abbandonati alla loro sventura dallo Stato.

La sovranità ritrovata, invece, è quella che i migranti generano grazie alle frontiere dalle quali sono attraversati. Le regalano a chi sa accoglierla come un dono prezioso. Quel giorno si farà una grande festa di nozze per tutte le donne dimenticate dalla storia.

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Qui i nostri sogni sono stretti

Niamey 4 dicembre 2022. Lo cantava, in tempi non sospetti, il compositore francese Jean-Jacques Goldman assieme alla cantante di origine britannica Sirima, poi deceduta. L’album esce nel lontano 1987. Da allora i sogni di tanti sono stati trafugati, normalizzati e tradotti in prodotti commerciali ecologico-compatibili col sistema. Altrove, cantavano in coppia i due artisti traducendo il francese LA- BAS, lontano dall’altra parte perché, da quest’altra i sogni sono diventati stretti come non mai. Ormai ‘Stretti’ i sogni perché è tutto l’impianto dell’immaginario simbolico a essere stato manipolato dall’ignavia e complicità del ceto intellettuale, politico e dai comuni cittadini in via di sparizione.

Qui è già tutto deciso prima e non si può cambiare. Tutto dipende dalla tua nascita e io non sono nato nel posto giusto’, continua così la canzone di Goldman che ripete come una litania infinita … ed è per questo che partirà altrove. Il giornale non allineato di Niamey ‘ L’investigatore’ del primo dicembre scorso, riportando il brano citato del cantautore francese, ricorda nell’editoriale il ‘diritto alla rivolta’. Il direttore si riferisce ai migranti e rifugiati che cercano altrove i sogni smarriti nella propria terra e sottolinea la patetica resistenza alla mobilità delle persone. Nulla, afferma l’editoriale, potrà fermare l’Esodo dei tempi moderni.

Da questa parte del mondo li chiamavano proprio così, ‘esodanti’, coloro che rischiano e non raramente perdono la vita per cercare altrove ciò che pensano essere stato rubato o smarrito a casa propria. Un nome impegnativo e ricco di storia perché narra, nell’Esodo, il transito da una terra di schiavitù a una terra nuova, dove scorre, secondo le stagioni, latte, miele e dignità. Né le leggi restrittive, ricorda ancora l’editoriale citato, né i fili spinati, né i muri, né le forze dell’ordine, né le condizioni ambientali ostili, potranno fermare o ridurre il desiderio dei candidati all’esilio. In effetti, tra ‘esodo’ e ‘esilio’ c’è sempre un deserto, un mare e frontiere da attraversare. L’esodo è un transito precario mentre l’esilio è una condizione perenne di vita.

Altrove, occorre del cuore e del coraggio, ma tutto è possibile alla mia età … se hai la forza e la fede’, continua così la canzone di Jean-Jacques, tutto è detto perché tocca, in modo trasversale ciò in cui consiste il diritto alla rivolta. La dichiarazione universale dei diritti umani data del 10 dicembre del ’48. L’elenco dei diritti è patrimonio comune dell’umanità e a questi dovremmo aggiungere ciò che affermava la Costituzione francese del 1793 all’articolo 35… ‘Quando il Governo viola i diritti del popolo, l’insurrezione è per il popolo e per ciascuna parte del popolo il più sacro dei diritti e il più indispensabile dei doveri’ .

Tra il 2013 e il 2018, secondo l’ineffabile Organizzazione Internazionale delle Migrazioni, il numero dei decessi dei migranti, specie nel deserto del Sahara, è stimato a 6.615 persone. Sono migliaia di rivolte che, sommate ai decessi nei mari, sulle montagne e sulle varie frontiere del mondo globalizzato, formano un corteo infinito di sogni seminati nel vento e portati,in esilio, a germogliare.

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