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Xi Jinping nel Golfo, cambia l’equilibrio del mondo

di Claudio Conti

Nel silenzio assoluto dei media occidentali – quelli italiani non fanno più informazione da anni – oggi Xi Jinping è in visita di Stato in Arabia Saudita e ci resterà fino al 10 dicembre.

In contemporanea o quasi si sta tenendo il primo vertice tra Cina e Stati Arabi. Per capirne l’importanza l’agenzia Xihnua ricorda che a Doha, capitale del Qatar, lo scintillante Lusail Stadium, dove è in corso la Coppa del Mondo FIFA 2022, è stato progettato e costruito congiuntamente da Cina e Qatar.

Nelle strade del Paese 3.000 autobus ecologici di fabbricazione cinese garantiscono “un trasporto ecologico per l’evento e un’esperienza di viaggio ecologica per i tifosi di tutto il mondo”.

E’ ovviamente inutile e persino un po’ stupido mettersi ad ironizzare sull’”impegno ecologico” di uno Stato (come di altri paesi del Golfo) che vive di esportazione di gas e petrolio. Quel che sta accadendo in queste ore è un passo avanti radicale nella rottura dell’egemonia statunitense e occidentale sul pianeta.

Lo sviluppo delle relazioni con Pechino cambia infatti la collocazione di questi paesi nello scacchiere internazionale. E se qualcuno ha dimenticato – o sottovalutato – il ruolo dei petrodollari nella trasformazione della finanza internazionale in una “industria” a se stante, prevalente sulla stessa produzione industriale (nei paesi del “centro” imperialista), beh… continui a restare nella sua ignoranza e a sorprendersi per il mondo che ad un certo punto gli apparirà davanti.

Ricorda sempre l’agenzia di stampa cine se che “Nel 2016, con la visita di Xi in Arabia Saudita, la cooperazione reciprocamente vantaggiosa tra Cina e Arabia Saudita ha dato ricchi frutti, con un volume di scambi bidirezionali che ha raggiunto gli 87,31 miliardi di dollari nel 2021, con un aumento del 30,1% rispetto all’anno precedente. In una regione più ampia, il volume degli scambi commerciali della Cina con gli Stati arabi si è attestato a circa 330 miliardi di dollari nel 2021, con un aumento del 37% rispetto all’anno precedente.”

Ma non si tratta solo di numeri in crescita esponenziale. Al centro c’è ovviamente il petrolio, la sua estrazione, la sua commercializzazione… e l’uso della moneta negli scambi internazionali del greggio.

Fin qui il petrolio del Golfo è stato prezzato esclusivamente in dollari. Uno degli obiettivi del vertice che si apre oggi è quello di introdurre l’uso dello yuan almeno per quanto riguarda le forniture in direzione Pechino.

Mettendo così in discussione l’impero del dollaro…

Una decisione del genere si porta dietro, ovviamente, una marea di transazioni finanziarie che avverranno al di fuori del sistema Swift e quindi fuori del controllo diretto del governo degli Stati Uniti. Solo per ricordarlo, quel sistema è anche il mezzo tecnico fondamentale che rende possibile all’Occidente neoliberista (in realtà alla sola Casa Bianca) di stabilire “sanzioni” nei confronti di chi diventa un “nemico”, e di renderle effettive.

Che una parte rilevante dei proventi del petrolio – la Cina è diventata il primo consumatore globale e il principale importatore – venga gestita e fatta circolare su circuiti alternativi è un radicale cambiamento di scenario globale, sul piano finanziario e di lì su tutti gli altri.

Non è un fulmine a ciel sereno. Già da anni i progetti comuni sino-arabi si vanno sviluppando senza contrasti. Dal 2016 la Yanbu Aramco Sinopec Refining Company (YASREF), fondata congiuntamente da Saudi Aramco e China Petrochemical Corporation, testimonia “della cooperazione tecnologica, commerciale e di investimento tra Arabia Saudita e Cina ed è diventata uno dei progetti meglio gestiti della regione.”

A circa 1.500 km di distanza,al Cairo, è in funzione da quasi un anno e mezzo il primo sistema di transito ferroviario leggero elettrificato (LRT) dell’Egitto, costruito congiuntamente da aziende cinesi ed egiziane.

Questi ed altre decine di progetti, nella politica cinese fondata sull’”approccio win-win” (reciproco vantaggio tra i contraenti, anziché sulle pratiche neocoloniali euroatlantiche), sono “esempi di cooperazione Cina-Arabia nell’ambito della Belt and Road Initiative (BRI)”.

È importante che la Cina metta a disposizione la sua esperienza nello sviluppo di infrastrutture nel mondo arabo nei porti e nei trasporti internazionali che collegano la regione araba con il mondo, contribuendo a far sì che la regione araba recuperi il suo status di collegamento tra Asia, Europa e Africa“, ha dichiarato Samer Khair Ahmed, saggista giordano ed esperto di relazioni arabo-cinesi.

Ad oggi, la Cina ha firmato accordi di cooperazione BRI con 20 Stati arabi e la Lega Araba (AL). Le due parti hanno realizzato più di 200 progetti di cooperazione su larga scala nei settori dell’energia, delle infrastrutture e in altri campi, “a beneficio di quasi 2 miliardi di persone da entrambe le parti“.

Per combattere la pandemia, la Cina ha inviato esperti medici e vaccini e ha condiviso esperienze cliniche con i Paesi più bisognosi. In Egitto, Algeria ed Emirati Arabi Uniti, la Cina ha aiutato a localizzare la produzione di vaccini per soddisfare la crescente domanda locale.

La Cina è disposta a lavorare con i Paesi arabi per rafforzare il sostegno reciproco e ampliare la cooperazione in uno sforzo congiunto per costruire una comunità arabo-cinese con un futuro condiviso per la nuova era, in modo da creare un futuro luminoso per le relazioni arabo-cinesi e contribuire alla pace e allo sviluppo del mondo“, ha del resto dichiarato Xi poco più di un mese fa.

E anche nell’Iraq devastato da ben due invasioni statunitensi (1991 e 2003), dove la “ricostruzione” non è mai iniziata, si fa strada velocemente la cooperazione con Pechino.

Il mio sogno è trasferire in Iraq ciò che ho imparato dalla Cina e trasformare i deserti in oasi“, spiega Sarmad Kamil Ali, vice capo ingegnere agricolo dell’Ente statale iracheno per la lotta alla desertificazione, che dal 2013 è stato in Cina per imparare a controllare la sabbia e salvaguardare le aree destinate all’agricoltura in Mesopotamia.

Qui non se ne parla, ma da anni Pechino ha promosso l’Iniziativa globale per lo sviluppo (Gdi), che comprende centinaia di progetti variamente orientati a raggiungere gli obiettivi di emissioni inquinanti fissati in ben più pubblicizzati vertici Cop.

A ottobre, più di 100 Paesi, tra cui 17 Stati arabi, e organizzazioni internazionali hanno espresso il loro sostegno al GDI e più di 60 Paesi, tra cui 12 Stati arabi, hanno aderito al Gruppo degli Amici del GDI. Non proprio una mossa irrilevante, no?

E’ la faccia meno conosciuta della politica internazionale cinese, basata su un principio in fondo semplice e razionale: “la chiave per affrontare i problemi più spinosi è accelerare lo sviluppo”. Il bisogno e la miseria accorciano l’orizzonte, privano dei mezzi e delle tecnologia per risolvere i problemi, creano “caos e guerra”.

Non è difficile capire perché sempre più paesi – anche quelli con regimi orrendi, come le monarchie petrolifere – preferiscano ora “diversificare” le proprie relazioni economiche e diplomatiche, riducendo oggettivamente la propria dipendenza dagli umori imprevedibili di Washington & co.

Samer Khair Ahmed, saggista giordano esperto si relazioni cino-arabe, sintetizza così la situazione (certo, con una retorica piuttosto propagandistica): “Gli Stati arabi, che hanno sofferto per l’imperialismo che ha ostacolato il loro processo di sviluppo nonostante la disponibilità di risorse, vogliono dimostrare di avere percorsi politici indipendenti e privi di influenze esterne secolari, e vogliono espandere realmente la loro cooperazione economica con i Paesi più importanti, come la Cina”.

Questa è un’opportunità storica per gli arabi e devono coglierla“.

Il problema è che questa “opportunità” contribuisce a cambiare drasticamente la struttura che ha dato agli Stati Uniti il dominio assoluto fin dal 1974. Quando Nixon – che aveva già “svincolato” il dollaro dall’oro, trasformando la moneta Usa in una moneta fiattramite l’accordo con i Saud dirottò i proventi del petrolio arabo nella finanza stelle-e-strisce.

Un altro dei pilastri fondamentali dell’unilateralismo Usa traballa. La reazione è certa, le forme in cui avverrà sono al momento imprevedibili. Ma di certo non saranno rose e fiori…

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Franco Trondoli
Tuesday, 13 December 2022 14:31
L'errore degli Occidentali "critici" è quello di sperare o credere che da altre parti del mondo possano venire modi di vivere e produrre migliori e diversi da quelli Occidentali vigenti.
No, non sarà così. Tutte le relazioni umane in qualunque parte del Mondo sono dominate dai movimenti della Merce e dai suoi Valori.
Mercato, Denaro, Lavoro Salariato (dove resta), Potere (enorme sfera specifica da declinare ed " impastare" continuamente con i valori economici.
Gli Occidentali rischiano fortemente, "rinunciando ai propri valori critici", di gettare via il bambino con l'acqua sporca. Probabilmente lo hanno già fatto.
Favoriremo dei peggiori di "noi" !?.
Cordiali Saluti
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