Print Friendly, PDF & Email

pierluigifaganfacebook

Nulla di umano mi è estraneo*

di Pierluigi Fagan

Dopo il volume di aggiornamento sugli studi sugli Indoeuropei di H. Haarmann che abbiamo recensito nel precedente post, passeremo ad un secondo, sempre dello stesso Autore, su casi archeologici o protociviltà che non fanno parte della nostra immagine di mondo mediamente condivisa. Ma prima, vorremmo metterci questo post di riflessione metodologica che citerà alcuni casi trattati anche da Haarmann in “Culture dimenticate” senza però approfondire in termini di recensione specifica. A chi scrive, questi argomenti interessano per svariati motivi, ne cito tre. Il primo è inerente un lungo studio su come e perché si sono formate le prime forme di gerarchia sociale. Tratteremo casi importanti in merito nel prossimo post. Il secondo è di pura ricerca sull’umano (da cui il titolo del post) ovvero verificare i vari nostri modi di essere e reagire nella realtà, dentro le forme di vita associata, nel lungo tempo. Nella “ricerca delle origini”, noi restringiamo lo spazio (all’Europa-Mesopotamia-Egitto, in genere) ed il tempo (gli ultimi duemilacinquecento anni o il doppio in casi di erudizione più sofisticata), poi sintetizziamo una narrazione coerente in sé ma soprattutto con quella attuale più generale che governa la nostra immagine di mondo (e società) contemporanea e proiettiamo il tutto ad universale.

La cosa ha del ridicolo ma pochi se ne rendono conto. Un buon antidoto è proprio quello di allargare l’inquadratura spazio-temporale. Accennavo nel post precedente ai limiti logici e poi culturali imposti nella credenza letterale della Bibbia riguardo il tempo della storia. Nel suo libricino, H. racconta di come uno sceicco salafita del parlamento del Bahrein abbia proposto di cementificare le rovine e gli scavi che cercano di riportare alla luce la mitica Dilmun per costruirci sopra nuovi palazzi per i “probi musulmani”. Non che manchi lo spazio se proprio si volesse fare legittima edilizia popolare, ce l’ha proprio con gli scavi. Dilmun (III millennio a.C.) sarebbe la cultura-città antico porto commerciale di collegamento tra le civiltà mesopotamiche e quella vallinda e non solo ma, per varie ragioni, sarebbe anche nella trasfigurazione mitica, la sede di quello che si narrava in antichità essere il c.d. “paradiso terrestre”, luogo di vita molto facile, abbondanza, convivenza naturale di grande equilibrio, condizioni naturali che probabilmente si verificarono lì prima del 5000 a.C. . Già questo è interessante ovvero come gli antichi reputassero l’avvento delle forme di civiltà come un “paradiso perduto” mentre per noi è un salto nella scala del progresso. Tanti studi hanno poi cercato di confermare questa storia come emancipazione umana da condizioni terribilmente primitive, ma sembra che così non la pensassero i contemporanei. Se la prima posizione la possiamo definire attinente ai fatti anche perché espressa ampiamente al tempo dei fatti stessi o poco dopo (questa storia del “si stava molto meglio prima” è variamente presente in molte mitologie antiche, tra cui la Genesi 3,14-19), la seconda che si presenta dal XIX secolo, è intrisa di ideologia espressa lontano dai fatti. È lì, lontano dai fatti che le ideologie trasfigurano i fatti ed è quindi lì che occorre fare del lavoro di ripristino della storia cercando di seguire appunto i fatti e sospendere le valutazioni, cosa che dato il ruolo ideologico delle IDM, ci viene sempre molto difficile. Noi siamo ancora tutti dentro questa narrazione del progresso e manchiamo di sguardo obiettivo che problematizzi la storia profonda senza giudicarla o almeno evitando che i giudizi influiscano su come accertiamo o meno i fatti. S. Freud scrisse “Il disagio della civiltà” nel ’29, ma la sua riflessione è rimasta un binario morto. Il testo, alla sua uscita, al suo tempo, ebbe come titolo prima “L’infelicità nella civiltà”, poi “Civiltà e le sue insoddisfazioni”. Forse molte nostre dicotomie quali “individuo-gruppo”, “libertà-(auto)costrizione”, “comunità-cosmopolitismo”, il ruolo degli ordinatori nell’organizzare la vita associata e la nascita delle élite che li governano, per non parlare di vasti tipi di nevrosi tra cui quelle sessuali, ci sembrerebbero meno dicotomiche ovvero poli alternativi e più ineliminabili compresenze, bilanci complessi di ciò che abbiamo perso ed acquisito in questi passaggi della storia. Conoscere di più e meglio queste composizioni contradditorie forse ci aiuterebbe non a risolverle (presunzione magica ed infantile) ma a governarle almeno un po’ meglio. Sicuramente ci aiuterebbe ad accettare il fatto che il vivere in grandi società impersonali non è destinato di per sé ad una sua “armonia naturale”, ma a “contraddizioni naturali” che bisognerebbe conoscere per meglio gestirle. Tornando all’orrore provato dall’estremismo politico islamista per il passato profondo, dalle statue di Bamyan fatta saltare in aria nel 2001, ai saccheggi e distruzioni sistematiche dei musei dell’Iraq durante la guerra, sequestri ed uccisioni di direttori di musei ed anche attacchi ISIS alla vecchia Palmira che a vari tipi di salafiti scocci si sappia che c’è stata una lunga storia anche prima di Muhammad, è noto ed accertato. Oltretutto, riguardo Palmira, non c’è solo “civiltà prima di Muhammad”, ma c’è un vero e proprio mito di emancipazione proto-araba, la regina Zenobia. Più bella di Cleopatra, carismatica, antimperialista (capeggiò una lunga resistenza contro Roma), guerriera essa stessa ma colta (creò una corte di filosofi e scienziati che molto ruolo ebbero nella continuazione e trasmissione del neoplatonismo), tollerante in religione, la “regina del deserto” è un modello decisamente antitetico la narrazione islamica ed è solo cinque secoli circa prima di Muhammad. Anche I cristiani, non meno degli ebrei che da sempre rappresentano una sorta di “élite narrativa” della coscienza occidentale, hanno manipolato il passato in vari modi, spesso più sofisticati, ma a volte non meno rozzi e brutali. Il semplice recupero del passato fu il primo vagito ribelle dell’Umanesimo, poi Rinascimento, la riconcorsa indietro per poi spiccare il salto verso il moderno lasciandosi il Medioevo alle spalle. “Un altro mondo è possibile” è ancora più credibile se si trovano testimonianze che in effetti “fu” possibile in altri tempi e luoghi. Anche l’attuale dominio della società di mercato ha ostracizzato il semplice studio della storia economica, magari si scopre che il “libero mercato” c’è stato sì ma solo per un ventennio e passa a cavallo tra XIX e XX secolo, in realtà non ha portato affatto crescita economica ma molti problemi a chi effettivamente credette a questo invito ad aprirsi alla potenza economica dominante ovvero la Gran Bretagna, (vedi caso dell’impero ottomano) a cui poi è seguita la Prima guerra mondiale (P. Bairoch). Caso o causazione, chissà? Insomma, la prima domanda della ricerca antropo-storica ovvero il fatidico “chi siamo?”, porta a ricercare lì dove molti che impongono la risposta fondativa il loro sistema di credenza e non vogliono si metta il naso, disposti anche a tagliartelo. Mi pare un ottimo motivo per mettercelo. Questo aspetto attiene a quello che possiamo chiamare “storia culturale” e ne fa parte non solo gli appetiti dei grandi sistemi di credenza ma anche quelli politici o geopolitici. Si potrebbero scrivere pagine e pagine sulla longeva egemonia della paleoantropologia francese negli studi sul paleolitico inferiore (da 45.000 a.C. in poi) e di come abbia condizionato la nostra percezione di chi e cosa eravamo ai tempi (ovvero se non si danno gli umani del sud della Francia come universali ma locali); la rigida censura britannica in Rodesia a negare che le mura ciclopiche dello Zimbawe fossero state costruite da indigeni, piuttosto che le intromissioni del governo indiano negli scavi sui resti della civiltà della valle dell’Indo o i cinesi che scoprono un giorno sì e l’altro pure specie intermedie tutte loro tra Homo erectus e sapiens perché non sono convinti che anche loro discendono dagli africani. Insomma, questa è tutta materia per costruire “immagini di mondo”, materiale eminentemente “politico”, forse il più politico in assoluto. Non perché come molti credono, la narrazione culturale viene dopo i fatti duri ma perché quelli stessi fatti duri non si sarebbero prodotti senza il controllo e gestione di determinate immagini di mondo. Ed a proposito di “immagini di mondo” vengo al terzo motivo del mio interesse. Mi interessa come lavora questo vasto campo di studi, i metodi che usa, i paradigmi che si autoimpone e poi è costretto a superare di continuo poiché più si va avanti nella ricerca del passato, più si apre l’immenso oceano della nostra ignoranza che mostra il ridicolo di nostri precedenti assunti. Come già più volte detto, “è sempre tutto più antico di quanto credessimo”, questa è la costante delle ricerche degli ultimi trenta anni ed oltre. Se certe cose, certi nostri caratteri o comportamenti o facoltà, sono così longevi, se cioè non è l’innovazione genetica che ha cambiato certi comportamenti, cosa altro ha agito? Qual è il “complesso di cause”? Cito due casi paradigmatici recenti: la ricerca archeobotanica con quella ecologico-climatica e quella della genetica delle popolazioni. Questi strumenti di analisi ed interpretazione non esistevano trenta anni fa o anche meno, ma da quando li applichiamo, la “storia” prende una tridimensionalità che sembra mostrarci più nitidamente cosa era la “vita di allora”. Quanto e cosa abbiamo pensato e scritto quando tutto ciò ci era ignoto? Quante certezze presunte hanno condizionato l’interpretazione? Cosa cambia oggi che sappiamo molte più cose? Quanta resistenza notiamo nell’accettare questi cambi di paradigma a cui cattedratici, accademici, interessi di poteri vari resistono strenuamente negando l’evidenza pur di mantenere in vita le teorie su cui hanno fondato una carriera? La cosa è istruttiva più in generale nello studio della sociologia delle immagini di mondo, vale nelle singole discipline, nelle varie teorie dall’economia alla politica passando per scienze umane e bio-fisico-chimiche, nella forma complessiva della nostra conoscenza. È quindi istruttiva in gnoseologia ovvero come conosciamo le cose. Se, partendo da una disciplina che abbiamo scelto a caso iscrivendoci all’università, si debba ritener questa esser questa la chiave interpretativa di cose molto complesse a molte più variabili e dinamiche di quelle previste in quella disciplina piuttosto che una sua ideologia specifica o se per “metodo” la riforma del moderno che ormai abbiamo alle spalle, debba prevedere una profonda riflessione sugli studi multi-inter-transdisciplinari. Come scegliamo gli occhiali per vedere il mondo? Molti dei casi riportati da H. sono fuori dell’immagine di mondo spesso proprio per questo motivo, quello che il teorico del paradigma, Thomas Khun (La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Einaudi, 1979 e seguenti), chiamava “fatti fuori teoria”. Questo lavoro di rilettura e reinterpretazione si mostra oggi particolarmente importante. Sia perché ormai di “fatti fuori teoria” in questo vasto campo di studi ne abbiamo accumulati parecchi e sarebbe ora di seppellire ed archiviare i principi di grande parte della nostra immagine di mondo settata su cose del XIX secolo che condizionano l’interpretazione, sia perché dobbiamo liberare nuove condizioni di pensabilità per riformare l’immagine di mondo stessa, visto che siamo capitati in una profonda transizione piena di discontinuità a cui adattarci. Poiché la nostra prima facoltà adattativa è stata il pensiero, ne consegue importanza ed urgenza della riforma di come pensiamo. [L’immagine mostra la più antica pittura murale umana. Nota da un secolo, poiché stava in un’isola indonesiana s’è pensato avesse meno di 10.000 anni. L’arte e la cultura paleolitica erano cose francesi ed europee, roba di 30.000 anni fa. Poi si sono evolute le tecniche di datazione e s’è scoperto che invece è di 40.000 anni fa. È un tipo di maiale selvatico del luogo. Si noti il fatto che cacciare maiali non è come cacciare grandi renne e mammut, ne viene fuori un altro “stile di vita”. Per non parlare di quelli che vivevano prevalentemente di pesca e le cui vestigia oggi sono sotto l’acqua del mare a cento metri dalla costa perché con la de-glaciazione le acque sono salite seppellendo tutto].

Schermata del 2023 01 14 14 50 59


* Da Publio Terenzio Afro

 

Add comment

Submit