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aldous

Diritti per tutti, o quasi

di Marta Mancini

La protesta del popolo iraniano contro il regime oppressivo dei diritti umani sta suscitando nelle società occidentali sentimenti di solidarietà e di ammirazione per i giovani in rivolta che non temono di rischiare e di sacrificare la vita per riprendersi il paese e costruire un futuro di libertà. Numerose sono le vittime - stando al rapporto di Amnesty International - migliaia le perquisizioni, gli arresti, le torture e le sparizioni. L'Iran non è nuovo alle rivolte che si sono susseguite dal tempo della costituzione della Repubblica Islamica di Khomeini, alternando da lì in poi fasi di turbolenza sociale e di fragile tolleranza con la restaurazione di forme repressive ancora più cupe. In assenza di contronarrazioni, non è facile bucare la cortina propagandistica con la quale l'occidente rappresenta all'opinione pubblica ciò che accade in quella parte di mondo e c'è molto da temere per il popolo iraniano e per le ripercussioni nei già disastrosi dis-equilibri internazionali. Altre rivolte "dal basso" (Serbia, Libia, Tunisia, Iraq, Afghanistan, Siria, Ucraina, per nominarne solo alcune) hanno visto stravolti gli obiettivi di liberazione e di autodeterminazione dei popoli, strumentalizzate da altri contendenti interessati all'accaparramento delle risorse del sottosuolo, al foraggiamento degli apparati militari e all'implosione del "satana" di turno per mire geopolitiche più che all'esportazione della democrazia.

In nome dei diritti dei popoli e della superiorità dell'Occidente, gli insorti sono stati lasciati in condizioni più misere e oppresse di prima, abbandonati al loro destino in territori resi instabili da focolai di conflitti pronti a esplodere in vista della prossima "missione di pace". Forse non sarà proprio questa la sorte dell'Iran che oltre a ingenti giacimenti di petrolio e di gas dispone di armi nucleari e può contare su alleanze ingombranti per l'unilateralismo atlantico. Di contro, secondo alcuni osservatori, l'opposizione interna non sembra coalizzata intorno ad un programma politico o ad un insieme di forze in grado di guidarla per sostituire l'attuale regime. È dunque prudente evitare i facili entusiasmi da pan-occidentalismo per le molte incognite sullo sviluppo di questa rivolta.

Ma poiché nessun dubbio aleggia sulla legittimità e l'autenticità della protesta in atto, gli avvenimenti in Iran rappresentano l'occasione per riflettere sul tema dei diritti nel nostro mondo, affinché dalla partecipazione emotiva alle sofferenze di quella popolazione sia possibile ricavare una comprensione critica sul nostro presente collettivo. In assenza di questo passaggio, scendere nelle piazze, fisiche e virtuali, a fianco delle giovani iraniane rimane un rito di sincera solidarietà umana, destinato però a dissolversi nell'empatia di un momento e nel compiacimento della coscienza di cittadini globali. Secondo Slavoj Žižek la rivolta iraniana al grido di Donna, Vita, Libertà è una lezione al cosiddetto occidente sviluppato per il fatto di aver innescato la mobilitazione di milioni di donne comuni e di uomini, consapevoli che la lotta per i diritti delle donne è anche la lotta per la loro libertà. Žižek è convinto che il popolo iraniano mostri un'apertura e un'inclusività di gran lunga maggiori di quelle vantate in Occidente, proprio nella difesa dei diritti, di cui questo va fiero come segno palese di superiorità. Il filosofo sloveno guarda in particolare al movimento #MeToo, nato dalle femministe delle classi medie e medio-alte statunitensi di orientamento politico liberal e che - aggiungiamo - focalizzato sulla questione di genere ripropone la stessa logica di una sessualità normata non più o non più soltanto dal moralismo delle religioni ma dalla religione del politicamente corretto.

Insomma il binomio sesso-potere mostra tutta la sua attualità di dispositivo di dominio che si manifesta oggi, ad esempio, nel surreale dibattito sul gender. Ciò che nella protesta delle donne iraniane è la miccia che fa esplodere la questione dei diritti umani per un intero popolo, nell'egemonia culturale anglo-americana è espressione della lotta per la supremazia tra gruppi dominanti, mediante la costituzione di ulteriori lobbies e schiere di influencer, meglio se appartenenti all'industria cinematografica, da sempre e da ogni regime considerata il volano pedagogico della diffusione di modelli culturali.

L'altro strumento operativo di pari cogenza, attivo nei periodi di cambiamento della struttura socio-economica, è l'apparato legislativo con il quale si promuove e si accelera la formazione del substrato ideologico della società come condizione indispensabile all'evoluzione capitalistica del sistema. Così è stato ai tempi della rivoluzione industriale quando i lavoratori, emancipati dalla servitù della gleba grazie allo strumento giuridico del contratto di lavoro, sono diventati "liberi" di vendere sul mercato la propria forza lavoro per esserne espropriati. Ma per rimanere in un contesto a noi più vicino nello spazio e nel tempo, basterà ricordare la vicenda del DDL Zan, criticato non solo dai tradizionali avversari ideologici ma perfino da alcune correnti del pensiero femminile e femminista che hanno alle spalle una lunga storia di lotte e conoscono le insidie delle soluzioni tecniche, delle caratterizzazioni identitarie al posto dell'universalizzazione dei diritti, dell’agibilità ad esercitarli al posto dell'obbligo di osservarli. A parte la modestia del disegno di legge, resta il fatto che la sinistra, paladina dei diritti, non ha sentito con altrettanta urgenza il dovere di insorgere contro la loro negazione durante la pandemia, come non ha sentito il dovere di rimanere al fianco dei lavoratori privati ingiustamente del reddito, al fianco degli studenti sacrificati negli anni formativi della loro vita, al fianco dei cittadini dissidenti e di interi settori della scienza che chiedevano di essere ascoltati. Come non vedere la matrice classista e neoliberista che la sinistra sta cavalcando ormai da decenni, imbellettandosi con la retorica della superiorità culturale (e morale) gradita alle élite nella difesa di diritti esclusivi e personalizzati come un bene di lusso?

Dopo l'abbandono dello stato sociale, dopo la cesura dai diritti fondamentali e dalle lotte contro la povertà, quella dei diritti individuali è l'ultima chance che è rimasta a una sinistra di maniera, resa più fragile, adesso, dopo lo smacco del primo presidente del consiglio donna. Di destra.

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