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sinistra

Dal mito di Che Guevara a quello di Steve Jobs

di Patrizio Paolinelli

Ci sono molti motivi per leggere il libro di Marco D’Eramo intitolato “Dominio. La guerra invisibile dei potenti contro i sudditi”, (Feltrinelli, Milano, 252 pagg., 19,00 euro). Mi soffermerò solo su uno: l’incredibile ritirata politico-culturale dell’intellighenzia di sinistra dinanzi alla controffensiva del pensiero neoliberista. Controffensiva lanciata dalla componente più reazionaria del capitalismo USA in risposta movimenti di protesta degli anni ’60 e ’70. Ritirata incredibile perché, come recita il sottotitolo del libro, si è trattato di una guerra di cui la sinistra non si è accorta. Guerra che in estrema sintesi è consistita nella graduale occupazione da parte dei neoliberisti delle principali istituzioni statali, a iniziare dall’università e dalla giustizia, per poi passare a quelle economiche afferenti agli organismi nazionali e internazionali. In poche parole i neoliberisti hanno dato l’assalto al Palazzo d’inverno e si sono presi lo Stato, mentre la sinistra era assai distratta.

Ma la sorpresa più scioccante nella ricostruzione di D’Eramo è come il neoliberismo sia arrivato a conquistare la completa egemonia culturale. Tenetevi forte: c’è riuscito utilizzando idee, tattiche e strategie della sinistra.

Qualche esempio: sin dai loro esordi i neoliberisti fanno proprio il concetto di primato della politica e si nutrono di nozioni quali classe, intellettuali, egemonia, conflitto e altre ancora. Ma reggetevi ancora più forte: comprendono immediatamente l’importanza strategica dell’ideologia per il controllo della società.

Impressionante è l’apertura di “Dominio”. Dove si apprende che in un manuale di antiguerriglia scritto da due generali dei marines USA un ruolo fondamentale è assegnato all’ideologia. Non basta. Le argomentazioni dei due alti ufficiali richiamano, persino nel linguaggio, l’Althusser degli apparati ideologici di stato. Ma cosa c’entrano i marines col marxista Althusser? C’entrano perché entrambi riconoscono l’importanza delle narrazioni ideologiche per spingere gli esseri umani all’azione. E per controllare l’agire di una società facendola passare dal mito di Che Guevara a quello di Steve Jobs i neoliberisti si rendono conto che occorre costruire una grande narrazione. Domanda: Lyotard non conquistò la notorietà internazionale sostenendo che le grandi narrazioni erano morte? Risposta: sì, ma evidentemente si sbagliava. E con lui quelli che a sinistra gli sono andati dietro.

Il neoliberismo è una grande narrazione e i suoi teorici non fanno alcun mistero di produrre idee, racconti, schemi di pensiero, valori, credenze, categorie, linguaggi, immagini dell’uomo e del mondo col preciso scopo di sconfiggere le visioni della vita fondate sulla solidarietà. Non basta. Il modo di organizzarsi dei neoliberisti ricalca per diversi aspetti quello della sinistra: penetrare all’interno delle istituzioni e crearne di parallele: fondazioni, centri studi, istituti culturali, think tank, università private ecc. Mentre il loro modo di muoversi è quello di intellettuali organici al capitale, di veri e propri professionisti della rivoluzione (conservatrice). A ben guardare Gramsci e Lenin hanno fatto scuola tra i loro avversari.

E così mentre la sinistra si lambiccava il cervello sul vocabolario di Heidegger, si lasciava intimidire dalla favola tramonto delle ideologie, si interrogava sull’esistenza o meno delle classi sociali e riponeva in soffitta gli strumenti utilizzati fino al giorno prima per la critica al capitalismo, lo stesso capitalismo li faceva propri mettendo in piedi la più efficiente macchina ideologica che si sia mai vista nella storia della modernità. Mai vista perché ad essa non ci si può opporre, se è vero come è vero che oggi è più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo.

Per chiudere, cos’ha di speciale l’ideologia neoliberista per essere diventata egemone? Di primo acchito verrebbe da dire niente. In realtà è di una miseria inestimabile. Miseria costruita con un diluvio di pubblicazioni essenzialmente fondate su tautologie. Ossia su idee preconcette blindate da dimostrazioni. Come tutti sanno è questo un procedimento antiscientifico perché in tal modo si può dimostrare qualsiasi cosa. Altrettanto debole è l’antropologia su cui poggia l’impalcatura del pensiero neoliberista. E cioè che l’essere umano è un decisore razionale pronto a soppesare in ogni tipo di esperienza i costi e i benefici in vista di un utile. Su questa base si arriva a sostenere che una madre dona affetto ai figli per ricavare un guadagno psicologico; che bisogna guardare ai bambini da adottare con gli stessi occhi con cui si valuta l’acquisto di un frigorifero; e che i disoccupati non esistono perché quando non si lavora è razionale godersi il tempo libero. Dove abbiamo sbagliato per farci sconfiggere da così tanta miseria umana e culturale?

Comments

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Moreno
Wednesday, 01 February 2023 16:17
Ma il pensiero calcolante non è una prerogativa neoliberista. I piani quinquennali di Stalin erano puro pensiero calcolante. Come lo era il pensiero sottostante all'economia di guerra coloniale e neocoloniale dei cosiddetti "trent'anni gloriosi", cioè del cosiddetto welfarestate. Che infatti sarebbe più onesto chiamare WARfarestate. Il "più stato meno mercato" dei trent'anni gloriosi erano il frutto del vantaggio imperialistico, non del fatto che l'essere umano europeo degli anni cinquanta o sessanta avesse una razionalità meno calcolante e più solidaristica di quella dell'essere umano del 2011. Come se, d'altro canto, la solidarietà non si basasse sul calcolo razionale. Ma poi il cosiddetto "neoliberismo" à la Chicago Boys, Tharcher e Reagan, o à la Bin Clinton e Tony Blair, 1) non esiste più da un decennio (il recovery fund o i redditi di cittadinanza non sono Milton Freidman o Hayek) e 2) è criticato da un decennio dagli stessi "centrosinistri" di ogni paese (escludendo renziani): il neoliberismo è criticato da anni perfino dall'FMI. Insomma ci vedo molta demagogia in questo articolo.
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patrizio paolinelli
Thursday, 02 February 2023 14:58
Caro Moreno, ti consiglio vivamente la lettura del libro di D'Eramo, che evidentemente non hai aperto.
Altro consiglio: prima di scrivere, documentarsi bene. cioè studiare (tanto).
cordiali saluti.
Patrizio
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Moreno
Thursday, 02 February 2023 15:23
Caro Patrizio,
Non si può leggere tutto e a volte occorre fare delle scelte. Ma di Marco D'Eramo ho ottimi ricordi (di quando scriveva su IlManifesto). Infatti spero che non sia sua questa banalizzazione, anzi direi riduzione, del cosiddetto "neoliberismo" a complotto della Spectre per manipolare le menti. Spero (per lui più che altro) che Marco D'Eremo nel suo libro faccia dei ragionamenti più complessi.
Per quanto riguarda lo studiare, ci mancherebbe: non si finisce mai di studiare. Non solo per il detto socratico, ma perché è proprio bello in sé.
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Renato
Tuesday, 31 January 2023 19:52
Come ci sono riusciti?

"Oggi, una minaccia rilevante proviene dagli intellettuali e gruppi collegati che asseriscono la loro avversione alla corruzione, al materialismo e all’inefficienza della democrazia, nonché alla subordinazione del sistema di governo democratico al “capitalismo monopolistico”. Lo sviluppo tra gli intellettuali di una “cultura antagonista” ha influenzato studenti, studiosi e mezzi di comunicazione. Gli intellettuali, come dice Schumpeter, sono “persone che esercitano il potere della parola e dello scritto, ed uno dei tratti che li distingue da altre persone che fanno le stesse cose è l’assenza di responsabilità diretta delle questioni pratiche”. In una certa misura, le società industriali avanzate hanno dato origine a uno strato di intellettuali orientati dai valori, i quali spesso si votano a screditare la leadership, a sfidare l’autorità ed a smascherare e negare legittimità ai poteri costituiti, mettendo in atto un comportamento che contrasta con quello del novero pure crescente di intellettuali tecnocratici e orientati alla politica. In un’epoca di grande diffusione dell’istruzione secondaria e universitaria, di invasione dei mezzi di comunicazione di massa e di sostituzione del lavoro manuale con impieghi burocratici e attività professionali, questo sviluppo rappresenta per il sistema democratico una minaccia altrettanto grave, almeno potenzialmente, di quelle poste in passato dai gruppi aristocratici, dai movimenti fascisti e dai partiti comunisti." (La crisi della democrazia - Crozier – Huntington – Watanuk - 1975) *

Con "intellettuali tecnocratici" e "orientati alla politica" ... ecco come.

* https://www.mauronovelli.it/Trilateral%20La-crisi-della-democrazia%201975.pdf
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patrizio paolinelli
Thursday, 02 February 2023 15:28
Caro Renato, questa lunga citazione, intelligente e conservatrice è molto interessante anche perché, pur con un linguaggio complicato, perora la causa liberale. Però mi pare molto marginale rispetto al libro di D'Eramo, che consiglio di leggere.
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