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sinistra

Reificazione

di Salvatore Bravo

La reificazione è la patologica normalità del capitalismo tecnocratico. Il capitalismo è divenuto una forma di “assoluto”, in quanto ha infettato ogni condizione e relazione umana. Si è reificati da sé e dalla comunità, in quanto ci si valuta “come oggetti” d’investimento e nello stesso tempo le relazioni sono investite dalla tempesta del solo valore di scambio. Si è manipolati e si manipola; il valore di scambio si è installato nella profondità razionale ed emotiva di ogni gesto. L’innaturalità di tale postura e la violenza programmata che ne consegue sono parte dei processi di patologizzazione dell’intera comunità: la reificazione è la normalità-patologia non riconosciuta del neoliberismo.

Il mercato è la longa manus finalizzata alla normalizzazione-inclusione dei casi che rischiano di interrompere il “giusto funzionamento” del sistema.

La “reificazione” è una rete che avvolge l’intera sistema ed ha lo scopo di neutralizzare le parole disalienanti: bene, natura, fine oggettivo, giustizia per sostituirle con le parole dell’ordine del discorso: successo, risultato, PIL, piani di investimento, competizione, resilienza ecc.

Come i pesci nell’acqua la reificazione non dev’essere vista, non dev’essere discussa, anzi deve scomparire dall’ordine del discorso. Il termine reificazione con una operazione di cancellazione della cultura critica e comunista è ormai giudicato desueto, è giudicato un residuo del passato.

Lukács coniò il termine reificazione per distinguerlo dall’alienazione la quale nell’Idealismo è un processo che conduce alla libertà. La reificazione nel capitalismo tecnocratico implica la entificazione del soggetto ridotto a semplice spettatore passivo, oggi diremmo a spettatore resiliente. Il termine reificazione deriva dal latino res (al genitivo rei), cioè cosa + facere cioè fare, ovvero "far diventare oggetto". Il termine reificazione indica la passività in ogni aspetto dell’esistenza:

“Come abbiamo visto, finora egli ha applicato il concetto di “cose” o di “cosalità” indifferentemente a tutti i fenomeni che un soggetto può percepire nel suo ambiente, o nella propria persona, come fattori economicamente valorizzabili. Si tratti di oggetti, di altre persone, delle proprie competenze o dei propri sentimenti, secondo Lukács essi vengono comunque percepiti come oggetti, ovvero come cose, non appena sono considerati in base alla loro utilizzabilità nelle transazioni economiche. Ma, naturalmente, questa strategia concettuale è insufficiente a giustificare l’idea della “reificazione” come “seconda natura”, poiché essa si riferisce anche a sfere o dimensioni dell’agire non economiche”1.

La reificazione ha l’obiettivo di rendere il soggetto astratto dal contesto storico: il consumatore seriale figura della normalità patologica del modo di produzione capitalistica è un accumulatore seriale di merci e valori, ma nel contempo è un semplice spettatore delle dinamiche storiche. Non è coinvolto nella storia, in quanto è soggetto della sola quantità, ogni giudizio qualitativo è negato, è neutralizzato dall’attivismo crematistico:

Il soggetto non è più attivamente impegnato nell’interazione con il suo ambiente, ma è invece situato nella prospettiva di un osservatore neutrale, psichicamente o esistenzialmente non coinvolto dagli eventi. Perciò, il concetto di “contemplazione” non indica tanto un atteggiamento di immersione teorica o di concentrazione, quanto piuttosto una disposizione all’osservazione indifferente, passiva, mentre “distacco” significa che il soggetto agente non è più colpito emotivamente da ciò che gli accade attorno, ma lascia che ciò avvenga senza alcun coinvolgimento interiore, appunto limitandosi a osservare”2.

 

Il problema della reificazione

In campo filosofico la reificazione è stata registrata anche da pensatori di area non marxiana e non marxista. Heidegger in Essere e Tempo si è interrogato sulle cause prime della reificazione e le ha ricondotte ad istanze di ordine puramente ontologiche e metafisiche. L’oblio dell’essere ha consentito l’ipertrofia dell’ente. In Heidegger diversamente da Lukács la reificazione non è indagata nella sua genesi sociale. I due autori descrivono due cause diverse dello stesso fenomeno, benché concordino sugli esiti.

Il dibattito sull’origine della reificazione è ormai scomparso, far emergere attraverso il testo di Axel Honneth “Reificazione” l’importanza capitale della reificazione significa rompere il monopolio della filosofia analitica che ha reso la filosofia luogo della neutralizzazione della critica e della prassi. Il dibattito che vi è stato sui processi di reificazione è stato espunto dall’ordine del discorso vigente, in quanto sottopone al tribunale della regione il sistema. La prassi è sostituita dall’attivismo e dall’individualismo proprietario che ha rinunciato alla domanda profonda per accettare fatalmente il presente:

L’intento di criticare la fissazione della filosofia moderna sul dualismo soggetto oggetto costituisce il punto di partenza anche per Heidegger. Come Lukács, anche l’autore di Essere e tempo è convinto che il primato dell’idea di una rappresentazione neutrale della realtà sia responsabile della cecità ontologica che ha impedito un’adeguata comprensione delle strutture dell’esistenza umana. Naturalmente in questo contesto Heidegger non condivide l’ulteriore intenzione di Lukács di ricondurre a sua volta il privilegiamento filosofico dello schema soggetto-oggetto alla forma di vita reificata della società capitalistica. Le considerazioni di teoria sociale sono sempre rimaste estranee a Heidegger, tanto che egli non ha mai compiuto il minimo tentativo di interrogarsi sulle radici sociali della tradizione ontologica da lui criticata. Ma i due autori concordano nell’intento di scalzare o “distruggere” la concezione prevalente di un soggetto epistemico che assume una posizione neutrale rispetto al mondo, tanto che entrambi sono indotti a presentare una prospettiva alternativa”3.

 

Il problema del riconoscimento-autoriconoscimento

Gli studi di psicologia ci consentono di effettuare un passo ulteriore per capire la reificazione. Il bambino diventa “essere umano” identificandosi nelle figure di riferimento, in tal modo impara a riconoscere l’esistenza dell’alterità, non solo a livello cognitivo, ma anche emotivo. L’essere umano per autoriconoscersi deve superare la dinamica soggetto-oggetto, deve identificarsi con l’alterità per ritornare su stesso e riconoscersi nella sua differenza non scissa dalla comune natura.

Il capitalismo nega tale processo, introduce nella vita sociale ed economica la dinamico soggetto-oggetto, spegne ogni processo di identificazione e comunione. L’atomistica della solitudine artatamente organizzata isola ed educa alla passività. Il movimento spaziale è indice della riduzione della vita interiore, il concetto è sostituito dal suo succedaneo: il calcolo. La solitudine reificata è la condizione dolorosa della normalità nel tempo del capitalismo:

Il bambino impara a rapportarsi a un mondo oggettivo di oggetti stabili e costanti assumendo la prospettiva di una seconda persona e quindi decentrando gradualmente la propria prospettiva inizialmente egocentrica. Il fatto che il bambino cominci molto presto a entrare in contatto comunicativo con la sua gura di riferimento, a seguire il suo sguardo, ad attirarlo verso oggetti significativi, è interpretato da queste teorie come il segnale di una fase di sperimentazione nella quale il bambino saggia l’indipendenza di un’altra prospettiva sul mondo circostante. Nella misura in cui riesce a calarsi in questa seconda prospettiva e a percepire il suo ambiente a partire da essa, il bambino viene a disporre dell’istanza correttiva che gli consente per la prima volta di acquisire una percezione oggettiva e impersonale degli oggetti”4.

Si diventa umani vivendo i processi di identificazione, i quali sono il veicolo con cui l’essere umano scopre il “bene comunitario” ed impara a scandalizzarsi della dignità ferita negli altri esseri umani. Senza la simpatia esistenziale la razionalità diventa anoressica, poiché è ridotta a calcolo, e dunque, riduce ogni esperienza al solo piano di investimento. La razionalità senza simpatia esistenziale è cieca, poiché ogni esperienza è categorizzata nella quantità. Si mette in atto, quindi, un processo di reificazione e di astrazione da se stessi, dall’altro, dalla storia e dall’ambiente:

Soprattutto nei Minima moralia e nella Dialettica negativa si trovano di continuo formulazioni che indicano come Adorno, analogamente a Hobson o Tomasello, abbia legato la nascita della vita mentale dell’uomo al presupposto di una precoce imitazione della gura di riferimento amata. In un celebre aforisma dei Minima moralia si legge: “Un uomo diventa uomo”, cioè un essere con una vita spirituale, “solo imitando altri uomini”. Subito dopo, Adorno aggiunge che questa imitazione costituisce “la forma elementare dell’amore” (Adorno 1951, p. 182). Qui si tratta del medesimo decentramento che anche gli altri due autori considerano come punto di partenza dei processi di apprendimento mentali del bambino, ossia una sorta di simpatia esistenziale, o meglio affettiva, nei confronti dell’altro, che consente di esperire per la prima volta la sua prospettiva sul mondo come dotata di significato. L’atto di porsi nella prospettiva della seconda persona richiede la precedente forma di riconoscimento che non può essere pienamente colta con concetti cognitivi o epistemici, poiché contiene sempre e necessariamente un elemento di involontaria apertura, dedizione o amore”5.

I processi di identificazione e riconoscimento sono di primaria importanza psicologica e ontologica. Senza di essi il soggetto non può sviluppare la vita interiore e, dunque, pensare la realtà storica nei suoi processi quantitativi e qualitativi. Il capitalismo neutralizza tale sviluppo dell’interiorità introducendo la relazione soggetto-oggetto anche nella relazione che il soggetto ha con se stesso. Gli stati interiori e mentali sono investiti da un processo di distacco, non sono ascoltati ma ci si difende da essi, in quanto sono un limite ai processi di accumulo individualistico. L’estraneità al mondo è allontanamento dall’io, per cui alla fine del processo non vi è che un “io minimo” capace di solo calcolo. La prassi si oblia in tali dinamiche e il sistema può perpetuare se stesso:

Nel rapporto con sé stessi, le modalità corrispondenti all’osservazione e alla produzione possono instaurarsi soltanto quando i “soggetti” cominciano a dimenticare che è importante articolare i propri sentimenti e i propri desideri e appropriarsi di essi. In questo senso la reificazione della propria persona, non diversamente dalla reificazione di altre persone, è il risultato di una diminuita attenzione per la priorità del riconoscimento. Così come nel primo caso perdiamo di vista il fatto che abbiamo già sempre riconosciuto gli altri, anche nel secondo caso tendiamo a dimenticare che ci siamo già sempre riconosciuti, poiché solo così possiamo accedere alla nostra situazione emotiva. Per comprendere ciò che significa, in generale, avere desideri, sentimenti o intenzioni, dobbiamo prima averli vissuti come una parte del nostro Io che merita di essere accettata e che vale la pena di rendere comprensibile a noi stessi e ai partner delle nostre interazioni”6.

La reificazione è dunque un processo e un problema di ordine metafisico e sociale, in quanto è nella realtà materiale che si svela la natura umana e i processi che l’assediano. Il silenzio di molta parte della filosofia su tali temi svela la complicità trasversale degli intellettuali e degli accademici con la struttura economica. Il problema primo è riconoscere la problematicità del nostro tempo e deviare dalle complicità degli oratores per diventare “ministri della propria e dell’altrui umanità”.


Note
1 Axel Honneth, Reicazione Sulla teoria del riconoscimento, Traduzione di Carlo Sandrelli, Meltemi, 2017, pag. 14
2 Ibidem pag. 15
3 Ibidem pag. 21
4 Ibidem pag. 34
5 Ibidem pag. 37
6 Ibidem pag. 70

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