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Elly Schlein, chi ha vinto? Riflessioni di un perdente

di Gianni Marchetto

Ha vinto la novità contro la conservazione. E non è la prima volta che questo accade nei “territori” del centro sinistra così come nel centrodestra. A partire da Bossi, Berlusconi, Grillo, Salvini per approdare alla Meloni. Così come nel centrosinistra novità fu certamente Renzi, per approdare oggi alla Schlein. Chi ha perso? Una parte dell’establishment (i cui desiderata raramente vengono esauditi) e quella che una volta si sarebbe detta la classe operaia (la sinistra di classe). E questo da mo’. Perché? Per il semplice motivo che la lotta di classe l’hanno vinta gli altri. E da mo’.

Perché la “classe operaia” ha perso? Perché il suo partito di riferimento (il PCI) non aveva nessuna strategia per il potere degli operai. Parlo, evidentemente, del potere nei luoghi di lavoro: al massimo li lasciava sperare per il giorno in cui “adda venì baffone” e morta là! È nella seconda metà degli anni ’70 che nel PCI inizia il “declino” della forma partito, paradossalmente in concomitanza con le grandi avanzate elettorali nei comuni, nelle provincie, nelle regioni e in Parlamento.

Nei fatti si assiste in tutte le federazioni (in particolare a Torino) allo spostamento del baricentro politico, dalla Commissione fabbriche (fatta in prevalenza da operai, delegati, sindacalisti, quasi tutti provenienti dalla “rottura” del ’68 e ’69) alla Commissione enti locali (piena di consiglieri, assessori e sindaci). In pratica c’è la costruzione del “partito degli assessori”. Sono anni in cui i migliori quadri vengono dirottati verso le sedi istituzionali e nel partito il dibattito politico ha al centro la questione istituzionale, del “potere locale”, mentre la sconfitta dei lavoratori nell’autunno dell’80 fa perdere peso al dibattito politico nei luoghi di lavoro. Ciò si riverbera drammaticamente nella stessa Commissione fabbriche, dove il dibattito politico verteva essenzialmente sul ruolo politico dei comunisti nei luoghi di lavoro e nelle sedi unitarie dei Consigli di fabbrica. Quadri che a livello istituzionale devono imparare (e in fretta!) cosa significa governare e quindi impadronirsi di tutti i saperi e le tecniche che attengono all’arte di governo: fare una mozione o un’interrogazione, progettare un intervento, dirigere un assessorato o una giunta comunale nel caso in cui si sia sindaci eccetera. Sia chiaro: quel partito degli assessori ha realizzato nel tempo grandi risultati (che incuriosirono persino delegazioni di americani per i successi, per esempio, con gli asili nido in quel di Reggio Emilia), a partire dalle “regioni rosse” (Emilia-Romagna, Toscana, Umbria) che pure erano tra le più arretrate (il dominio dello Stato Pontificio le aveva lasciate ai margini dello sviluppo), per poi estendersi nella stagione delle “giunte rosse”, che ebbe a Torino come sindaco Diego Novelli. In pratica abbiamo la civilizzazione di questo paese ad opera delle giunte social-comuniste, poi imitate dalle giunte “bianche” democristiane nel Veneto e in Lombardia. Oggi questa idea del potere si è trasformata in elettoralite, l’alfa e l’omega di ogni attività politica, che però ha via via esaurito la sua “spinta propulsiva”.

Torniamo alla Schlein. Quale idea del potere nei luoghi di produzione ha questa signorina? Nebbia assoluta! Eppure, secondo me, oltre a un’opzione netta e chiara a favore di un cessate il fuoco in Ucraina (con l’obiettivo di raggiungere un compromesso con i Russi), l’idea del potere nei luoghi di produzione dovrebbe essere la cifra del mandato per una qualsiasi formazione di sinistra. Ma già il PCI non aveva nessuna idea del potere nei luoghi di produzione. Al massimo lasciava sperare i propri quadri nel “rinsavimento” dei padroni il giorno in cui il PCI fosse arrivato al governo. Ma senza fare una analisi critica della fabbrica in Urss di Togliattigrad (del 1964) che era una copia di Mirafiori, con tempi di lavoro un po’ più laschi, ma con la stessa divisione del lavoro tra istruttori ed esecutori, o senza interrogarsi sul fatto che in tutti i paesi dell’Est la “produttività del lavoro” aumentava durante le rivolte operaie contro le burocrazie per tornare poi al tran-tran normale con la gestione burocratica delle aziende.

Avete in mente la foto di Berlinguer alla porta 5 di Mirafiori? Con lui c’è Angelo Azzolina della FIOM (segretario del PCI della Carrozzeria di Mirafiori turno B) e Liberato Norcia della FIM (delegato e leader di Avanguardia Operaia in Carrozzeria) che fa la famosa domanda: «Che farebbe il PCI nel caso gli operai occupassero Mirafiori?». La risposta di Berlinguer è nota: «Nel caso in cui gli operai decidessero con le loro organizzazioni sindacali per questa eventualità, il PCI sarebbe con loro». Secondo me mancavano le domande decisive, quelle più importanti. Prima domanda: «Nel caso di occupazione, il PCI ha da mettere a disposizione tecnici ed esperienza consolidata per produrre delle auto?». Se Mirafiori fosse stata un ente locale, la risposta sarebbe stata affermativa, ma essendo un luogo dove si producevano delle auto a me francamente di avere la compagnia di Berlinguer (e quella di Fassino) non me ne fregava niente. Quello che mi interessava era altro… Salvo Trentin e pochi altri, il PCI nei fatti fu salarialista (alla pari della UIL di origine socialista); e ha ragione Trentin quando nel libro La città del sole osserva che nella sinistra (anche in quella sovietica) non ci fu mai nessun atteggiamento critico nei confronti del taylorismo-fordismo, considerato un male necessario per superare una fase! Seconda domanda: «Come si fa a rendere inutile il padrone?». Tagliandoli la testa, dopo di che siamo punto e capo, o diventando più bravo di lui, e allora occorre leggere, scrivere e far di conto e non utilizzare i soli muscoli (= cortei e rullar di tamburi), ma imparando e rubando la migliore esperienza in circolazione. Alla maniera in cui i borghesi resero inutili i nobili e il clero ai loro tempi. Altra domanda: «Bastano i soli operai per una strategia del potere?». No, non bastano più. Contemporaneamente bisogna tenere in conto tutti coloro che nella realtà attuale sono contigui alla progettazione e produzione delle moderne tecniche di “progettazioni di istruzioni”: una volta erano quelli che lavoravano negli Uffici Analisi lavoro e Tempi e metodi, adesso sono quelli che progettano le istruzioni mediante gli algoritmi aiutati dalle “potenze di calcolo” a loro disposizione. E questi sono in ogni dove. E con loro (e i loro padroni) occorre esercitare il massimo conflitto, magari esercitando, nei loro confronti, la pratica del furto. Chi rimane fuori? Rimangono fuori, per esempio, le badanti (oltre che un esercito di lavori poveri), e non perché una badante non faccia del lavoro qualificato: io penso che sia tra le prestazioni più qualificate (e meno riconosciute e pagate) perché ha a che fare con il vivente! Dopo di che c’è bisogno di un cambio di paradigma.

A un convegno dell’Istituto Gramsci a Torino nel 1973, Ivar Oddone, indicandomi la platea della sala, mi fa: «Vedi questi partecipanti: vanno dai moderati sino agli extraparlamentari e tutti sono accomunati da una teoria. Ti spiego. Negli USA, a partire dagli anni ’60, è impazzata la teoria della rabble iphotesys (l’ipotesi dell’orda): il meglio della sociologia e della psicologia di marca americana sosteneva che l’idea dell’operaio inteso come orda bruta, o gorilla, era del tutto affine alla cultura del padronato, secondo cui i gorilla (gli operai) vanno ammaestrati per la produzione. Di contro – continuava Ivar – per una certa sinistra italiana (in maniera trasversale fino ad arrivare ai gruppi extraparlamentari) gli operai sono gorilla non da ammaestrare ma da redimere per la rivoluzione (quale rivoluzione? la loro evidentemente, dei redentori!) E io? Tu sempre gorilla rimani». Basta “gorilla” da redimere!

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