Print Friendly, PDF & Email

linterferenza

L’Occidente prigioniero di se stesso

di Fabrizio Marchi

L’ideologia neoliberale dominante è di fatto una sorta di religione, sia pur secolarizzata, che si fonda sul postulato, pur non scritto, della superiorità del mondo occidentale su tutto il resto del pianeta che si troverebbe fondamentalmente in una condizione di barbarie. Il compito cui è chiamato l’Occidente è quello di civilizzare tutto il resto del mondo, con le buone o con le cattive. Una visione sostanzialmente messianica, religiosa, in palese contraddizione con quegli stessi principi di laicità e di tolleranza che pure dovrebbero costituire le fondamenta del pensiero liberale. Può piacere o meno ai suoi cantori ma non c’è dubbio che l’ideologia liberale si è storicamente e concretamente determinata nel modo testé descritto.

In fondo è stato così fin dalla scoperta dell’America che coincide, non a caso, con l’inizio del dominio occidentale su tutto il mondo e viene fatta coincidere con l’inizio dell’era moderna. Cambia, soltanto parzialmente, la coperta ideologica con cui questo postulato viene posto in essere.

Non più la religione cristiana (cattolica o protestante) e la (superiore) civiltà “bianca” bensì l’impianto ideologico politicamente corretto. Ma il retro pensiero “suprematista” e quindi razzista che sta dietro a questo modo di interpretare la realtà è esattamente lo stesso. L’Occidente è portatore di un modello liberale e democratico (in realtà sempre più liberale e sempre meno democratico), e quindi di una civiltà considerata oggettivamente superiore e universale. Chi non c’è ancora arrivato dovrà prima o poi arrivarci e chi non si è piegato dovrà piegarsi, in un modo o nell’altro.

È ovvio come questo postulato ideologico porti di fatto e necessariamente a giustificare tutte le nefandezze compiute in cinque secoli di storia – genocidi, guerre imperialiste, massacri, colonialismo, dittature militari, regimi fondati sull’apartheid, saccheggio sistematico, sfruttamento, uso di ogni tipo di armi di distruzione di massa, genocidi atomici – come un male necessario per difendere la superiore civiltà liberale.

L’idealtipo liberale, ora “neoliberale”, finge di scandalizzarsi di fronte alle manifestazioni di razzismo, nazifascismo e neonazifascismo  – in genere quelle più innocue – ma in realtà non esita a sostenere i peggiori pendagli da forca nazifascisti (e non solo) quando questi gli tornano utili. È successo sistematicamente in Europa, con le dittature militari in America latina (ma anche in Asia e in Africa), succede oggi con la feccia nazista ucraina che i (neo)liberali sostengono attivamente, senza nessuna remora e nessun tentennamento di ordine ideologico o tanto meno etico.

Chi ha avuto modo di interloquire con queste persone, sa perfettamente che questo è il loro sentimento, né potrebbe essere diversamente per chi parte da quel postulato. Se gli porti argomenti logici in tal senso cambiano rotta e tornano al loro spartito sulla superiore civiltà occidentale (fondamentalmente anglosaxon) ripetuto come un mantra.

Naturalmente, per quanto ci riguarda, non si tratta affatto di capovolgerlo né di esaltare, a parti invertite, tutto ciò che c’è al di fuori dell’occidente, cioè i tre quarti del pianeta. Così facendo gli si fa solo un favore, oltre a deformare anche noi, come loro, la realtà. Del resto il mondo – ma potremmo anche dire la storia dell’umanità – è un “arco” e un “insieme” complesso di storie, culture, ideologie, religioni, contesti che hanno prodotto effetti a volte positivi e altre volte, magari anche il più delle volte, negativi. Vale per gli europei e per i nordamericani come per tutti gli altri.

La mia opinione infatti è che l’Occidente abbia prodotto anche tanto di buono – filosofia, letteratura, arte, cultura, diritti, principi di libertà e di democrazia – ma che il più delle volte abbia utilizzato quanto di meglio ha prodotto nel modo peggiore, cioè come falsa coscienza ideologica per coprire la sua volontà di potenza e la sua conseguente vocazione imperialista. Ed è ciò che sta facendo anche e soprattutto oggi.

Ma da qualche tempo c’è una grossa, gigantesca novità. L’impero occidentale a guida USA non è più in grado di dominare quella parte di mondo che fino all’altro ieri era sotto il suo controllo. Ed è una parte importante e anche molto robusta, non solo economicamente e militarmente ma anche dal punto di vista della coesione sociale e culturale. Pezzi di mondo (Cina, Russia, Iran, ma anche Cuba, Venezuela, Vietnam) che hanno costruito la loro forza, né poteva essere altrimenti, a partire dalle diverse rispettive storie, culture, contesti e strutture politiche che, ovviamente, non sono né potrebbero essere quelli del mondo liberale e neoliberale occidentale e soprattutto anglosassone.

Questa ormai raggiunta e consolidata autonomia e indipendenza politica ed economica (per quanto sia possibile in un mondo totalmente globalizzato) da parte di questi ex paesi del terzo mondo – risultato di grandi lotte di liberazione nazionali anticolonialiste e successivamente di una crescita, a volte portentosa come nel caso cinese, non solo economica ma anche tecnologica e militare – ha creato un vero e proprio corto circuito e un senso profondo di frustrazione nelle classi dirigenti occidentali che non sono più in grado di imporre alcunché a quegli stessi paesi. Nasce proprio da questa incapacità/impossibilità e da questo senso di impotenza, l’accentuazione, diciamo pure l’esasperazione di quell’atteggiamento messianico e “suprematista” nello stesso tempo che, se non opportunamente elaborato e disinnescato, potrebbe condurre al disastro.

Il compito non solo dei socialisti ma di tutti i sinceri democratici e di tutte le persone di buon senso (che sono più numerose di quanto non sembri) dovrebbe essere quello di disinnescare quella vis ideologica autoreferenziale, “suprematista” e (inevitabilmente) guerrafondaia di cui sopra e lavorare per far prevalere la parte migliore della cultura e del pensiero occidentale. L’Occidente deve accettare, per la sua stessa sopravvivenza, che esiste un mondo che rifiuta di declinarsi secondo le sue categorie (che, evidentemente, non sono universali), e deve abbandonare la presunzione e la pretesa di imporle. Ciascun paese e ciascun popolo deve avere il diritto di fare la propria storia, di costruire il proprio percorso e nessuno può impedirglielo. In ogni caso, non è più possibile. Non prenderne atto sarebbe il più grave errore che si potrebbe commettere.

Add comment

Submit