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Guerra o pace? Delle due l’una

di Sergio Cararo

In mezzo al frastuono guerrafondaio che impazza nelle capitali europee e negli Usa, a livello mondiale finora si sono levate solo due voci ufficiali nel sostenere che, al contrario dell’escalation militare in Ucraina, va ricercata ad ogni costo la strada del negoziato e il raggiungimento della pace attraverso un cessate il fuoco e le necessarie mediazioni: il Pontefice e il governo cinese.

Sul fronte occidentale invece assistiamo solo a invocazioni all’escalation militare.

In una intervista al The Guardian, il segretario della Nato Stoltenberg (mai cognome fu più coerente con il personaggio, n.d.r.) ha ribadito il sostegno militare a oltranza a Kiev “La necessità continuerà ad esserci, perché questa è una guerra di logoramento”, aggiungendo che durante il prossimo vertice della Nato a Vilnius, chiederà che i Paesi membri spendano almeno il 2 per cento del loro Pil per la difesa. L’obiettivo, ha sottolineato Stoltenberg, è “consentire agli ucraini di lanciare un’offensiva e riconquistare il territorio”.

Il responsabile della sicurezza e della politica estera europea Borrell ha portato in porto un piano da 2 miliardi di euro (che nel gioco degli ossimori sono disponibili nel cosiddetto Fondo per la pace europeo) per l’acquisto di munizioni per l’Ucraina e il rifornimento delle scorte degli arsenali della Ue.

Non solo. L’Unione Europea ha fatto sì che la Corte Penale Internazionale dell’Aja aprisse il procedimento contro Putin e la leadership russa, nonostante che tale Corte non sia riconosciuta da paesi come Usa, Russia, Israele e in via di disconoscimento da parte dei paesi africani che la accusano di praticare un doppio standard.

L’amministrazione Biden e il Congresso USA continuano a mobilitare risorse per la guerra in Ucraina arrivate a oltre 73 miliardi di euro. Di questi, 44,3 miliardi sono destinati al sostegno militare, 25,1 miliardi in aiuti economici e 3,72 miliardi per gli interventi umanitari.

La Gran Bretagna e la Polonia (la “Iena d’Europa”) alzano l’asticella dell’escalation. La prima evocando la messa in campo di proiettili a uranio impoverito (tanto si sparano in Ucraina, a fare poi i conti con il linfoma di Hodgkin saranno ucraini e russi mica gli inglesi, ndr), la seconda evocando la partecipazione diretta al conflitto, con tutte le conseguenze che ne derivano essendo uno stato membro della Nato.

La Russia dal canto suo ha messo a pieno regime il proprio complesso militare-industriale, continua a bombardare le infrastrutture e le città ucraine, evoca spesso il rischio del ricorso alle armi nucleari, si prepara ad una lunga guerra di logoramento, ma si è detta disponibile a lavorare sul piano di pace presentato dalla Cina.

Le proposte di pace sul piatto, nelle capitali euro-atlantiche vengono invece demonizzate o liquidate come un “cedimento a Putin”. Ma sul campo, sia in Ucraina che nel Donbass, si continua a combattere e morire senza intravedere uno spiraglio che quantomeno fermi i combattimenti e i bombardamenti.

Il piano di pace indicato dal Pontefice punta come presupposti sulla protezione della vita delle persone e sul divieto per i paesi stranieri a rifornire armi alle parti in conflitto. Inoltre evoca la costruzione di un unico spazio socio-economico equo rispettando la cultura, la lingua, la nazionalità e la fede di ogni persona.

Il piano di pace cinese, finora discusso solo con la Russia, è piuttosto dettagliato e punta a mettere fine alla guerra di oggi in Ucraina e ad impedire quelle future. La proposta di pace cinese chiede di “Rimanere impegnati a rispettare la sovranità e l’integrità territoriale di tutti i Paesi. L’uguaglianza sovrana e la non ingerenza negli affari interni sono principi basilari del diritto internazionale e le norme più fondamentali che regolano le relazioni internazionali contemporanee”.

Ma entrambe le proposte di pace, incluso il più che urgente cessate il fuoco, sono state bruscamente respinte da Washington, dall’Ucraina, dalla Polonia e dalla Gran Bretagna.

Eppure vanno registrati fatti concreti che indicano il successo delle ipotesi negoziali nella possibile fine dei conflitti in corso.

La Cina ha fatto da mediatrice nella pluridecennale guerra per procura tra Iran e Arabia Saudita facendoli arrivare ad un accordo. Questo avrà effetti positivi nel conflitto nello Yemen e in quello in Siria, dove l’Arabia Saudita ha deciso la riapertura della propria ambasciata.

La Russia sta mediando un accordo tra Turchia e Siria dopo dodici anni di tensioni e ingerenze nella sanguinosa guerra civile siriana.

La si può pensare come si vuole, ma qui da un lato si disinnescano conflitti e dall’altro si fomentano. Delle due qual è la strada che va perseguita?

Il rovesciamento del linguaggio per cui i nazisti diventano i partigiani, ogni città ucraina diventa una Stalingrado (è strano che nessuno evochi Bastogne, n.d.r.) e le proposte di cessate il fuoco diventano “cedimento al nemico”, non può nascondere una realtà fattuale che le opinioni pubbliche hanno compreso molto meglio dei propri governi.

A questo punto ci sono proposte di pace in campo, aumenta l’opposizione pubblica all’escalation militare e crolla la credibilità dei governi guerrafondai. Serve la spinta dal basso che tenga insieme questi fattori e li rovesci contro i falchi della guerra a tutti i costi. Indipendentemente dalle pantomime a cui assistiamo in Parlamento e che fino a dicembre 2023 non prevedono marce indietro sull’invio di armi all’Ucraina.

Occorre lavorarci sopra, senza timidezze e il prima possibile, a cominciare proprio dall’Italia e dalla Germania. In Francia stanno già più avanti nel ridisegno dei rapporti di forza.

Se non ora, quando?

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