Print Friendly, PDF & Email

volerelaluna

Il ponte di Messina: una balla ad alto impatto mediatico

di Alberto Ziparo

Parte dell’opinione pubblica scambia l’uso esasperato di annunci sulla “balla ad alto impatto mediatico” di Matteo Salvini sul Ponte sullo Stretto per novità di chissà quale rilievo, politico e programmatico. In realtà visto che la cosa mediaticamente paga, il neo ministro delle infrastrutture ha intensificato frequenza e quantità di annunci, anche perché aumenta la quota di inadempienze e incapacità che l’agitare della figurina del ponte deve coprire. Se all’inizio era solo l’ignoranza e il vuoto di conoscenza e azione rispetto ai problemi e alle necessità del Sud (nonché di Calabria e Sicilia), da occultare sventolando il Ponte, poi si sono aggiunte le due autentiche catastrofi sociali per i territori meridionali, significati dalla cancellazione del reddito di cittadinanza e dalla avanzata dell’autonomia differenziata. Negli ultimi giorni, poi, ci sono da coprire anche le liti interne alla maggioranza di governo, non solo per la cascata di nomine in arrivo; anche inventandosi riunioni appunto sul Ponte, che permettono di evitare quelle scomode di governo.

«Ma come? – chiede qualcuno – Se l’esecutivo presieduto da Giorgia Meloni ha emanato apposito decreto!». Non è così: il verbale del Consiglio dei ministri in cui si è trattato l’argomento chiarisce che si è approvata solo una determinazione non formalizzata, “salvo intese”. Che potrà essere definita una volta che i problemi legali, normativi, economici, tecnici e programmatici della questione siano stati affrontati e risolti. Forse tra altri 50 anni, ma non è sicuro. Fonti informali, ma più che confermate, di governo specificano la natura di tali problemi, peraltro noti non solo alla politica istituzionale ma a chiunque abbia seguito la questione con un po’ di attenzione. Il (mancato) decreto risultava privo di fondamenti normativi e legali, prima che tecnici e programmatici, e quindi avrebbe dovuto eseguire più di qualche “magia”: resuscitare la società concessionaria del progetto e dei lavori del Ponte, già liquidata; ripristinare i diritti di affidamento dei lavori al contraente generale (che intanto non esiste più, essendo cambiate natura giuridica e caratteristiche della impresa capofila, che prima era Impregilo e adesso è un consorzio, Webuild); riattivare la procedura ex legge obiettivo (cosa possibile per le procedure già in corso al momento dell’abrogazione della stessa legge, ma non in questo caso, in quanto la caducazione di tutti i contratti di appalto e la cancellazione ufficiale del progetto hanno chiuso anche la continuità di procedura ex legge obiettivo e cancellato quindi la indispensabile fonte normativa dell’operazione). Oggi riaffidare i lavori alla società in cui è parzialmente presente la società ex capofila di general contractor significherebbe affidare un contratto d’appalto di una decina di miliardi a trattativa privata, in barba a tutte le norme nazionali e comunitarie. Come irregolarità e illegalità non c’è male. Peraltro sono circostanze già sottolineate da chi conosce appena un po’ della questione.

Il punto è che, non solo e non tanto per quanto sopra, la storiella del Ponte non è così facile da prendere sul serio. Gli attuali animatori del (molto presunto quanto annunciato) “rilancio” del progetto omettono infatti un passaggio fondamentale, che fu decisivo nel 2013 per la sua cancellazione ufficiale dalla lista di opere strategiche e l’annullamento di tutti i contratti allora in essere con la messa in liquidazione della società concessionaria, la Stretto di Messina spa: lo stesso coordinatore tecnico-scientifico del progetto, prof. Remo Calzona, aveva ammesso che, a fronte delle numerosissime edizioni di un progetto infinito, la sua versione esecutiva, quella cruciale per dimostrare la reale fattibilità dell’opera, non era mai stata redatta perché avrebbe provato l’esatto contrario della fattibilità, ovvero che il Ponte non si può fare. Non è che sia difficile, problematico, complicato, arduo o pieno di incognite: è semplicemente impossibile. Il progetto è giudicato «allo stato non realizzabile» – dalla massima autorità tecnica competente, non da un gruppuscolo di ostinati luddisti – sia nell’ultima versione con campata unica di 3,3 chilometri, sia nella versione con i piloni nello Stretto (bocciata anni prima proprio dai luminari coinvolti all’uopo dalla Società e dal Ministero, che avevano stabilito l’impossibilità di poggiare il manufatto su pile “nel mare” proprio per le condizioni sismo-tettoniche e meteo-climatiche dello Stretto). Non parliamo poi delle soluzioni in tunnel, subalveo o sotterranea, definitivamente bocciate già da lustri. E sempre dai progettisti, non da tecnici critici né da parsimoniosi ragionieri. Il perché di tutto ciò è semplice: a oggi non esistono ancora materiali che assicurino le prestazioni tecnologiche necessarie per costruirlo. Questo problema insormontabile, ovviamente, non è mai menzionato da politici e decisori pubblici locali e nazionali; che probabilmente, come oggi Salvini, non avendo alcuna voglia né alcuna capacità di fare i conti con i reali bisogni e le vere prospettive di Calabria, Sicilia e Mezzogiorno, ripiegano su un’imitazione ancor più esilarante di Cetto La Qualunque, e coprono la propria insipienza continuando a urlare a squarciagola «facciamo il Ponte!».

«Facimu U Ponti!»: sono tre parole, semplici, chiare e vistose anche per chi guarda distrattamente i media. Quante di più ne servirebbero per prospettare il risanamento del territorio, il recupero dell’armatura eco-paesaggistica, la riqualificazione socio-ambientale, la valorizzazione di territori impareggiabili per ecologia, storia, cultura e – soprattutto – bellezza? Peccato che le tre paroline magiche funzionino soltanto con chi (e per chi) di quel territorio (e del territorio in generale) non sa nulla. Non funzionano, per esempio, con chi vive in Calabria e Sicilia. Dove invece prevale ormai l’insofferenza, insieme a una certa umana comprensione e sopportazione, per una politica che continua a contorcersi e a balbettare parole senza senso per tentare di sopravvivere, ingannando chi dovrebbe servire. Ma che i luogotenenti locali della politica istituzionale non possono permettersi di segnalare ai “grandi leader”, che devono invece ricorrere alla figurina del Ponte per coprire il proprio nulla, specie rispetto ai contesti interessati. La stessa stupefacente insistenza di questa politica sul ritornello pontista rappresenta un’autodenuncia della sua ignoranza e incapacità. È questa la “politica” che, per annunciare “i cantieri tra un paio di anni” è costretta a ignorare il problema capitale della non costruibilità; per non parlare delle gravissime criticità territoriali, ambientali, economiche, sociali, trasportistiche emerse in decenni di studi sul progetto. Che ne hanno ripetutamente evidenziato inutilità e negatività. Oltre che, oggi, le enormi contraddizioni e gli immani conflitti, rispetto al Green Deal europeo e alle azioni richieste dall’emergenza ecoclimatica.

Il Ponte è un annuncio perenne, e questo non per caso né per una strategia comunicativa difettosa, ma perché non potrebbe essere nient’altro, perché è questa la sua vera natura: quella di immagine-paravento di mancanze e insipienze della politica istituzionale rispetto alle regioni coinvolte e in generale al Mezzogiorno. Più di questo, è stato una formidabile fonte di sprechi e sparizione di risorse pubbliche (mezzo miliardo di euro in 50 anni) che hanno fatto la fortuna di qualche protagonista della politica e di molti affaristi e speculatori. Sarebbe bene smetterla davvero con questa costosissima barzelletta diventata una piaga sociale.

Comments

Search Reset
0
Paolo
Thursday, 30 March 2023 08:59
la soluzione al problema è in una di quelle tecnologie che in Italia sembra non arrivino mai (ad esempio, si magnificano i nostri "treni ad alta velocità", ma in Giappone è in servizio la rete Shinkansen dal 1967 (!!) che ora stanno adattando ai treni a levitazione magnetica: ed il Giappone non è meno montagnoso o meno sismico dell'Italia (scuse addotte per giustificare nostri ritardi tecnologici). Tale tecnologia è quella dell'Hovercraft. In uso sulla tratta Calais/Dover prima dell'inaugurazione del tunnel sottomarino della Manica. Velocissimo, non necessita di strutture portuali ma solo di una spianata a pelo d'acqua per far salire l'hovercraft. Un link esplicativo https://www.youtube.com/watch?v=ozr-Ju8e2lo
Like Like Reply | Reply with quote | Quote
0
gidielle
Wednesday, 29 March 2023 17:09
Non capisco perchè il tunnel subalveo non si possa fare, è la soluzione utilizzata per collegare le due parti di Istanbul che in quanto a sismicità non mi pare da meno dello stretto!
Like Like Reply | Reply with quote | Quote

Add comment

Submit