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Giappone e Arabia Saudita: il petrolio nel mondo multilaterale

di Piccole Note

Due sono le notizie di rilevanza geopolitica degli ultimi giorni, nascoste dalla cronaca. Iniziamo dalla prima: l’Opec plus ha tagliato la produzione di petrolio, in contrasto con i programmi occidentali che vedono nel crollo del prezzo dell’oro nero una leva per contrastare la Russia.

Il taglio della produzione va contro tale direttiva, perché alza il prezzo, ed è stato patrocinato dall’Arabia Saudita, che ha una posizione dominante nel ristretto club dei produttori di petrolio. E soprattutto è stata presa senza previo avvertimento agli Stati Uniti.

 

Il taglio del petrolio e l’intraprendenza di Riad

A dettagliare la sorpresa Usa è un’articolata nota del New York Times, che riferisce il commento seccato di Adrienne Watson, portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale: “Non pensiamo che in questo momento siano consigliabili tagli, data l’incertezza del mercato”.

Secondo l’articolo, l’iniziativa non dovrebbe causare eccessivi danni, dato il ristagno dell’economia globale e anzi si spiega come una mossa preventiva, cioè con il timore di una recessione globale, suggerita dalle scosse telluriche di cui è preda il sistema finanziario internazionale, che farebbe crollare la domanda di oro nero.

Detto questo, resta che il prezzo del petrolio è salito, con conseguenze sul prezzo dell’energia e altro a essa correlato (più o meno tutto). L’iniziativa ha un “significato simbolico” non indifferente, rileva il NYT, dal momento che è ormai chiaro che l’Opec plus non obbedisce più a Washington, ma vive di vita propria.

Peraltro, la decisione è arrivata subito dopo due annunci poco graditi alla Casa Bianca da parte dell’Arabia Saudita: Riad ha aderito alla Sco, la Shanghai cooperation organization, che ha come riferimento la Cina, e ha invitato Assad alla prossima riunione della Lega araba, dalla quale era stato espulso quando è iniziata la guerra siriana.

Il riposizionamento dell’Arabia Saudita nello scacchiere geopolitico è segnalato da tempo. Nulla di nuovo, quindi, solo un’accelerazione.

 

Il prezzo del petrolio e l’eccezione nipponica

Meno rilevante, ma comunque significativa, la decisione del Giappone di acquistare petrolio russo a un prezzo concordato con Mosca. Un’iniziativa che infrange quanto deciso in seno all’alleanza anti-russa, che aveva stabilito un tetto massimo al prezzo del petrolio russo, per deprimerne i ricavi.

Nel caso nipponico, però, a differenza di Riad, non c’è stato alcuno strappo con Washington, dal momento che ha chiesto il permesso a Washington e gli è stato concesso (non è stato così nella forma, ovvio).

Nel darne notizia, il Wall Street Journal spiega: “Il Giappone ha convinto gli Stati Uniti ad accettare l’eccezione, spiegando che ne aveva bisogno per garantire l’accesso all’energia russa. La concessione mostra la dipendenza del Giappone dalla Russia per i combustibili fossili”.

In realtà, anche l’Europa avrebbe avuto, e ha ancora, bisogno di eccezioni, date le ristrettezze in cui versa a causa del taglio del cordone ombelicale energetico che la legava alla Russia. Ma evidentemente il Giappone ha un margine di libertà che l’Unione europea non ha più.

In particolare, ha in mano una carta molto forte per trattare con Washington, ovvero quella del contenimento della Cina, dal momento che gli Stati Uniti sono ben consci che, se il Giappone si defilasse dalla loro strategia per l’Indo-pacifico, questa svaporerebbe.

E, però, appare molto significativo il fatto che la decisione nipponica sia arrivata poco prima della visita del ministro degli Esteri Yoshimasa Hayashi in Cina.

 

La visita di Hayashi in Cina

La visita di Hayashi a Pechino ha grande importanza, come evidenziano tre fattori. Il primo è che è stata concordata ai più alti livelli, cioè durante un incontro tra il presidente Xi Jinping e il premier Fumio Kishida a margine del summit Apec di novembre.

Il secondo è che erano tre anni che un ministro degli Esteri giapponese non si recava in Cina. Il terzo è che Hayashi non si è incontrato solo col suo omologo, come da prassi, ma anche con il premier cinese Li Qiang, segno dell’importanza che Pechino ha dato alla visita.

Al di là delle schermaglie di rito tra i due rivali asiatici – acuite dall’arresto in Cina di un imprenditore nipponico, del quale Tokio chiede il rilascio – resta che la visita ‘apre una finestra’ per stabilizzare i legami tra i due Paesi (Global Times).

I circoli più muscolari dell’establishment Usa da tempo immaginano di fare di Tokio un kamikaze pronto a immolarsi nella lotta contro Pechino. Con queste due mosse, il Giappone segnala di essere un partner affidabile degli Stati Uniti, tanto da chiedere il placet per l’acquisto del petrolio russo, ma allo stesso tempo di perseguire una propria linea politica.

 

Il piano di pace cinese per l’Ucraina

Interessante, sempre riguardo la visita, quanto riferisce il Japan Times: “Hayashi ha affermato di aver invitato la Cina a svolgere un ‘ruolo responsabile’ […] nel lavorare per la pace e la stabilità in Ucraina”.

Il piano di pace cinese, che in realtà è più una base per iniziare un negoziato che altro, resta, dunque, vivo, nonostante i venti avversi. Macron e Ursula van der Lyen in visita a Pechino in questi giorni, almeno a stare a quanto riferisce Le Monde, dovrebbero parlare anche di questo.

Non è dato di sapere se tali attestati verso la Cina abbiano come intento nascosto quello di staccare Pechino da Mosca, cioè di far pressioni su di essa perché costringa il Cremlino, grazie alle leve economiche che può esercitare, a ritirarsi.

Ma se pure fosse tale lo scopo, peraltro alquanto fuori registro perché tale ritiro – sia della Russia dall’Ucraina, sia della Cina dalla sua alleanza con Mosca- è, allo stato dei fatti, impossibile, resta che tali attestati conferiscono di fatto a Pechino un ruolo internazionale di primaria rilevanza, che Washington vorrebbe negargli.

Da questo punto di vista, se il sostegno incondizionato a Kiev avrebbe dovuto rilanciare il primato globale statunitense, tale l’idea dei neocon che spingono in tal senso, rischiano di ottenere l’esatto contrario…

En passant, val la pena riferire che la compagnia petrolifera cinese, la China National Offshore Oil Corporation, ha venduto alla francese Total Energies 65.000 tonnellate di GNL in yuan. È la prima volta che in una compravendita simile si usa la divisa cinese piuttosto che il dollaro, non sarà l’ultima. Parlare di de-dollarizzazione degli scambi internazionali sarebbe fuori registro, ma lo sviluppo non è da sottovalutare.

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