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aldous

Eufemismi totalitari

di Alberto Giovanni Biuso

Dura, violenta e dolorosa è la vita degli umani. In The Giver (Phillip Noyce, 2014) un Consiglio degli Anziani governato da una matriarca ha deciso da tempo (non si sa da quanto) di costruire una società composta da persone che non soffrano più, vale a dire che non nutrano più passioni. E infatti questi umani non conoscono aggressività, odio, amore. Non conoscono neppure le parole che designano tali sentimenti. Vivono in modo inevitabilmente subordinato e passivo: nascono infatti da genitori che non li conosceranno, così come i figli non sapranno da chi sono stati generati; vengono esaminati alla nascita e se non adatti vengono «congedati nell’altrove» (emblematico eufemismo per dire eliminati), lo stesso accade ai vecchi; risiedono in «unità abitative» tutte uguali e dalle quali non si può uscire dopo una certa ora; vivono con genitori adottivi e con figli adottivi, sfornati dalle partorienti (è una delle professioni); condividono in momenti rituali i passaggi individuali e collettivi dall’infanzia all’adolescenza e da questa all’età adulta, nella quale svolgono un lavoro stabilito dal Consiglio degli Anziani e non scelto da ciascuno; non si toccano mai tra di loro e chiaramente non fanno l’amore; ogni mattina subiscono una «punturina» tramite un dispositivo che sta in tutte le case e che rilascia dei tranquillanti; non fanno sogni, non percepiscono i colori, ignorano la musica, una forma d’arte che è sì matematica ma è anche intrisa di sentimenti.

Non possiedono libri - neppure uno -, non sanno nemmeno che cosa siano, non hanno una parola che designi tale oggetto. E questo perché i libri raccontano contraddizioni, passioni, sofferenze, aspirazioni, concetti, conoscenze. Tutti elementi, questi, dai quali scaturiscono desideri, curiosità, ambizioni, malinconie, riflessioni, dolore, euforia.

E soprattutto gli umani che così vivono non sanno nulla del passato. Esistono in un presente fatto di cielo terso, di sorrisi, di «scusami» «accetto le tue scuse», di completa trasparenza nella quale nessuno può mentire, di un linguaggio politicamente e semanticamente correttissimo che ha escluso ogni termine che non sia «inclusivo, sostenibile, non discriminante, non offensivo, neutro». In pratica non parlano di nulla e si avviano sorridenti e tranquilli ogni giorno al loro destino di vuoto.

Ma c’è qualcuno che deve conservare memoria di ciò che la specie è stata e che probabilmente continua a essere al di fuori di quella sorta di isola sospesa su un baratro nella quale questi umani abitano. Colui che ricorda si chiama «Accoglitore di memorie» e porta dentro di sé la responsabilità, il peso, il dono di ricordare la storia passata dell’umanità, la sua felicità, la sua tragedia (guerre, ingiustizie, stupri, inganni, morte violenta, vale a dire semplicemente morte). Nella propria casa ai margini del baratro quest’uomo possiede libri, strumenti musicali e molti altri dispositivi proibiti a tutti gli altri. Egli, inoltre, è autorizzato a mentire.

È periodicamente necessario selezionare un soggetto al quale il donatore doni appunto la sua memoria, in modo da essere sostituito alla sua morte. Viene designato un ragazzo di nome Jonas e da qui comincia un processo iniziatico che porterà Jonas alla prevedibile ribellione e questa parodia di vita comunitaria a immergersi nella profondità inquietante, feroce e splendida della storia umana.

I signori di questa distopia che mostra tutti i segni delle massonerie e delle élites che governano il nostro presente (non più fantascienza ormai) sono soprattutto ossessionati dall’identità, dal rendere tutti eguali, dall’impedire l’emergere della più piccola differenza tra gli umani al di là di quella istituzionalizzata di età e di ruolo tra il Consiglio degli Anziani e tutti gli altri. I controllori chiedono costantemente ai parlanti una «proprietà di linguaggio» che «ha scelto di eliminare colori, razze, religioni» poiché «se fossimo diversi potremmo essere invidiosi, arrabbiati, rancorosi».

È esattamente questo il fondamento politico e metafisico del Politically Correct, della Cancel Culture, dei movimenti Woke e Gender: l’ossessione per un’identità che annulli realtà e linguaggio delle differenze.

Se però una differenza pura, senza identità, comporta la dissoluzione del legame che intesse ogni ente con ogni altro, del legame che coniuga gli eventi tra di loro lasciandoli essere eventi differenti, del legame che fa del mondo un processo molteplice e sensato alla mente, di converso una pura identità, senza differenza, implica la stasi totale e l’unità originaria del niente. Un’identità che cancella dunque se stessa perché ha distrutto la condizione essenziale di ogni identità, che sia cioè una relazione non tra parti già eguali tra di loro ma tra elementi che siano diversi.

Il pensiero unico che ha prodotto la tragedia dell’epidemia Covid19 e che sta saggiando nel cuore dell’Europa la possibilità di cancellare millenni di cultura (ché questo sostanzialmente significa la guerra contro la civiltà slava ancora difesa dalla Russia) ha le stesse tendenze, fattezze, principi morali, eufemismi e linguaggi del mondo perfetto, esangue e totalitario descritto in questo film.

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