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La Meloni e l'eterno conflitto tra il cuore e il portafogli

di comidad

Le sortite comunicative del governo Meloni e del suo entourage non sono tutte riconducibili allo stesso calderone. Le provocazioni della Meloni sull’eccidio delle Fosse Ardeatine e di La Russa sull’attentato di Via Rasella sono del tutto organiche al repertorio fascio-nostalgico ed alle sue esigenze recriminatorie. La grande frustrazione che i fascio-nostalgici devono dissimulare con queste polemiche pretestuose, non riguarda affatto l’onta della sconfitta bellica; anzi, presentare tout court il fascismo come lo “sconfitto” della seconda guerra mondiale è una forzatura. Il sistema di potere fascista è stato infatti in gran parte metabolizzato e riciclato dall’antifascismo, ed anche le burocrazie fasciste si sono travasate in blocco nel regime cosiddetto “democratico” e nella NATO, a cominciare dall’OVRA, che fornì il personale ai servizi segreti della Repubblica “antifascista”. La vera e grande frustrazione che i fascio-nostalgici devono mascherare con il continuo stillicidio di recriminazioni e provocazioni anticomuniste, riguarda invece il 25 luglio, l’afflosciamento del regime fascista, cioè il fatto che il Duce sia stato liquidato politicamente da altri fascisti, ma anche da se stesso, oltre che dal re.

Insomma, i fascio-nostalgici polemizzano tanto sul 25 aprile per non affrontare la vergogna del 25 luglio, nella quale Mussolini chiese lui stesso al Gran Consiglio di esprimersi con un voto, salvo poi considerare tradimento il fatto di non aver votato come voleva lui. E allora perché aveva fatto votare?

I misteri irrisolti sull’uccisione di Mussolini nel ‘45 e sulla squallida messinscena di Piazzale Loreto, non scalfiscono il fatto che il Duce fosse politicamente morto due anni prima. A prendere atto che il Duce fosse ormai un fantasma, fu il direttore del quotidiano “La Stampa” durante il regime di Salò, Concetto Pettinato, il quale rivolse a Mussolini un editoriale intitolato: “Se ci sei, batti un colpo”. Le recriminazioni anticomuniste, da Via Rasella alle foibe, sono l’alibi vittimistico servito a coprire anche altre magagne interne ai fascio-nostalgici; come ad esempio il fatto che l’Arma dei Carabinieri, tuttora stracarica di fascio-nostalgici, fosse stata responsabile nel ’43 non solo dell’oscuro assassinio di Ettore Muti (che era il “Duce di riserva” del regime fascista), ma anche di aver venduto Mussolini ai Tedeschi, con quella specie di pagliacciata consumatasi al Gran Sasso, consegnando così l’ex Duce ad un ruolo di fantoccio (ammesso che non fosse tale da sempre).

Questo meccanismo di frustrazione/recriminazione non è un accessorio del fascismo, bensì si è rivelato la sua intrinseca funzione e “missione” storica. Fallito nelle sue velleità imperiali, il fascismo si è dimostrato invece un prezioso fattore di intossicazione del dibattito politico, in modo da spingere a fraintendere il conflitto di classe come vendetta sociale e faida tribale. In questo senso qualunque decisione avesse preso la Corte di Cassazione francese sull’estradizione dei presunti ex terroristi, da noi il “lucro” sarebbe stato comunque assicurato: se l’estradizione fosse stata concessa si sarebbe celebrata un’orgia sfrenata di euforia vendicativa, come quando fu arrestato Cesare Battisti; dato però che l’estradizione è stata negata, si è aperto uno spazio enorme per coltivare rancori e processi alle intenzioni. La pantomima recriminatoria dei fascio-nostalgici ha potuto reggere in quanto ha trovato prima la sponda del Partito Comunista e poi dei suoi eredi, che avevano a loro volta le proprie vergogne da celare; per cui, pur nella contrapposizione polemica, si è stabilita una sorta di connivenza.

Un discorso del tutto diverso è invece quello riguardante le attuali smodate esibizioni russofobiche della Meloni, che risultano sgradite non solo alla base elettorale della Lega, ma anche ai militanti ed agli elettori di Fratelli d’Italia, che sono tutti un po’ innamorati del mito di Putin inventato dalla propaganda occidentalista a fini denigratori, cioè la figura dell’autocrate. I fascio-nostalgici sono sempre affascinati dalla leggenda del cosiddetto “uomo forte” (un freudiano direbbe che è il sintomo di tendenze omosessuali inconfessate e rimosse nell’inconscio). La stessa Meloni negli anni passati aveva offerto evidenti manifestazioni di russofilia e “putinofilia”, tanto da diventare bersaglio di critiche e preoccupazioni da parte dei media mainstream.

L’esigenza di sottomettersi ai voleri degli USA ed alla disciplina della NATO, può spiegare l’obbedienza, ma non gli attuali eccessi meloniani della propaganda anti-russa e filo-ucraina, tanto più che per respingere le querule istanze di Giuseppe Conte basterebbe ricorrere al banale dato di fatto, e cioè che se c’è oggi qualcuno che non ha alcun interesse ad un negoziato è proprio la Russia, che si è presa i territori che doveva prendersi. Non c’è bisogno di essere strateghi militari per capire che ora i Russi stanno solo difendendo i loro nuovi confini contro attacchi velleitari; e, dato che nessuna difesa può essere del tutto passiva, vengono ovviamente compiute anche delle incursioni per interrompere le linee di rifornimento ucraine. Neanche il regime ucraino potrebbe permettersi una fine delle ostilità, poiché quel sistema è ormai collassato e vive esclusivamente dei finanziamenti statunitensi ed europei, che cesserebbero in caso di pace. La cosiddetta “ricostruzione dell’Ucraina” è chiaramente un bluff, visto che i vari Goldman Sachs e Blackrock potrebbero comprarsi a prezzi stracciati quel che resta dell’Ucraina e farne quello che vogliono. Per salvarsi dalla miseria e dalla predazione, l’Ucraina può solo chiudere con l’esperienza unitaria, poiché esclusivamente attraverso una spartizione tra vari Stati, ognuno di essi potrebbe sostenere l’onere della ricostruzione dei singoli territori.

Anche nel valutare questo conflitto ci si è complicata inutilmente la vita con i processi alle intenzioni, quando invece all’inizio delle ostilità entrambi i veri contendenti avevano manifestato quali fossero i rispettivi obbiettivi. La Russia ha chiarito di mirare ai territori attigui alla Crimea, il Mar d’Azov e il fiume Don, considerati talmente strategici ed esistenziali da essere stati russificati a forza dopo la conquista ai danni dell’impero ottomano nel XVIII secolo. Nel corso degli ultimi due secoli l’imperialismo russo ha perso più volte questi territori contesi, e non ha badato ai costi pur di riprenderseli. Gli USA hanno dichiarato immediatamente che la loro intenzione era di trascinare la Russia in un nuovo Afghanistan, il che avrebbe comportato logoramento per la Russia e affari infiniti per le multinazionali americane delle armi. Il problema dei Neocon americani è che non hanno chiaro il confine tra strategia e imbonimento pubblicitario; infatti, a differenza che in Afghanistan, in questa circostanza la Russia, una volta occupati quei territori che le interessavano, ha acquisito il vantaggio della posizione difensiva; un vantaggio già ampiamente teorizzato dal solito von Clausewitz, in quanto consente di decimare il nemico e di circondarlo gradualmente. Oggi sono infatti i poveri ucraini a dover sacrificare molti più uomini e risorse per cercare di attaccare e riconquistare terreno.

Stando così le cose, la Meloni potrebbe benissimo continuare ad obbedire a Washington, tenendo però un basso profilo comunicativo per non bruciarsi i rapporti futuri con la Russia e per non irritare la base elettorale. Tanto a fare il lavoro sporco della propaganda ci possono pensare Mentana ed il “Corriere della Sera”, i quali, dicendo che Putin è fascista lo rendono pure più simpatico ai fascio-nostalgici. Il problema è che l’oligarchia italiana non è solo servile, ma usa anche il servilismo come paravento e alibi per dissimulare i propri interessi ed i propri affari. L’oligarchia nostrana per decenni ha dissimulato la propria avarizia scaricandone la colpa sulla Germania; ed oggi il nostro lobbying delle armi può nascondersi dietro la fedeltà alla NATO.

Molti commentatori stanno giustamente mettendo in evidenza che questa guerra è un affare colossale per le multinazionali americane delle armi, ognuna delle quali è ampiamente rappresentata al Pentagono ed al Dipartimento di Stato tramite la solita porta girevole tra incarichi pubblici e carriere nel privato. A riguardo c’è uno studio abbastanza grottesco di qualche anno fa, eseguito da ricercatori dell’Università di Harvard, nel quale da un lato si afferma che è un bene che gli USA siano sempre in guerra, perché così si tengono in forma; dall’altro lato si lamenta che il sistema delle forniture militari è completamente marcio e corrotto, soggetto a lievitazioni spropositate e ingiustificate dei costi. Per descrivere lo stato confusionale di quelli di Harvard, si potrebbe dire che vogliono la moglie piena e la botte ubriaca.

In Italia però non siamo da meno; anzi, la nostra piccola azienda delle armi, Leonardo SPA (l’ex Finmeccanica), è il paradiso della porta girevole e del conflitto di interessi tra affari, burocrazia e politica, ed almeno alcuni dei nomi sono arcinoti, come gli ex agenti segreti De Gennaro e Carta, i manager e ministri Profumo e Cingolani, e poi lo stesso attuale ministro della Difesa Crosetto. Che Leonardo SPA faccia blocco con Polizia, Guardia di Finanza, servizi segreti e governo, dovrebbe allarmare le autorità di controllo, che però sono a loro volta integrate nella lobby. Lo Stato rimane una fumosa astrazione, mentre i veri soggetti concreti in campo sono le lobby d’affari, che sono trasversali al pubblico ed al privato. Ma Leonardo SPA ha “intime” relazioni anche con i centri di ricerca, soprattutto con un prestigioso lascito del regime fascista, l’ISPI, l’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale, dove venne elaborata la “Mistica Fascista”. Attraverso la facciata di progetti di ricerca in comune, Leonardo SPA in pratica finanzia l’ISPI, e ciò ne spiega certi ardori guerrafondai.

Il vero business di Leonardo SPA però non consiste nelle quattro carabattole che il governo sta fornendo all’Ucraina. In quel caso l’entità dei soldi in ballo non era tale da spiegare gli eccessi di russofobia governativa. Nel marzo scorso Leonardo SPA ha stretto accordi con una delle maggiori multinazionali statunitensi degli armamenti, la Boeing, per la produzione in comune di elicotteri. Il business è già importante in se stesso, ma l’aspetto più notevole sta nel fatto che rappresenta l’avvio di una partnership a tutto campo, di un’integrazione d’affari da cui possono sortire contratti sempre più ricchi.

Per non disturbare i rapporti d’affari di Leonardo SPA, dall’Italia non doveva provenire nessuna voce che potesse essere intesa a Washington come scarso zelo russofobico. Questo è il motivo per cui la Meloni e Crosetto hanno dovuto lasciare da parte le loro storiche simpatie per Putin e mettersi a dirigere coretti antirussi. Insomma, è l’eterno conflitto tra il cuore ed il portafogli. Peccato che vinca sempre il portafogli.

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