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lantidiplomatico

L’Italia può diventare protagonista sullo scacchiere mondiale?

di Emmanuel Goût*

Cominciamo dalla Francia: commentando le relazioni intrattenute con Parigi, ancora di recente, il 3 marzo scorso, il Marocco ha affermato che “non sono né buone né amichevoli”. Un tono per nulla rassicurante, tenendo conto del fatto che quelle con l’Algeria sono tese, e che quelle che legano la Francia alla Tunisia – che ha appena ristabilito i rapporti diplomatici con la Siria – sono praticamente assenti. Questo, per quanto riguarda il Magreb, è tutto.

Il recente viaggio compiuto dal Presidente Macron in un’Africa ha dimostrato che questa – a torto o a ragione- si mostra visibilmente incline a volersi sbarazzare del cinismo post-coloniale francese. Il risultato è stato quello di un colpo di spada assestato nell’acqua.

Anche il viaggio di ritorno dalla visita ufficiale in Cina, accompagnato da manovre di accerchiamento di Taiwan da parte di Pechino, ha fatto emergere le contraddizioni che esistono tra le dichiarazioni e le decisioni del Presidente Macron.

E' una lista lunga, sia per quanto riguarda la politica interna che i dossier internazionali: dall’abbandono dell’elettricità prodotta con le centrali nucleari al “nucleare a tutta forza”; da una “non-riforma” delle pensioni ad una riforma brutale; dalla russofilia alla russofobia; dalla dichiarazione della morte cerebrale della Nato alla Nato come priorità assoluta; dall’Europa e dalla Francia sottomesse al vassallaggio nei confronti degli Usa fino al nuovo cambio di rotta, deciso nel corso del viaggio nei Pesi Bassi, sul ritorno all’indipendenza dell’Europa e alla strategia politica della sovranità economica europea… nella illogica contraddizione di queste posizioni, su questo fronte c’è da temere davvero il peggio.

No, Signor Presidente Macron, la Francia non è una barchetta a vela: è il Transatlantico “Francia” che ha bisogno di un comandante ma sicuramente non di cambi di rotta così repentini.

Con tutte le contraddizioni del caso, la Francia non ha perso neppure di recente l’occasione di dare lezioni all’Italia, sia nel corso della campagna elettorale che dopo i risultati incontestabili che ne sono emersi, dimostrando un atteggiamento davvero denigratorio nei confronti del nuovo Presidente del Consiglio dei Ministri, Giorgia Meloni. È a lei che ora dobbiamo rivolgere la nostra attenzione, per comprendere se può offrire all’Italia, in alternativa ad una Francia che non smette di contraddirsi, il ruolo internazionale che merita.

In questo contesto, e senza un retrogusto di ironia, gli Italiani non hanno affatto dimenticato l’arringa infiammata che Giorgia Meloni ebbe a pronunciare contro la politica africana di Macron (youtu.be/042iqrYGPIo). Ed è con questo stato d’animo che Giorgia Meloni ha messo in piedi la sua squadra  governo: Giancarlo Giorgetti, che appartiene alla Lega e che ha assunto l’incarico di Ministro dell’Economia e delle Finanze, è già ben conosciuto e temuto dai Francesi (in particolare dal Gruppo Vivendi)  per il suo senso di fierezza nazionale e regionale; Giovanbattista Fazzolari, uno dei consiglieri personali della Premier ha una sorta di fissazione contro la Francia, un atteggiamento davvero inesplicabile visto che la sua formazione deriva dal sistema educativo francese avendo frequentato a Roma il celebre Liceo Chateaubriand; infine c’è Adolfo Urso, nominato Ministro delle Imprese e del Made in Italy, un fine analista delle rivalità industriali e strategiche che dividono la Francia dall’Italia.

Questo è il quadro di riferimento.

Giorgia Meloni è in marcia per sganciarsi dalla Francia di Macron, potendo contare su un terreno di gioco per lei davvero fertile: tanto per fare un esempio, durante la recente finale della Coppa del Mondo di calcio che vedeva in campo le nazionali di Francia ed Argentina, il 99% degli Italiani, i “Cugini d’Oltralpe”, hanno tifato a favore di quest’ultima!

Ma l’Europa ha le sue regole e la Francia è un peso massimo, mentre l’Italia post-Covid ne è divenuta estremamente dipendente. Ci sono due sfide: la ratifica del MES (Meccanismo Europeo di Stabilità) che è ancora ferma sul tavolo della Presidente del Consiglio ed il complicatissimo PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Ricostruzione) che vale 235 miliardi di euro, con il primo che non può non condizionare l’ottenimento del secondo.

Il Governo italiano, d’altra parte, è attentissimo a non provocare Bruxelles visto che anche la stessa politica interna, ad esempio nel campo dell’immigrazione, non manca di riattizzare i rancori di un’Europa che ha sempre enormi difficoltà a riconoscere i risultati elettorali che non le fanno comodo. Nel caso della vittoria di Orban in Ungheria, Bruxelles ha fatto ricorso a ricatti economici, così come ha manifestato sfiducia nei confronti della netta vittoria dei Fratelli d’Italia. Bisogna ricordarsi pure delle pressioni subite dalla Francia in occasione del referendum sula Costituzione europea tenutosi nel 2005, che fu chiaramente vinto da coloro che votavano per il “no”, e che nonostante tutto condusse qualche anno più tardi il Presidente Sarkozy a “sconfessare” il risultato del suffragio popolare.

Giorgia Meloni non ha soltanto messo in campo uno “scudo” nei confronti della Francia, ma è andata al di là, andando a caccia sui territori che la Francia ritiene ancora di sua pertinenza: come in Algeria, dove il Presidente francese, nel far confusione tra il piano degli eventi storici e quello del pentimento odierno per i fatti di allora, crea nuove contraddizioni. Meloni ha invece rispolverato la drammaticità della “Battaglia d’Algeri”, drammaticamente raccontata da Gillo Pontecorvo in suo famoso film: firmando un accordo sul gas algerino, ha inflitto una sconfitta non irrilevante al Presidente francese. Ancor più lo ha fatto recandosi a rendere omaggio alla tomba di Enrico Matteri, l’architetto della politica energetica italiana, alla strategia di un uomo di cui si dice che probabilmente fu ucciso dai servizi segreti francesi. In quell’area, l’Italia mantiene comunque stretti legami energetici con la Libia, sempre ispirati al “Piano Mattei”, regolando i conti con la Francia di Sarkozy che ha creato la catastrofe che ben conosciamo. L’Italia si posiziona così come un “hub energetico” dell’Europa meridionale.

In Asia, Giorgia Meloni ha deciso di intraprendere una politica internazionale originale, recandosi in un Paese in cui non era certamente attesa, l’India, dopo che per anni le relazioni tra Roma e Nuova Delhi erano state increspate per la crisi dovuta a due militari italiani lì detenuti. L’Italia vuole diventare partner privilegiato di questo Paese, che sta per diventare il più popoloso del mondo e che sta emergendo come una alternativa alla Cina, senza farsi condizionare da pregiudizi ideologici nei confronti della attuale leadership nazionalista indiana. È dunque una sorta di “real politick” all’italiana, cui l’Europa è poco incline, preferendo le iniziative delle ONG. Senza complessi di sorta, in India, l’Italia ha definito un piano di cooperazione nel campo dell’industria della difesa e dell’energia.

In una sorta di compensazione per queste iniziative internazionali che proiettano l’Italia nel futuro, Roma fornisce assicurazioni sulla questione ucraina, rinunciando così ad anni di amicizia consolidata con la Russia.

Giorgia Meloni ha possibilità di scelta?

Sulla questione ucraina si è spostata su posizioni estreme. Ha seguito senza tentennamenti tutti gli orientamenti americani proprio quando gli Usa, per paradosso istituzionale, da più di un anno sono senza un ambasciatore in Italia, un fatto che può essere facilmente letto come una mancanza di considerazione. Quando era Presidente del Consiglio Mario Draghi, il predecessore di Giorgia Meloni, nei Palazzi del potere circolava questa battuta di spirito: “Ma perché mai dovremmo nominare un nuovo ambasciatore americano in Italia, quando abbiamo già Draghi!”  In apparenza siamo rimasti all’interno dello stesso schema logico. Giorgia Meloni conosce perfettamente il peso ancestrale che è esercitato dagli Americani sulla vita politica italiana, visto che alcuni attribuiscono la caduta di Berlusconi alla sua amicizia con il Presidente russo Vladimir Putin. D’altra parte, anche di recente, si è potuta rivivere in una serie televisiva dedicata ad Aldo Moro e trasmessa su Arte (“Esterno notte” realizzata da Bellocchio), l’”implicazione” americana nella gestione della drammatica prigionia dello statista democristiano.

In Italia, non si può fare niente senza l’approvazione americana.

Ma questa non è l’unica spiegazione del radicalismo di Giorgia Meloni sulla questione ucraina. Al di là dell’influenza americana, bisogna prendere in considerazione i legami tra l’estrema destra radicale italiana – Casapound – et la potente estrema destra ucraina che trova le sue origini nell’anticomunismo che risale ai tempi della seconda guerra mondiale. Fu quella partecipazione di una componente non trascurabile della popolazione ucraina che andò a sostenere la collaborazione con i Nazisti e che, dopo la fine del conflitto, riuscì a conquistarsi una nuova verginità, sostenuta agli Usa, per combattere il bolscevismo e la Russia (US Intelligence and the Nazis – Richard Breitman).

Non tutta l’Ucraina è nazista come la propaganda russa vuole far credere, ma è innegabile che una parte della sua popolazione – Azov & co – rivendica l’eredità di Bandera, colpevole di antisemitismo e di genocidio. Sebbene si tratti di contraddizioni e di paradossi culturali, il Presidente ucraino Zelenski non perde occasione per lodare questa frangia della sua popolazione che nei nostri Paesi sarebbe stata, senza alcun dubbio, completamente messa al bando.

Senza cadere nella trappola tesa da coloro che sostengono che chi è stato fascista una volta nella vita non possa che rimanere tale per sempre, mentre i comunisti, i trotskisti e gli altri compagni hanno, loro sì, il diritto ad una nuova verginità, bisogna ricordare che le origini politiche di Giorgia Meloni sono state ben iscritte nella storia del partito fascista fino alle sue ultime evoluzioni – quasi delle rivoluzioni –  concretizzatesi quando Silvio Berlusconi,  nel corso delle elezioni per il Sindaco di Roma, il 23 novembre del 1993 riconobbe legittimazione politica alla candidatura di Gianfranco Fini che era il Segretario politico del Movimento Sociale Italiano, che trasformò l’anno successivo in Alleanza Nazionale.

Emergono in Giorgia Meloni gli sviluppi dei valori e dei riferimenti precedenti: l’Europa delle Nazioni, l’indipendenza dagli Usa, la politica estera originale e non sottomessa, la politica migratoria rigorosa ma non insensibile, i legami forti con i Paesi che condividono i suoi valori nel campo dei rapporti familiari e sociali.

Giorgia Meloni ha mostrato originalità e visione strategica nei confronti di Paesi che sono comunque partner della Russia, come l’India e l’Algeria, ma si è fatta parimenti più realista del Re per quanto riguarda il confitto russo-ucraino: dipendenza dagli Usa, legami personali del suo entourage con l’Ucraina, affiliazioni estremiste?

Forte della sua visione, nonostante le sue contraddizioni, ha ancora la possibilità di approfittare di una situazione in cui la Francia perde ogni giorno di più di credibilità, in cui la Germania sembra sempre posseduta dagli antichi demoni, in cui il Regno Unito patisce gli esiti della “Brexit” ed in cui gli USA sono nostalgici del loro antico ruolo di gendarmi del mondo.

Potrà anche confermare quanto ricordava sempre il mio professore di Storia, l’abate Vens, che “l’Italia non ha mai finito nessuna guerra combattendo dalla stessa parte con cui l’aveva cominciata”. Anche senza arrivare a tanto, Giorgia Meloni ha ancora l’occasione per giocare le sue carte a favore di un nuovo equilibrio del mondo e per piazzare l’Italia sullo scacchiere mondiale.


*Componente del Comitato di Orientamento strategico di Géopragma

Si ringrazia Guido Salerno Aletta per la segnalazione e revisione dell'articolo

Comments

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Carlo
Tuesday, 02 May 2023 08:02
Ringrazio per la pubblicazione di questo articolo, spero che lo scopo sia quello di far vedere che esiste una parte dell'opinione pubblica favorevole alla Meloni e pronta a trovarle un contesto narrativo che la faccia apparire una grande statista. Per me chiaramente è solo un burattino con i fili.
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