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lafionda

Sul corpo del leader: per una politica della disarmonia

di Alessandro Volpi

La querelle della consulente di armocromia di Elly Schlein ha portato sulle scene una questione antica sulla politica, il tema della presenza estetica e simbolica del leader politico. Le critiche che si sono concentrate sul fatto che un partito o un leader di sinistra non possa spendere 300 euro per una consulenza su questi temi, perché meramente comunicativi, secondo un’idea che li svaluta, pensando la politica come una pura discussione razionale fatta da soggetti senza corpo, non colgono il punto. La questione di cosa comunica e cosa rappresenta il corpo del leader merita infatti un’alta considerazione, e pagare professionisti che si occupino di questo è quanto di più normale. Questa centralità del momento rappresentativo del corpo del leader (o del sovrano) non è una novità – c’è una letteratura sterminata sull’epoca medievale e primo-moderna su questi aspetti – e oggi, con la sovraesposizione mediatica, questa questione è diventata ancora più importante. Questa riflessione invece va fatta, ma è proprio in virtù della centralità della comunicazione – e non della necessità di concentrarci sulle “questioni materiali” – che Schlein ci dice chi vuole rappresentare.

In particolare, nell’epoca dei populismi la vera questione riguarda come viene percepito il collocamento del leader e di conseguenza del partito o movimento rispetto al fronte antagonistico popolo-élites che divide in due la società. Sarebbe facile concentrarci sulla maggiore capacità delle destre di costruire attraverso la propria immagine un posizionamento anti-sistema (falso, nei fatti, quanto si vuole): i pasti di Salvini a base di pane e nutella o altri cibi molto “popolari” erano proprio il tentativo di rappresentarsi come altro dalle élites, una persona normale. Ma se quelle delle destre – di nuovo secondo quel fraintendimento razionalistico che svaluto l’elemento simbolico – viene vista come mera demagogia concentriamoci sui leader di sinistra.

Pablo Iglesias, a capo dell’esperimento “populista di sinistra” di Podemos si è sempre presentato – anche dopo anni in politica – con dei vestiti che davano l’impressione del ragazzo “normale” che si è dovuto comprare una camicia il giorno prima per andare alla laurea di un amico, ma non la sa portare. Quello che Iglesias comunicava alla “gente normale”, in maniera trasversale era: devo entrare in questo ambiente, nel Palazzo del potere – quello dove stanno asserragliate le élites, fino a diventare addirittura Vicepresidente – ma non sono dei loro, sono del popolo, e qui vi rappresento. Il corpo del leader comunicava una estraneità al luogo del potere, rappresentava (nel senso di rendere presente) il corpo dei cittadini spagnoli comuni che non potevano accedervi. Essere “fuori luogo” ma senza vergogna, rivendicando questa esteriorità. La sua scelta estetica era del resto la medesima dei primi Cinque Stelle che si presentavano in Parlamento con lo zainetto, prendendo la metro.

Se pensiamo a Mélenchon, Corbyn e Sanders la strategia era parzialmente diversa (con delle differenze fra loro) ma il loro corpo cercava di comunicare lo stesso concetto, o di evocare la stessa identificazione. Comunicavano comunque alterità rispetto al mondo degli integrati, delle Clinton e dei Macron, ma anche dei Trump, rievocando però una “buona politica” attenta alle questioni sociali, e alle lotte della gente comune. Le maglie della salute visibili sotto la camicia, giacche lunghe, uno stile d’altri tempi: qui l’estraneità era temporale e rievocava un mondo composto da brave persone, umili e decenti (l’idea di decency come concetto morale-estetico è centrale). Un altro tipo di identificazione con l’idea di rappresentare il popolo, apparentemente meno da “outsider” che rompe con le ritualità, ma ugualmente conflittuale, dalla parte del popolo, contro le élites perché fuori dalla corsa progressista post-ideologica del capitalismo finanziario.

Cosa comunica invece Schlein? Ci sembra che faccia di tutto per accreditarsi come parte dell’establishment, delle élites, come integrata e per nulla refrattaria a quell’appartenenza. Potrà sembrare un dettaglio secondario ma il concetto stesso di armonia cromatica, comunica assenza di conflittualità in forma estetica. È espressione comune dire che due colori “fanno a cazzotti”, l’armocromia serve per impedirglielo, per neutralizzare quello scontro. Serve per comunicare integrazione, appaesamento, assenza di disagio nel Palazzo, l’opposto delle camicie di Iglesias. Quel senso di aristocrazia estetica, intellettuale e morale, sulla quale la sinistra post-moderna ha costruito la propria auto-rappresentazione, bersaglio poi di una destra in cerca di consenso popolare, viene da Schlein reinterpretato in una forma vagamente “alternativa”. Non è del resto l’armocromia un prodotto di una pseudo-cultura che vede nella creazione di un’immagine appagante di sé il proprio modo di stare bene nel mondo – rinunciando a cambiare il mondo nel quale si sta male? Un’idea individualistica ma pseudo-politica, che comunica esattamente quell’idea post-ideologica del mondo, dove l’estetica – insieme ad altre pratiche del corpo, della mente ecc. – serve a creare un’armonia con il mondo nel regno del mercato pacificato. È la via delle classi medie creative progressiste verso il raggiungimento di un equilibrio spoliticizzato, ed attrattivo, segno di distinzione rispetto a chi non è in un rapporto armonico con il mondo, con chi non ce l’ha fatta. In questo senso la scelta di Schlein, di comunicare di avvalersi di una consulente di armocromia, ci comunica che il suo elettorato di riferimento rimane quello del centro-sinistra, e anzi avanza sempre di più verso quell’elettorato classe medio-alta (o che così si auto-percepisce) che aspira e si sente tutto sommato in grado di ambire a quell’armonia con il sistema neoliberista, di cui vuole al massimo correggerne le brutture, le dis-armo-cromie.

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