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sinistra

Emergenze: riflettere e agire insieme

di Paolo Bartolini

Manca il bersaglio chi, nel tentativo di criticare l’esistente, disgiunge tre eventi/fenomeni giganteschi che hanno caratterizzato l’inizio degli anni Venti di questo secolo. La sindemia Covid-19 e la governance militarizzata della stessa, la guerra in Ucraina e la ridefinizione degli equilibri di potenza internazionali, l’entrata in scena – anche nel mainstream – della questione ecologica e del global warming come emergenze da affrontare con agende politiche stringenti. Il potere tecno-capitalista a guida angloamericana ci ha fornito una lettura schematica e aproblematica di queste emergenze (sanitaria, di guerra, ambientale): il virus poteva essere affrontato solo mediante lockdown, cancellazione del dissenso e imposizione trasversale di un farmaco hi tech preparato, in fretta e furia, da multinazionali del settore finanziate, per la ricerca, con ingenti contributi pubblici; il conflitto in Ucraina è vissuto, invece, come la ghiotta occasione per accelerare lo scontro tra gli USA in declino (con al seguito Unione Europea e altri partner minori) e la Cina, passando ovviamente per la Russia: sul piano comunicativo i mass media demonizzano qualunque lettura osi mettere in discussione la dicotomia Bene Vs Male; i cambiamenti climatici, negati a lungo per non dover mettere in discussione il modello ecocida della crescita infinita, oggi sono riconosciuti e branditi come opportunità per una fantomatica crescita verde o sviluppo sostenibile.

Divenuta occasione di business la “transizione ecologica” assume i contorni di una parola d’ordine utilizzata, a seconda degli interessi, per nobilitare le solite logiche del profitto di breve e medio periodo.

Queste tendenze, palesemente funzionali agli interessi delle classi dominanti, hanno suscitato sovente reazioni contrapposte e altrettanto manichee: il virus non esiste, anzi esiste ma è una semplice influenza, comunque sia è stato prodotto appositamente per sconvolgere l’economia mondiale e avviare il Great Reset, i “vaccini” sono strumenti di morte, dietro le quinte qualcuno con Nome e Cognome trama per assoggettarci alla sua disciplina antiumana; la guerra in Ucraina, per quanto orribile, richiede il coraggio di schierarsi con Putin, unico freno alla follia a stelle e strisce: la sua non è una guerra, è un’operazione speciale per denazificare il paese e liberarci dalla prepotenza statunitense; i cambiamenti climatici sono fuffa, un’invenzione bella e buona finalizzata a giustificare la riorganizzazione autoritaria delle società liberali con ulteriore danno per i ceti popolari: i giovani ambientalisti, più o meno “spettacolari” nelle loro azioni dimostrative, sarebbero sciocche pedine nelle mani di chi alimenta la narrazione dominante. Da queste parti, escludendo il punto della guerra, si suggerisce che in fondo non esistono affatto emergenze sanitarie ed ecologiche. Tutto può essere ridotto a qualche “piano” maligno partorito dalle menti di Soros, Gates o di gruppi satanici inclini alla pedofilia.

Si dirà che questa opposizione di vedute che ho riassunto in modo sintetico, sia un po’ caricaturale, ma chiunque frequenti la piazza virtuale dei social (e anche i luoghi della militanza politica, sempre più deserti) sa che anni di polarizzazione delle idee hanno prodotto semplificazioni mostruose. Nel mio piccolo vorrei avanzare qui una prospettiva “complessa” di lettura dei tre fenomeni in oggetto, che possa orientare la discussione senza perdere di vista quel nodo borromeo che tiene insieme pace, giustizia sociale e giustizia ecoclimatica. La gestione controversa della sindemia, con le sue derive autoritarie, dice non di un’emergenza inventata di sana pianta, ma della necessità del sistema tecno-capitalista di guidare gli sviluppi di un imprevisto relativo (l’epidemia da coronavirus) forzandoli al fine di renderli compatibili con le logiche neoliberiste. I tagli bipartisan alla sanità pubblica, la medicina territoriale lasciata a se stessa, l’assenza di una personalizzazione delle cure, sono fattori strutturali di un’impostazione culturale e politica che vuole la salute in balia degli interessi privati. Il “vaccino” presentato come soluzione totale, invece di essere utilizzato insieme ad altri strumenti per focalizzare la protezione sulle categorie più a rischio, è diventato attrattore di fede o miscredenza, essendo parte della rete di affari dell’industria farmaceutica. Il pessimo dispositivo del green pass, imposto con l’inganno, e le discriminazioni verso i riluttanti alla vaccinazione, sono serviti per sperimentare quanto il neoliberismo, in situazioni di emergenza collettiva, possa fare a meno della democrazia e del libero dibattito che dovrebbe accompagnarla, senza per questo sollevare una ribellione di massa. Rilanciare la sanità pubblica e una medicina nonviolenta sui territori, rifiutando certificazioni verdi che aprono praterie a un’idea di cittadinanza a punti con relativa sospensione dei diritti costituzionali, è la priorità per una lotta trasversale che, non soffermandosi ossessivamente sugli eventi avversi dei farmaci a M-rna (da studiare e divulgare senza censure di sorta), sappia concentrarsi sulla costruzione di rapporti non coercitivi tra Stato, comunità e singoli, basati sul rispetto delle scelte individuali, su campagne comunicative serie e non colpevolizzanti, sulla progressiva riduzione dell’influenza dei privati nella sanità.

La guerra in Ucraina, cominciata ben prima del 2022, vede una invasione illegittima di uno stato sovrano da parte di un paese guidato non certo da qualche paladino del socialismo, ma da una figura forte e decisionista, cara alle oligarchie del capitalismo nazionalista. Detto questo è urgente ribadire che l’aggravarsi del conflitto sul fianco est dell’Europa non è un risultato imprevisto, bensì un esito sperato dai manovratori atlantici che, pazientemente e senza interruzioni di sorta, hanno allargato i loro tentacoli spingendosi a ridosso del territorio della Federazione Russa. Aver armato per anni gli ucraini, e aver disatteso gli accordi di Minsk senza alcun pudore, ci dice del desiderio reazionario di frenare il passaggio già in atto a un mondo multipolare. Lavorare oggi per riaprire il canale diplomatico, bloccando l’invio di armi a Zelensky e promuovendo una responsabile presa in carico della questione geopolitica internazionale, significa mettere in discussione la passiva collocazione dell’Italia e dell’UE dentro il perimetro degli obiettivi strategici d’oltreoceano.

Per quanto riguarda i cambiamenti climatici, invece, è indispensabile sottolineare che gli effetti ecologici disastrosi del tecno-capitalismo sono indiscutibili. Inquinamento, consumo del suolo, deforestazione, allevamenti intensivi: questi e altri fenomeni contribuiscono a devastare la biodiversità e a rendere invivibile il pianeta, nuocendo a umani e non umani. Sul versante del surriscaldamento globale la maggior parte degli studi convergono verso una diretta correlazione tra azioni umane e alterazioni del clima (mediante emissioni di CO2 in atmosfera). Alcuni scienziati contrastano questa lettura prevalente, tuttavia il peso specifico delle loro osservazioni critiche non modifica una certezza: la transizione dalla società degli idrocarburi e dell’economia dei volumi, a una società della cura, dell’energia solare e dell’economia solidale, non è più rimandabile. Non esistono tecnologie che possano invertire la marcia confermando l’odierno ciclo vizioso produzione/consumo/scarti.

La minaccia ecoclimatica incombente, dovuta alle logiche della dismisura che sono al cuore del Capitalocene, può essere intercettata nelle sue implicazioni etiche e politiche da forze molto diverse. Il greenwashing è un ottimo esempio di una gestione della crisi di taglio neoliberista.

Ecco allora che, soprattutto negli ambienti cosiddetti antiglobalisti, non farebbe male maturare posizioni critiche più consapevoli dell’insegnamento marxiano. Attualmente ciò che va contrastato con forza non è la vasta intesa scientifica intorno ai cambiamenti climatici, ma il fatto che la transizione ecosociale alle porte possa essere governata solo dall’alto, puntando sulla retorica del cambio degli stili individuali di vita (comunque importanti, ma poco incidenti sul problema senza politiche massive che colpiscano i grandi inquinatori) e rievocando il fantasma di nuovi pass “ecologici” per lasciare le mani libere a multinazionali, centri finanziari e industrie, colpevolizzando i consumi dei lavoratori, dei ceti medi e popolari. Siamo esattamente alla stessa latitudine della questione pandemica/sindemica: anche qui ciò che va contestato con lucidità è la gestione top/down della crisi, rivendicando modalità democratiche di azione dal basso. Azioni efficaci, basate sulla libera discussione e sulla difesa della Costituzione, purificate da paranoie più o meno “cospirazioniste”, capaci di tenere insieme i tre elementi del nodo borromeo sopra ricordato.

Nonostante qualche riserva rispettabile avanzata dal Movimento Nonviolento, credo che il sostegno ai tre referendum a favore della sanità pubblica e contro la guerra, indetti dai comitati “Generazioni Future” e “Ripudia la guerra”, rappresenti oggi una forma di impegno civile capace di evitare gli estremi sopra ricordati, mettendo in dialogo pezzi della società non di rado divisi durante il periodo sindemico. Pezzi che considero come tessere di un mosaico. Un’altra tessera fondamentale è quella dei giovani ecologisti, che solo una sciocca protervia può considerare utili idioti al servizio di un progressismo borghese e ipocrita. Bisogna dialogare e trasformare il dissenso in forza dei corpi e delle nostre ragioni, non frammentarci ulteriormente in mille rivoli incomunicanti fra loro, tutti convinti di avere la verità in tasca, tutti innamorati del proprio specchio.

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