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La mappa non è il territorio

di lorenzo merlo

Per merito della logica, della supremazia del razionalismo, della scienza analitica, della fisica classica, siamo individui separati dal cosmo e dall’infinito. Così non ci avvediamo dell’orrore di fondo di cui siamo preda

Capita, per strada, di chiedere informazioni sul posto a qualcuno. Gli mostri sulla mappa dove vorresti andare, lui l’afferra e inizia a farla girare, poi si ferma e guarda ancora il disegno e quindi, lasciandola perdere, indica cosa fare usando braccia e occhi e parole della sua lingua, per concludere con “non puoi sbagliare”.

La spiegazione si rivela poi del tutto insufficiente e il non puoi sbagliare mostra qualche difetto di verità. Stranamente, la storia si ripete nella maggioranza delle occasioni simili e anche il suo culmine conclusivo e rassicurante tende a non realizzarsi mai.

Tuttavia, è altrettanto certo che il nostro consulente d’occasione non era in malafede, tutt’altro. Voleva davvero darci una mano per raggiungere la nostra meta.

Viene da chiedersi come mai accade con tanta maggiore frequenza rispetto alla quantità di ripetizione dell’esperienza, come mai a parti invertite il risultato tendenzialmente non cambia, e anche come mai la medesima infruttuosa comunicazione si realizza, sebbene in forma differente, nella maggioranza degli scambi relazionali.

Cerca, cerca, la risposta si trova. Ognuno di noi, in ogni affermazione – anche non verbale –, si riferisce a una mappa mentale, tanto arbitraria e autopoietica, quanto necessaria. In quella mappa si muove a suo agio, tutto gli è chiaro. In ogni interlocuzione interpersonale non ha difficoltà ad impiegarla. Ha però meraviglia quando qualcuno dimostra di non aver compreso quelle affermazioni.

Una sorpresa che fa capo all’idea che una buona dialettica contenga comunicazione. E anche a quella che l’altro disponga del nostro medesimo universo. È il fideistico decanto dell’idolatria del razionalismo, prostrazione al feticcio di un’idea meccanicistica dell’uomo. E anche l’ottuso impiego di se stessi come unità di misura di tutto. Posizioni in cui vive forte e chiara la totale inconsapevolezza che siamo universi differenti, salvo che in minute circostanze ben delineate, con poche regole condivise – chiamiamole circostanze amministrative. Un’inconsapevolezza che ci impone di identificarci con il nostro giudizio, scambiandolo così come onesta descrizione della realtà, tanto da concepirla come oggettiva. Ma è un’identificazione che nasconde e impone una radicale separazione dall’altro. Che sancisce la propria mappa come valida per tutti. Che genera un mondo a base conflittuale, differente rispetto a quello che scaturirebbe dalla presa di coscienza che la realtà è nella relazione e che, quindi, non avvedersene ci tiene nella trappola della caverna di Platone. La verità non è mai per tutti quella che appare a noi.

Se un russo chiedesse a un giornalista medio italiano di spiegare le ragioni del conflitto in corso, otterremmo risposte che nulla hanno a che vedere con la verità russa della guerra. Gli strumenti dell’odierno giornalista medio non sono adatti ad aprire la scatola della verità russa. In questo caso, siamo nel ti piace vincere facile. Ma ugualmente accade in ogni relazione. Basti ricordare la quantità di equivoci e relativi disappunti, se non colpevolizzazioni date e ricevute, per renderlo evidente.

Presa coscienza del fatto che non possiamo fare a meno d’impiegare le costellazioni della nostra mappa per dire dove si trova la via, abbiamo il necessario per riconoscere che, così tutti facendo, troviamo l’origine dell’equivoco e del suo inetto fratello non può sbagliare.

È solo a quel punto che si inverte la rotta. Come prima si credeva di comunicare parlando, ora si sa che parlare non contiene comunicazione, se non nei suddetti campi chiusi, tecnici, amministrativi. Un cambio che comporta anche altro, tra cui la sostituzione dell’affermazione con l’ascolto.

Sarà proprio quest’ultimo ad alzare il rischio di riconoscere l’universo del prossimo e, contemporaneamente, a far partire un’intelligenza nuova, quella utile per riconoscere la mappa altrui, per rispettare le sue affermazioni, per cercare in noi il tempo e il modo utile a creare un contatto.

È quanto si fa in certi ambiti didattici, la cui grafica non è più rappresentabile da una freccia che, scoccata dal docente, si dirige retta verso il discente, ma da una circolare, indispensabile all’emittente per rimodulare l’affermazione non intesa dal ricevente.

Verrà allora il tempo in cui si cesserà di dare consigli, di credere nei pieni poteri della logica, di appellarsi all’idolatria del cosiddetto buon senso, come se fosse un cristallo puro identico in tutti gli universi che siamo. Un tempo in cui i proboviri e i delatori, allineati e coperti dietro i feticci materiali della conoscenza, perderanno il loro ordinario abuso di potere. Sarà il tempo in cui si capirà che dire “ovvio” è arrivare ultimi a comprendere che, fuori dai campetti di gioco dei saperi cognitivi, c’è il mondo e nessuna ovvietà. Restringere l’infinito entro scatolette della conoscenza analitica è uniformare gli universi ad una sola mappa. È l’inconsapevolezza che qualunque territorio di cui si voglia parlare prima deve essere ridotto a mappa, e che ciò verrà fatto secondo la propria capacità di disegnarla.

Sarà il tempo buono per percepire che c’è altro oltre alla propria mappetta imbrattata di scientismo e buoni propositi. Fino a che diverrà chiara la mappa di quei ciarlatani che citavano l’amore, non la laurea.


Nota al titolo
La mappa non è il territorio è una formula di Alfred Korzybski (1879-1950), filosofo e matematico polacco, più volte ripresa testualmente da Gregory Bateson, Paul Watzlawick, altri, e implicitamente da tutta la ricerca sviluppata dalla Scuola di Palo Alto.

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Giulio Bonali
Friday, 19 May 2023 10:34
Citazione <>

Né la logica (che é l' "arte" del pensare e del parlare (pensare e comunicare linguisticamente) corretto a prescindere dai contenuti del discorso", né il razionalismo (che é l' atteggiamento -irrazionalmente assunto, se assunto, indimostrabile razionalisticamente essere quello "giusto"; ed esserne consapevoli significa essere non meno ma più razionalisti che ignorarlo- di chi non crede o agisce, immotivatamente, casualmente ma solo "a ragion veduta", ovvero avendo superato per quanto possibile ogni motivo "in contrario"), né le scienze naturali e umane (la scienza "analitica" non so cosa sia), nè la fisica classica (che non prescrive alcunché ma solo descrive nel suo divenire la realtà materiale naturale "macroscopica" in trasformazione a velocità sensibilmente inferiori a quella delle radiazioni elettromagnetiche; può essere metaforicamente considerata un' eccellente "mappa" impiegabile utilissimamente, efficacemente per andare ovunque umanamente possibile e desiderato del tutto a prescindere da essa stessa) causano (e dunque non ne hanno affatto "il merito") la nostra separazione individuale dal cosmo (l' universo fisico e mentale), nei casi e nella misura in cui é reale.
Casomai il pregiudizio irrazionalistico contro tutto ciò può falsamente indurre a crederlo e a lamentarsene.

Personalmente quando ho chiesto la strada da percorrere per arrivare da qualche parte, con l' ausilio di una mappa o meno, sono stato quasi sempre adeguatamente ed efficacemente aiutato a trovarla, magari dopo aver ragionato pazientemente a lungo con interlocutore per poterci comprendere:
sarà mica che é perché sono razionalista e dunque dispongo di "mappe mentali" il meno possibile "arbitrarie ed autopoietiche"?
E perché non siamo affatto (noi uomini) "universi separati" ma parti di un' unico universo (la cui totalità é niente più della somma delle sua parti, e ovviamente delle relazioni fra le parti: tutte le rotelle dentate e altre parti disordinatamente accatastate di un orologio smontato ovviamente sono altra cosa dell' orologio stesso, come tutti i mattoni, la sabbia, il cemento, ecc. che opportunamente disposti costituiscono una casa, se accatastati uno a fianco dell' altro sono ben altra cosa della casa stessa) in parte ed approssimmativamente intersoggettivamente conoscibile; e un atteggiamento razionalistico, al contrario dei pregiudizi irrazionalistici. ci può indurre a dialogare pazientemente e ad arrivare per lo meno a parziali e limitate intese e accordi in proposito?
Infatti i mentitori professionali del giornalismo occidentale, per lo meno in massima parte, sono (fra l' altro di anche peggio) irrazionalisti, ignoranti in fatto di logica, di scienza in generale e di fisica classica in particolare.

Solo un irrazionalista e non certo un razionalista (per definizione) può non ascoltare la ragioni de propri pretesi “inetti fratelli” infallibilmente creduti essere infallibilmente destinati a cadere in pregiudizi aprioristici.
Ed é proprio il razionalismo e non certo i pregiudizi irrazionalistici a “far partire un’intelligenza nuova, quella utile per riconoscere la mappa altrui, per rispettare le sue affermazioni, per cercare in noi il tempo e il modo utile a creare un contatto”. E a dialogare effettivamente, nella convinzione che c' é sempre da imparare (se non altro in negativo; se non altro, cioé in mancanza di meglio, corroborando le convinzioni che di già si avevano) e talora da insegnare (dipende anche dall' atteggiamento, razionalistico o meno degli interlocutori).

Il futuro che qui si vagheggia alla fine di questo articolo (“capovolgendolo” nel suo contrario) é un mondo migliore, in realtà fortemente caratterizzato (fra l' altro) dal prevalere del razionalismo sull' irrazionalismo.
Da razionalista, contrariamente all' autore, non sono affatto sicuro che si realizzerà.
Cosa che non mi impedisce affatto di lottare nei limiti delle mie possibilità per cercare di dare un pur modestissimo contributo alla sua realizzazione, così per lo meno vivendo una vita buona e degna.
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